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ALBUM & CD

Altri live da non perdere né dimenticare

Recuperiamo altra musica dal vivo dai nostri scaffali... oppure andiamo a cercare le note che vi siete persi...

La mia passione per la musica dal vivo vi è ormai chiara. D’altra parte il desiderio, spesso maniacale, con cui nel corso della mia vita ho ricercato e individuato cercando di possedere quelle note, difficilmente potrebbe essere definita diversamente.

Le migliaia di nastri di cui vi ho già raccontato, le centinaia di bootlegs, i pacchi di uscite ufficiali che ho accumulato rappresentano il piacere di poter ancora pensare che c’è stato un tempo in cui insospettabili musicisti sapevano smuovere insospettabili molecole d’aria utilizzando insospettabili strumenti suonati con maestria e competenza. Per ricordare ciò che disse il Maestro : queste sono cose che non puoi più fare dal vivo, su un palco.

Non che non riesca ad apprezzare il prodotto di studio, ma la magia che si crea su un palcoscenico con la tensione che rimbalza dal pubblico all’esecutore non può non dar vita ad episodi che altrimenti, nel chiuso di uno studio circondato da vetri, non sarebbero mai potuti accadere.

La storia del rock and roll gronda esempi di quello che in una sera fatata… in una enchanted evening… grazie al caso, alla esaltazione, allo stimolo che solo un urlo, un applauso può suscitare è accaduto e grazie al Dio della Musica è stato fissato per l’eternità in un nastro.

E non necessariamente può essere una esecuzione. A volte la musica popolare ci dona episodi così casuali da diventare fondamentali per l’intero movimento… vi cito a caso il primo che mi viene in mente : immagino che conosciate la storia della esibizione degli U2 al Live Aid… ve la faccio breve. Al gruppo, decisamente poco noto nel 1985, era stato concesso un tempo di venti minuti per tre brani. Sunday Bloody Sunday, Bad e Pride. La notte precedente al concerto, Bono non chiuse occhio cercando di trovare le poche parole che gli sarebbero state concesse per tentare di entrare nella Storia, per essere ricordato. Telefonò persino al padre, a Dublino. Il giorno dopo, nel corso del secondo brano, Bad, brevemente introdotto, nella calca formatasi davanti al palco, alcune ragazze stavano per essere schiacciate; la sicurezza iniziò a tirarle fuori. Bono allungò una mano per salutarne una, che gli venne quasi strappata davanti. La terza, confusa e stordita dalla calca, gli venne quasi consegnata. Lui la prese, la abbracciò, e d’istinto iniziò a danzarci lentamente insieme, mentre il gruppo prolungava molto oltre il dovuto il tempo della canzone. Alla fine della danza non c’era più tempo per Pride e gli U2 vennero spediti fuori dal palco. Narra la leggenda che The Edge fosse imbestialito al punto di non parlare neppure con il cantante. La mattina successiva tra le scene più importanti di quel concerto mitico il mondo parlava proprio di quella danza, che da quel giorno è stata ripetuta e copiata da migliaia di colleghi…

Ma noi vogliamo parlare e limitarci alla musica, per cui ho trovato, veramente quasi per caso, alcuni live i cui esecutori hanno una connessione, un filo rosso che li lega.

Nel 1977, uno dei dischi dal vivo che ho consumato è stato il Double Live Gonzo ! di Ted Nugent. Ho avuto occasione di vederlo dal vivo solo una volta al massimo, per me, della sua creatività esecutiva e compositiva. In un localaccio austriaco, una specie di tendone, con un paio di migliaia di belve urlanti, ricordo un palco del tutto spoglio dove musicisti e batteria erano piazzati davanti a un muro di una ventina di amplificatori Marshall. Il volume era al limite dello stordimento. Ted con calzoni indiani con frange, una specie di coda di volpe appesa al fianco, mocassini, capelli lunghissimi, tenuti da una fascia, suonava una Gibson semiacustica. Fu davvero il mio primo incontro con un vero e reale animale da palcoscenico : nulla mi era mai parso così violento e incontenibile come quel tipo su quel palco. Davvero si aveva l’impressione che se qualcuno l’avesse infastidito sarebbe sceso tra il pubblico a mangiarselo vivo. Ho visto un numero vergognoso di concerti, per lavoro o per diletto, ma quella impressione di puro istinto animalesco non l’ho mai più provata.

Gonzo , uscito nel 1978, riporta esecuzioni dal 1976 al ’77 ed è, per me, quello il periodo incredibile di un solista che riusciva a creare note taglienti come rasoi senza sconfinare mai nella cacofonia. Neppure quando, alla fine del concerto, appoggiava la chitarra ai Marshall creando un fischio di feedback che spaccava i timpani. Quando vidi Nugent avevo nelle orecchie la Stranglehold, il Great White Buffalo, la Cat Scratch Fever, la versione bomba di Baby Please don’t Go, tutti brani di un impatto pari solo alla rottura dei freni della vostra auto davanti al muro di casa. Chi non ha alzato il volume e provato il trattamento Nugent non si rende conto che a fronte di Ted i satanisti sembrano delle Barbie senza Ken a difenderle. Quant’è che non riascoltate questo disco incredibile ?

Nelle scorribande che Nugent organizzava nella zona di Detroit e dintorni, dove si narra ancora di gare di assolo tra lui, Mike Pinera, Randy Holden e chiunque si presentasse, ogni tanto emergeva un tipo che si era fatto una certa fama suonando come solista in un gruppo chiamato Nitzinger. Buddy “Bugs” Henderson alla fine dei settanta ha fatto parte della mia sbandata per quella miscela di heavy rock e blues elettrico che trovò poi in Stevie Ray Vaughan la punta di un iceberg che sarebbe il caso di riportare poco per volta alla luce. Bugs Henderson era, dato che purtroppo se n’è andato una dozzina di anni fa, un solista di raro gusto, grande potenza e impatto, autore di un rock blues così immediato e coivolgente che la prima volta che per puro caso mi capitò di ascoltare il suo At Last, disco dal vivo dalla impressionante presa immediata, ebbi a pensare che proprio negli anni del punk il rock ed il blues erano ancora anni luce avanti a quei ragazzini che bene avrebbero fatto a restare nelle cantine di papà. At Last uscì per una oscura etichetta locale, la Armadillo, e non ho la più pallida idea se sia reperibile su cd e come, ma vi garantisco che se aveste mai la possibilità di assicurarvelo, sono così sicuro della sua classe cristallina che vi giuro che mi potrei permettere di rifondere chi si sentisse defraudato dei relativi euro… Bugs si presentava sul palco in shorts, scalzo, spesso con una incipiente calvizie : chiudendo gli occhi potevate sentire il blues elettrico pulsare alle tempie. Ed è quello che contava.

Citando le battaglie soliste di Nugent ho volutamente non citato uno che si dice fosse spesso presente : un canadese, ex- eroinomane, che raccontava di sé che trovandosi in ospedale per una overdose, venne “visitato” in sogno da Jimi Hendrix. Il giorno dopo, giurato di smettere con l’eroina, scopriva di essere stato miracolato dall’alieno Jimi : Frank Marino improvvisamente non solo sapeva suonare la chitarra che non aveva mai preso in mano ma era diventato una forza della natura. Mi ricordo che …proprio nel solito 1978… ascoltato il Live dei Mahogany Rush, il suo gruppo, mi innamorai perdutamente di quel simpatico bugiardo al punto di passare di mercatino in mercatino a Londra per assicurarmi i primi dischi che in Italia non erano mai arrivati. Ma se gli inizi erano particolarmente legati al suono della Experience, il Live mostra un calderone di hard rock circondato e impreziosito dal caro vecchio blues elettrico che il mondo muove e governa. Ancora oggi, vi giuro, ascoltare il trio di Frank è una esperienza senza tempo : brani come The Answer, Dragonfly, gli estratti della classicissima Who do you Love ma sopra ogni cosa la stella cometa di I’m a King Bee erano la miglior medicina per evitare di finire a credere che da Londra ci fosse una nuova linea di rock ad roll in grado di cancellare musica davvero inestinguibile. Se, al solito, è molto che non ascoltate Frank Marino oppure se siete così poveri da non avere in casa quella meraviglia… beh rimediate immediatamente. Vogliatevi bene.

E chissà perché finisco sempre con il sottolineare che un tempo sembrava che un cesto di capelli ed un paio di jeans fossero più che sufficienti a vestire chi produceva musica immensa davvero. Perché ciò che contava era quello che proveniva dalle casse acustiche, dalla amplificazione, non dal negozio di abiti in stile. Ma voglio andare oltre : in certi momenti sembrava quasi che apparire esteticamente risibili come il commercialista a far spesa al supermercato… abbiamo appena detto di Bugs in calzoncini corti sul palco… fosse del tutto inversamente proporzionale alla incredibile qualità della musica che si andava a produrre. Un campione di antiestetica presenza è sempre stato il tanto sfortunato quanto incredibilmente bravo Roy Buchanan. Solista dal tocco magico, delicato, pieno di gusto e dal suono personalissimo proveniente dalla sua Telecaster. Buchanan è stato veramente l’antieroe del rock blues elettrico, forse il chitarrista meno famoso che ha influenzato in modo marcato generazioni di solisti. Tanto per aiutarvi a capire, Jeff Beck, Jerry Garcia, Gary Moore, David Gilmour, Mick Ronson adoravano questo omino buffo con la barbetta, calzoni a scacchi che si presentava sul palco con un baschetto a coprire la calvizie ma che tirava fuori dalla chitarra suoni così limpidi e personali che affascinavano. Il Live in Japan che vi consiglio assolutamente di riascoltare o di portare a casa ad ogni costo, contiene la più sorprendente versione di Hey Joe che vi sia mai capitato di ascoltare. Partite da lì, capirete tutto : Roy, morto in circostanze mai del tutto chiarite, detenuto per ubriachezza venne trovato impiccato con la sua maglietta, una situazione davvero difficile da credere, era un genio scomparso davvero troppo presto.

E dato che Buchanan era amato da un amico che se n’è andato anche lui troppo presto pochi anni fa, voglio rendergli merito per avermi convinto, sette o otto anni fa, ad accompagnarlo a vedere un tipo di cui non avevo mai sentito parlare. Di solito mi trovo un po’ a disagio ad assistere a concerti di cui non ho mai ascoltato una sola nota in precedenza dell’artista, ma quando mi accade di trovare immediatamente la sintonia con quello che sento suonare, significa che sono davanti a qualcuno che sa coinvolgere. Maurizio, il mio amico, mi portò a vedere Krissy Matthews, un solista anglo-norvegese che ha oggi 32 anni ma che ne aveva una venticinquina quando lo vidi in un ex-mercato contadino in Lucca. Non voglio togliervi la sorpresa di scoprirlo, temo che nonostante la sua effervescenza e freschezza non sia ancora riuscito ad emergere, ma se il rock and roll mescolato al blues del suo Live at Freak Valley non vi farà saltare sulla sedia… vuol dire che vi siete fatti male salendo le scale di casa. Cercatevelo, poi fatemi sapere…

Perché a volte c’è ancora la possibilità di riuscire a continuare a fare certe cose dal vivo, su un palco. Sta a noi andarle a scoprire.

14 Commenti

  • Gaetano ha detto:

    Ciao Giancarlo, sempre in merito agli album “live da riscoprire”, cito in ordine sparso….., a mio personalissimo parere: Highway song live del 1982 dei Blackfoot; Talk ( o Speak a seconda delle edizioni) of the Devil del buon Ozzy sempre del 1982; If you want blood del 1978 degli AC/DC; “One more from the road” dei Lynyrd Skynyrd del 1976. Album in cui la dimensione live è molto “presente”.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Caro Gaetano i live da ricordare sono… sarebbero centinaia, se non di più . Quelli che ricordi tu sono tutti eccellenti esempi e meritano qualche riga di stimolo per recuperarli… anche se sono dischi decisamente diffusi. A volte provo a recuperare dischi un po’ più oscuri, meno comuni. Proprio per indovinare se qualcuno li possiede o sia stimolato a cercarseli. Comunque ottima indicazione la tua. Peraltro ho sempre amato il suono di Brad Gillis su quel live… tormentato.

  • Gaetano ha detto:

    Grazie per questa “seconda puntata” Giancarlo, con il “Gonzo” mi ci sono rovinato le orecchie, in senso reale, i feedback e gli acuti di Ted erano veramente devastanti. Frank Marino me lo fece conoscere un mio prof. ai tempi del liceo , era il 1982 0 il 19 83 non ricordo bene, non mi fece grande impressione allora, visto che ero preso da Iron Maiden, Saxon e dalla compagnia varia che spopolava in quel periodo. Poi con l’età certe ferree convinzioni cedono il passo ad una visione piu ampia delle cose. Bella sorpresa Matthews. Grazie…. come sempre, e .. a presto per una “terza puntata”.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      …mi divertirò ancora a tirare fuori un po’ di dischi dal vivo dai miei scaffali, sperando di trovare… “quello giusto”…

  • MarMar ha detto:

    TEEEEED!!!! Immenso, il “Double Live Gonzo” è il classico disco che va consumato, troppo, troppo forte! Ted personaggio unico, quasi estremo, che può piacere o non piacere (sacrilegio!), ma ritengo che abbia scritto, almeno fino ai primi ottanta, hard rock terremotante e sublime come pochi altri al mondo. Di Frank Marino non di può che parlare bene, mentre gli altri li ho sentiti soli nominare, per cui sarà mia cura nel provvedere a colmare questa lacuna musicale.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Beh, lo scopo è ricordare grandi dischi dal vivo e stimolare a cercarne di nuovi… datti da fare… 😉

  • francesco ha detto:

    Complimenti e grazie per aver riportato all’attenzione alcuni dei miei artisti preferiti.
    Frank Marino e Ted Nugent sono due grandi chitarristi di cui posseggo ogni “gemito”, che da noi hanno avuto poco successo ma oltre oceano hanno fatto sfaceli e influenzato generazioni di chitarristi.
    I live, hai ragione, sono veramente potenti, con versioni dilatate e potenti di brani che in studio comunque sono validissimi.
    Mi sarebbe piaciuto vederli live ma difficilmente sono transitati vicino alla nostra Italia.
    Ora sono oramai vetusti e le possibilità di averli live sono tramontate.
    Si trovano video di loro concerti, ma non è la stessa cosa.
    Peccato!

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Non credo nemmeno che Marino sia mai venuto in Europa… Ted è molto che non attraversa più l’oceano. Due bei solisti, vero.

  • Paolo Mon ha detto:

    Interessante questa seconda puntata. Perché ho potuto scoprire, e immediatamente ascoltare, un paio di illustri, a me, sconosciuti: Bugs Henderson e Krissy Matthews. Mica male, ho già sguinzagliato chi di dovere per vedere se si trovano, cd o vinile poco importa. Di Buchanan ho Live Stock, ma questo Live in Japan è introvabile, mannaggia! Per fortuna che c’è Youtube (a volte è veramente utile, altroché). Stupendo. Buchanan sembra uscire da quei teen movies in cui la racchia ad un certo punto si toglie gli occhiali, si scioglie i capelli e diventa uno schianto. Ecco, lui se si toglie la coppola non sarà mai un adone, ma quando imbraccia la chitarra francamente mi pare spazzi via il 90% dei colleghi. Farò l’impossibile come da indicazione, “ad ogni costo”. Su Frank Marino e Ted Nugent (sempre troppo dimenticato quando è il momento di menzionare i Grandi Solisti della chitarra) poco da dire, soprattutto il secondo: quando metto su il suo primo solista o il Double Live Gonzo prendo la scossa. Pur non richiesto butto là una mia fissa: i Golden Earring del Live ’77. Un’esibizione di superiorità chitarristica nell’improvvisazione che non ha praticamente rivali nell’hard rock (dopo Made in Japan è il mio live preferito in assoluto). Confido in una terza puntata perché questi articoli sono autenticamente preziosi perché consentono di scoprire perle. E di sti tempi ce n’è proprio bisogno

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Beh… incuriosire è uno degli scopi del nostro blog… Bugs e Krissy meritano ed il secondo avrai la possibilità di vederlo dal vivo anche in Italia, spero.

  • Fabio Zavatarelli ha detto:

    Sacrosante rievocazioni e Bugs Henderson una sorpresa, veramente una scoperta piacevolissima.
    Grazie Giancarlo.

    PS – Un’unica nota (da nerd, lo ammetto): Ted Nugent non suonava con i Marshall ma 4 o 5 Combo Fender da 80/100 watt tirati a cannone (forse erano Twin Reverb). 😉

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Non sono un nerd e neppure un tecnico quindi non insisto ma se trovassi una foto di quel tendone potrei fimostrarti che quelli, nel 1978, erano Marshall… forse in Europa utilizzava quel che gli mettevano a disposizione? Ed erano un muro… una decina sicuramente… 🙂

  • Roberto ha detto:

    Grazie per aver ricordato l’immenso Roy Buchanan ,la sua Wayfaring Pilgrim nel ” Live at Rock palast è qualcosa di commovente ,di Frank Marino splendido anc” Real live ” del 2004.
    Andrò alla scoperta di Krissy Matthews

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