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ALBUM & CD

Cinque dischi live da recuperare

La personale passione per i dischi da vivo e la voglia mai cancellata di vedere i propri idoli su un palco... con qualche ricordo del perché nascono certe passioni...

Quali gli elementi essenziali per la corretta formazione di un giovane adolescente che desideri immergersi nel meraviglioso mondo del rock and roll ? In primo luogo un “appoggio formativo”…chiamiamolo così… un soggetto o più soggetti che ti inizino all’ascolto aiutandoti a formare il gusto con i suggerimenti giusti. Poi una fonte dove abbeverarti di musica. Un tempo c’era la radio, poi (poco) la televisione, infine il nulla o quasi. Obbligatorio potersi rivolgere a chi sia in grado di fornire anche i supporti, oltre ai consigli. Infine la fortuna di godere di un budget sufficiente ad acquistare le prime selezioni in modo autonomo.

Manca un elemento fondamentale : la possibilità di vedere dal vivo i tuoi beniamini. Al Trumpets dei suoi quindici, sedici anni, fu illuminante la possibiltà di attraversare la strada e vedere o come minimo ascoltare dai portoni aperti diversi artisti che si esibivano al Piper. Vi giuro che vedere portare dentro le casse con gli amplificatori, osservare quei capelloni con camicie colorate e panciotti luminescenti, seguire altri collegare un mare di fili per far suonare una chitarra e infine sentirsi sbattuti contro la fontana che stava davanti ai portoni aperti i pomeriggi delle prove fu per me come entrare in banca e sentirsi dire : serviti pure prendi quel che ti pare…

Ma, ovviamente, quelle estati magiche non sarebbero mai bastate a godere fino in fondo. Stavo progressivamente sviluppando una tendenza ad innamorarmi dei suoni dal vivo rispetto ai dischi di studio. Sarà stata la mancanza di concerti, sarà stata la voglia impellente di non sentir sfumare un bel brano magari proprio sulla chiusura strumentale, ma a me, fin dalla pubertà, i dischi dal vivo profumavano di un magico sentore che me li faceva apprezzare sempre di più. E pensare che alla fine dei sessanta non è che il disco dal vivo rappresentasse un punto focale della carriera di nessuno, anzi. Il mercato pareva suggerire al musicista di turno troppo preso da altre …“passioni”… di tirar fuori una registrazione per non far freddare il momento positivo. Sostanzialmente oserei dire che fino a Woodstock o Monterey e relativi filmati al seguito, il marketing discografico non solo non puntava sui long playing ma sicuramente non credeva ai dischi da vivo. Molto meglio buttarsi su un best of… pratica che non sbagliava mai… per spingere un artista.

Però c’era chi come me non aspettava altro di ascoltare una presentazione, gli applausi, le prime note di un concerto registrato per chiudere gli occhi e credere di essere lì.

Fu così che feci interessata amicizia con un ragazzo poco più grande di me… giuro che non ne ricordo il nome ma so che i genitori avevano una pensione in centro… cui dapprima iniziai a farmi prestare alcuni nastri artigianali realizzati in proprio per poi passare a infilarmi negli autobus che lui ed altri organizzavano per andare a Bologna, Milano o Roma per alcuni concerti. La cosa più difficile era convincere i miei a mandarmi e a fornire i soldini per i biglietti, che al tempo si potevano ancora comprare nel botteghino davanti alla sala di turno, con uno che faceva la fila per tutti. Fu così che mi portarono a vedere i Jethro Tull, i Sabbath, Zappa alla fine di una estate. E qui ammetto che Zappa, la mia prima volta, non mi piacque un gran ché : troppo difficile, complesso, con strumenti a me non ancora cari come le percussioni e i fiati. Poi cambiai radicalmente idea…

Ma la ricerca di dischi dal vivo non mi abbandonò mai. Anche quando, raggiunti i diciotto anni e finalmente fornito di un mezzo di locomozione coperto, con un paio di balle ai genitori potevo muovermi indipendentemente e tornare a notte fonda dopo un sano spettacolo dal vivo. La pacchia durò poco però. La stagione dell’Italia bandita dai grandi tour grazie al mantra “la musica è nostra e noi non paghiamo” costrinse me ed una manciata di eroi ad attraversare sistematicamente le Alpi per andare a vedere quello che qui da noi non avremmo visto mai; non prima del 79/80.

L’ultimo concerto mancato fu Lou Reed al Vigorelli, 1974, con cubetti di porfido che volavano come coriandoli e un viaggio di ritorno fatto con l’incazzatura di non aver visto niente ma peggio ancora di aver scoperto che quel demente aveva già cacciato la “rock and roll animal band”… da lì in poi fu tutto un Monaco, Parigi, Ginevra, Berna, Zurigo, Francoforte ed un posto infame in Austria dove si stava come dentro una scatola di sardine e ti girava la testa per quello che si fumavano tutto intorno.

Ma la fame di dischi dal vivo non venne mai meno. Tutt’oggi ho sempre un occhio di riguardo per i bootleg e sono stato collezionista di nastri scambiati con mezzo mondo e che ora purtroppo giacciono dentro scatoloni in cantina e che donerei tanto volentieri a chi avesse voglia di digitalizzarseli

Ed ecco perché oggi vorrei ricordarvi di cinque dischi dal vivo che noto non vengono quasi mai ricordati tra quelli “assolutamente da avere” e che, almeno per me, restano capolavori imperituri e fotografie di ere geologiche che non torneranno mai più.

Chi ha avuto modo e pazienza di leggere il mio pezzo precedente, ricorderà che nei programmi radio Rai che ascoltavo da ragazzo, avevo citato You give me lovin’ dei Ten Years After. Il disco, un doppio uscito nel 1973, seguiva la spettacolare e indimenticabile esibizione di Alvin Lee e gli altri al festival di Woodstock. Quel medley di I’m Going Home cristallizzò la fama dei TYA per sempre. Un giorno sarebbe interessante andare a parlare insieme della potenza dell’immagine che riuscì a superare quella della musica in un dato momento storico, fino a diventare, molto in seguito… la coda che muove il cane… come ebbe a dire uno che vedeva parecchio lontano. Ma quel che conta adesso è sottolineare come quelle immagini spinsero il gruppo a pubblicare il loro secondo (!) disco da vivo in pochi anni. Recorded Live sfruttava i risultati di quel brano, You give me loving, circondandolo di classici resi in modo meno “rustico”, meno strettamente blues per iniziati. Sostanzialmente non era un disco di passaggio, ma il modo per ampliare la musica dei TYA porgendola ad un pubblico più ampio.

E a guardare bene l’operazione veniva affrontata con il coraggio di chi non voleva venir meno alle sue origini di british blues proponendo classici come I can’t keep from crying, Good morning little schoolgirl, Help me, e la cavalcata finale di I’m going home. Era un gran disco. Che venne reso ancor più appetibile una decina di anni fa quando una mano caritatevole decise di ristampare in cd l’originale doppio aggiungendo ben sette (!) brani. E’ quello che vi consiglierei di cuore di recuperare, ma voglio andare oltre e aggiungere che se nel 1973 i TYA potevano apparire …potevano… più… puliti… nel febbraio del 1970 erano a soli pochi mesi di distanza da quella macchina velocissima che sfrecciava a Woodstock. Bill Graham, che aveva un orecchio per le cose buone decisamente raro, li invitò per una serie di concerti nei suoi locali. Gli spettacoli del Fillmore East a New York vennero, come lui faceva sempre, registrati. Ma fu solo oltre trent’anni dopo che qualcuno si ricordò di pubblicarli. Il doppio Live at The Fillmore East , introdotto dalla profonda voce di Graham, è un disco di una bellezza avvolgente dove la sintonia tra i quattro musicisti è perfetta , dove la voce e la chitarra di Lee sono al massimo dello splendore e dove c’è la più bella versione di Help Me che voi possiate trovare in circolazione. Fate un doppio sforzo, vogliatevi bene.

Un altro disco dal vivo che ho consumato e che mi sono comprato anche in versione digitale proprio per non finirlo è il Live! di Robin Trower. A mio modesto parere Trower è uno dei più grandi solisti usciti dall’Inghilterra e sicuramente tra i meno noti e comunque ascoltati. Difficilmente apprezzato nei Procol Harum che abbandonò nel 1971, dopo aver vissuto malissimo la scomparsa di Jimi Hendrix, Robin viveva nei Procol Harum all’ombra di Gary Brooker. D’altra parte collaborare ad un gruppo il cui suono era basato sulle tastiere era comprensibilmente frustrante; credo che pochi sarebbero stati in grado di valutarne il vero valore artistico fino a che non intraprese una sua carriera solista. Una nota : dopo l’abbandono di Robin, Brooker scelse progressivamente di avere un chitarrista “di peso” nel gruppo, come se si fosse accorto tardivamente del valore del suo membro originale. E una seconda nota del tutto occasionale…i Procol Harum sono autori di momenti importanti nei sessanta, ma la loro A Salty Dog rimane una delle canzoni più misteriose ed evocative che ricordi… ma tornando al nostro, Trower viene bruscamente inquadrato come uno di “scuola hendrixiana” e questo è altamente riduttivo, oltre che poco corretto. Senza dubbio l’uso dei distorsori e del volume li accomuna, ma il suono dell’inglese è molto più legato alla melodia più che all’impatto . Se dovessi dare un brano di congiunzione tra i due userei lo Spanish Instrumental solo di Jimi, il brano forse più lineare che ricordi di primo acchitto. A legare le passioni c’è anche lo smodato amore per il blues elettrico, che in Trower emergerà molto più nettamente in maturità; i dischi degli ultimi vent’anni sono molto più blues ma vi giuro che i primi album degli inizi carriera, direi i primi cinque di studio includendo questo Live! sono tutti bellissimi. Prerogativa del suono di Robin Trower è il perfetto utilizzo del wah wah unito al feedback che utilizza solo per prolungare l’aspettativa sulle note ancora da suonare.

Se non avete mai avuto tra le mani il suo primo live avete commesso un crimine. Too rolling stoned e Daydream sono le perle di un disco magico che dovete assolutamente ascoltare e possedere; una droga, se entrate nel suo suono. Ed anche il Beyond the mist che è un live attribuito al solo Trower e non alla band è disco assolutamente di prim’ordine.

Un altro disco, in questo caso veramente poco noto se non agli amanti della voce di Steve Winwood… e talvolta neppure a loro… è il disco dal vivo di quella breve avventura che venne chiamata Go.

Un supergruppo assemblato con coraggio e estrema fantasia da Stomu Yamashta, Klaus Schultze, Steve Winwood, Al Di Meola e Michael Shrieve. Musica imprevedibile, guidata dalle tastiere di Winwood e dai sintetizzatori di Schultze ma con la chitarra di Di Meola che viene affiancata nel live da Pat Thrall in una splendida Crossing the line. I Go partoriranno solo due album di studio e questo Live From Paris dove quello che venne definito space rock si mescolava con i solo veloci e jazzati di Di Meola, resi unici dalla voce di Winwood che resta una delle voci più distintive e mirabili del rock inglese. In buona fede non ho idea se i dischi siano di facile reperibilità, ma credo che i compact lo siano. Provate assolutamente a dedicare più ascolti a un genere davvero privo di etichette per un disco che è fascino puro.

Ricordo che quando mi crogiolavo ascoltando i Cream e le loro lunghe jam una delle informazioni principali che nel 1967 ci davano i giornali locali era che nelle metropolitane di Londra era scritto ovunque che… Clapton is God.

Personalmente pur avendo amato i Cream e considerata delirante l’affermazione dei soggetti che sotto il nome di Scaruffi vomitano pareri enciclopedici sul web (…”i Cream furono la band sbagliata al momento giusto”), non ho in seguito mai perso del tutto la testa per la carriera solista di Eric. I suoi dischi solo mi sono sempre via, via sembrati sempre più luccicanti album da rock blues da classifica e così i suoi dischi dal vivo; otto o nove in totale se non sbaglio. Niente da recriminare, esiste di mille volte peggio, ma non mi sono mai esaltato ascoltando… che so ? …24 nights ed ho trovato piacevole, ma non pari alla sua fama il famoso EC was here.

Forse l’aver perso lo spirito acido procurato dall’uso ultradecennale di eroina ha, giustamente, riportato il chitarrista lanciato da John Mayall su binari più lineari, diciamo prevedibili. Ma a lui il mio gusto personale concede due episodi di livello superiore.

Il primo è quel Eric Clapton’s Rainbow Concert che venne organizzato dall’amico di una vita, Pete Townshend, per festeggiare il ritorno alla vita e lo scampato pericolo di morte per Clapton. Dopo un lungo periodo di disintossicazione, avendo perso lo stimolo a suonare e dovendo fronteggiare quella che The Band chiamò correttamente stage fright, Townshend scelse di organizzare un concerto al Teatro Rainbow di Londra chiamando quanti più amici che si rendessero disponibili per festeggiare il ritorno sul palco di Eric. Insieme a Rich Grech, Jim Capaldi, Ronnie Wood, Steve Winwood, Reebop e Jimmy Karstein, Pete gettò letteralmente sul palco un Clapton ancora terrorizzato e rigido, privo di quel folle sprone che gli veniva dalla droga. Il risultato è un disco dove si sente fisicamente la musica unire progressivamente e saldare infine i timori del redivivo. E’ la bellezza del rock che unisce e rafforza, che si appoggia sui brani fondamentali di una carriera e che riempie l’aria di quel piccolo teatro non solo di amicizia ma anche di amore per la vita. E le esecuzioni sono spesso di reale elevato livello. E’ il meglio di Cream, Blind Faith, di Derek and the Dominos, del blues elettrico che viene presentato e anche in questo caso vi suggerisco assolutamente di accaparrarvi la seconda edizione in compact che contiene ben otto brani inediti. Merita.

Il secondo suggerimento per Clapton è quel bellissimo, ripeto : bellissimo doppio dal vivo registrato al Madison Square Garden insieme a Steve Winwood…una sorta di meraviglioso recupero di quelli che sono stati le colonne portanti di quei Blind Faith che avrebbero meritato una sorte migliore…anche se dopo capimmo perchè l’avventura durò così poco… la registrazione del MSG risale al 2008 ed è uno spettacolare viaggio all’interno della musica che questi due giganti hanno prodotto nei settanta. Winwood ha l’incredibile fortuna di possedere una voce che non invecchia mai e la fortuna di essere stato presente quando la Storia del rock metteva dei paletti inamovibili : era lì con lo Spencer Davis Group, con i Traffic, con i Blind Faith e con Hendrix quando alla Royal Albert Hall si registrava quello che per me resta “il” blues elettrico per eccellenza di Jimi. Quella Voodoo Chile versione lunga che nessuno ha mai riprovato ad eguagliare proprio perché insieme al blues di Jimi e alla sua voce c’erano la tastiera Hammond di Winwood e la sua voce a contraltare. Sì, è vero : Hear my train a coming è da brividi… ma quando sento la Voodoo Chile LV mi si accappona la pelle per dieci minuti.

Ecco, per giudicare questo doppio dal vivo del duo Eric/Steve vi basterà sapere che lì dentro c’è l’unica versione di Voodoo Chile che non sfigura con l’originale. Tutto il resto è semplicemente il più bel best of di vent’anni di musica ad un livello che oggi non possiamo far altro che sognare. Se non lo avete in casa siete semplicemente più poveri.

L’ultimo disco che non posso fare a meno di citare è un classico di chi è cresciuto a pane e rock blues… vorrei solo riportarvi una esperienza personale, per quel che conta. Quando ancora avevo voglia e credevo che parlare con tanti musicisti fosse una cosa particolarmente interessante…e restavo spesso deluso, forse anche per colpa mia che non toccavo i tasti giusti, o forse per colpa loro che avevano poco da dire… quando si parlava di voci importanti nel rock inglese, sette o otto soggetti mi rispondevano sempre : Paul Rodgers ha una voce incredibile ! Ecco, sinceramente vorrei elencarne altri con voci incredibili, ma la sua fama tra colleghi conta sicuramente più del mio gusto personale.

E Paul Rodgers, quando parlava del suo sfortunato amico chitarrista, Paul Kossoff, diceva : non è uno che suona tantissime note, ma suona tutte quelle giuste… impossibile quindi non aggiungere l’unico live dei Free, un gruppo mai troppo amato e che aveva dalla sua anche la forza di comporre grandi brani. Free Live è un disco che chi non l’ha amato è perché non lo ha mai posseduto, perché gli originali otto brani sono tutti dei classicissimi del rock inglese… e perché, grazie al cielo, anche qui chi ha prodotto la seconda edizione del disco ne ha aggiunti altri sette ! Un disco con un grande cantante, grandi pezzi, un chitarrista personalissimo, con due brani su tutto : Be my friend e The Hunter… dire Mr Big sarebbe stato troppo facile.

Oggi andare a un concerto non è più facile come un tempo : devi comprare i biglietti a prezzi spaventosi, con prevendite irragionevolmente alte, un anno o dieci mesi prima e se qualcosa accade hai perso tutto… i miei amori sono quasi tutti andati e la speranza di vedere qualcosa del medesimo livello è difficile… lo so , sono un inguaribile boomer. Ma credo e mi vanto di avere ascoltato la miglior musica dell’Universo, una cosa che è sempre più rara di giorno in giorno… ma il gusto di un bel disco dal vivo, quello non me lo può togliere nessuno.

10 Commenti

  • Tim Tirelli ha detto:

    Ciao Giancarlo, bell’articolo! Un paio dei live di cui parli hanno forgiato anche me, ascoltare da ragazzino RECORDED LIVE dei TYA e FREE LIVE contribuì alla mia formazione di uomo… trattasi di Blues Rock magnifico. Che dire poi del pezzo da studio che chiude l’album dal vivo di Koss e Rodgers? Get Where I Belong è un quadretto color pastello che mi porto nel cuore da allora. Rimanendo in tema aggiungo che se avessi scritto anche io una riflessione come la tua avrei senza dubbio aggiunto il Live del 1978 di Frank Marino & Mahogany Rush … le loro versioni di I’m A King Bee Baby e Johnny B. Goode sono uno spettacolo.
    Grazie anche a te dei bei ricordi.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Tim, amico mio… certamente i Mahogany Rush faranno parte di un’altra ricordo di dischi dimenticati… insieme a un paio che spero ti incuriosiranno… sai meglio di me che queste sono operazioni più che parziali,viziate dai gusti e dai ricordi… ma magari qualcuno cui viene la voglia di recuperare o di scoprire c’è sempre. I Go, ad esempio, sono un’avventura ben poco ricordata credo. Ma TYA e Free sono capisaldi di chi ha basato i propri gusti sul rock e sul blues, come ricordi giustamente… guarda che prima o poi quando il tuo socio interista viene a trovarmi dovrai scollettare l’Appennino… 🙂

      • Tim Tirelli ha detto:

        Sì, i Go li avevo dimenticati … per quel che potevo capire allora (ero davvero giovane) mi sembrò un progetto bizzarro. Non ero maturo per poterlo apprezzare. Mi avvicinavo per la prima volta a Elegant Gypsy e Casino, erano usciti da pochissimo, andrai a ritroso, arrivai a Romantic Warrior dei Return To Forever … quel Jazz Rock era una meraviglia ma era già tanto per me che ero irretito dal Rock Blues di LZ, Johnny Winter e Free. Poi certo, ascoltavo anche ELP, Genesis, Yes e Premiata, ma i Go erano troppo suppongo. Qualcuno me ne parlò mi par di ricordare…ma erano anni in cui dovevi fare scelte e se dovevi comprare qualcosa cercavi di farlo nell’ambito che sembrava a te più consono. Per tornare ai Mahogany Rush, i primi album da studio (soprattutto i primi tre) sono troppo hendrixiani, fatico ad ascoltarli, ma il LIVE del 1978 ritengo che sia una bomba. Keep up the good work.

  • Francesco angius ha detto:

    Salve, interessati i titoli proposti. Io stravedo per i Free e e Ten years After e posseggo i vinili che hai citato, anzi ho ” arato” quei solchi con la puntina del giradischi. Artisti che hanno avuto successo, ma non commisurato al loro valore. Paul Rodgers visto a Pistoia blues con Neil Schon alla chitarra, con molti pezzi dei Free presentati. Una delle migliori voci rock all time. Gli altri titoli mi coinvolgono meno, ma sono impressioni personali trattandosi anche essi di grandi autori. Mi permetto di consigliare Super session con un certo Mike Bloomfield, potrebbe piacere. Ciao, grazie e scusa l’ intrusione. Ottima come sempre la tua scrittura.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Intrusione ? Macchè… scriviamo per condividere passioni e opinioni, hai fatto bene a scrivere! E tra i dischi dal vivo Supersession è senz’altro decisamente bello ma abbastanza noto… ne cercherò qualcun altro che spero interessante.

  • Paolo Mon ha detto:

    Caro Giancarlo,
    ho scoperto questo blog da qualche mese, lo leggo, lo rileggo, mi segno i dischi da approfondire – per capirci i THIRD MIND sono diventati il mio gruppo del momento – ma questo articolo mi ha proprio spinto a scrivere.
    A Metal Shock sono arrivato tardi, nel ’92, quindi ho perso sia te che Beppe, ma se con uno mi rifeci con l'”Enciclopedia rock hard & heavy” dell’altro…beh…Massimo Riserbo mi ha letteralmente forgiato.
    Ciò detto, mi limiterò a dire che letto l’articolo, dopo un ascolto in rete, mi sono fiondato dal mio negoziante di fiducia – inutile precisare che io la musica la voglio fisica – e sono corso ad ordinare i GO (mai sentiti ricordare prima. Un’altra tacca alla tua pistola) e il Live dei T.Y.A. al Fillmore (l’altro è mio già da decenni). Roba da 20 euro circa, in cd, quindi niente di traumatico.
    Su Clapton mi permetto di segnalare il live “Nothing But the Blues” che ripropone il tour del ’94 di From The Cradle (per me, l’album blues definitivo). Nel suo habitat naturale è ancora GOD.
    Leggere finalmente qualcuno che scrive di Paul Rodgers e dei Free mi ha riempito di soddisfazione. Sono uno dei miei gruppi preferiti e lui è per me il più grande di tutti (con Gillan, ma la sua di grandezza durò pochi anni, poi addio voce) e mi stupisco sempre come in fin dei conti non siano mai particolarmente citati.
    Grazie ancora per quello che fate/scrivete e – ça va sans dire – in attesa con il quaderno degli appunti per i prossimi 5 recuperi live.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Ringraziamo … includo il socio Beppe… per la simpatia. I dischi belli di un tempo sono mille volte… un milione di volte… più di quelli che riusciremo mai ad ascoltare. Qualche dubbio lo riserbo per i dischi attuali, dove il già sentito , almeno per me, è trascendente. Continuo a provare, anche spinto dalla curiosità, ma di materiale fresco e originale non ne trovo. Tranne alcune eccezioni che a mio parere meritano approfondimento.
      Ne troverò senz’altro altri di live di cui parlare.

  • Baccio ha detto:

    Caro Giancarlo,
    condivido con Te l’amore per i dischi Live e questo Tuo articolo è esattamente ciò che amo leggere sull’argomento.
    Di viaggi all’estero in bus per vedere i concerti ricordo Grenoble AC-DC gennaio 1981 (un freddo cane) tour di Back in Black, gruppo spalla previsto Whitesnake che invece dettero buca sostituiti dagli sconosciuti Caroline e soprattutto Led Zeppelin 29 giugno 1980 Zurigo viaggio organizzato da Carmine Vaccaro promoter con partenza da Firenze P.zza Stazione.
    Possiedo tutti i dischi che hai mirabilmente esaminato eccetto Go Live from Paris, procedo quindi curioso al suo asconto.
    Chissà che quando venivi a Pisa non ci siamo incrociati nel negozio di dischi di Borgo Stretto (Brondi se non ricordo male).
    Mi raccomando aspetto la seconda puntata “altri 5 dischi Live da recuperare” e così via ……..
    Un abbraccio

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Andavo a sbavare sulle vetrine di diversi negozi e dato che ho finito il liceo a Pisa e poi l’università, Brondi era un posto dove passavo spesso.
      Quanto ai live… beh credo proprio che mi permetterò di fare qualche altra puntata… è divertente…

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