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ALBUM & CDTimeless : i classici

QUEEN: “Rock Montreal” celebra i migliori anni

Di 18 Aprile 20244 Commenti

Queen 1975 (foto: Getty)

Nel corso della loro lunga carriera, i Queen hanno goduto di straripante popolarità, tale da coinvolgere un pubblico generalista, disposto ad assimilare ogni genere di largo consumo spacciato come moda dal supermarket della musica pop…Si è così generata una visione senz’altro riduttiva di una delle formazioni rock di maggior successo di ogni epoca: in patria, e nell’ottica devota dei fans diffusi a ogni latitudine, i Queen sono un’autentica istituzione del rock’n’roll.
Emblematico anche l’esito di un referendum fra i lettori di Record Collector, la rivista più autorevole per i ricercatori di rarità discografiche e memorabilia, che da tempo ha elevato il quartetto londinese addirittura al secondo posto fra gli artisti più “collezionati”, preceduti dagli immortali Beatles ma davanti a campioni storici del rock quali Rolling Stones, Elvis Presley, Le Zeppelin e David Bowie. Un traguardo raggiunto prima della morte di Freddie Mercury, The King Of Queen, avvenuta il 24 novembre 1991 e destinata ad aumentare esponenzialmente il valore dei più difficili reperti di vinile e dell’oggettistica riguardante un gruppo ormai entrato nella mitologia universale della musica. “Sua Maestà” del rock inglese è stato certamente il dissoluto sovrano Freddie Mercury, da molti riconosciuto come the ultimate showman, il definitivo uomo-spettacolo e padrone delle grandi arene stracolme di folla. Sebbene l’ultimo hit-single che gli rendeva omaggio, recitasse profeticamente “The Show Must Go On”, quasi un testamento per Freddie rassegnato alla propria sorte, il grande commediante sapeva benissimo che fra quei barocchismi musicali dall’enfasi melodrammatica si chiudeva un ciclo irripetibile nell’epopea del gruppo, mai più lo stesso senza il suo insostituibile front-man.
La nuova riedizione di “Queen Rock Montreal”, album dal vivo e film registrati a fine novembre 1981, offre lo spunto per ricostruire in questa sede il primo decennio d’iter artistico dei Queen, nettamente il più fertile a livello d’ispirazione musicale, già sintetizzato nel perfetto terminale, il celebre “Greatest Hits” (vol. I), uscito circa un mese prima dei concerti nella metropoli canadese.

Queen 1971-1981

In origine, i Queen sono anticipati da due gruppi-embrione: Smile, in cui suonavano Brian May e Roger Taylor, e Wreckage, una blues band dove Mercury sperimentava i primi rudimenti della sua arte da entertainer. Solo i primi abbozzeranno una carriera discografica con il singolo “Earth”/”Step On Me” (1969) unico documento di un’attività durata dal 1967 al 1969, pubblicato solo negli Stati Uniti ed ironicamente per l’etichetta Mercury. Un mini-album postumo di sei brani, “Getting Smile”, sarà pubblicato in Giappone nel 1983, sulla scia del crescente successo dei Queen, portando alla luce registrazioni riconosciute nella loro autenticità dallo stesso Taylor. Quando, nell’estate 1970, il terzo membro degli Smile, Tim Staffel, decideva di giocare le sue carte negli Humpy Bong (capitanati da un ex Bee Gees), Mercury fu chiamato a rimpiazzarlo; dopo una selezione di numerosi bassisti, all’inizio del 1971 Deacon è ritenuto l’elemento adatto. Lo stesso Mercury aveva ribattezzato la formazione, a suo dire perché “Queen è un nome davvero regale, e suona in modo splendido”, associandone anche la scelta all’emergente movimento glam: “Il concetto che anima i Queen è quello di essere regali e maestosi, Il glamour è una parte di noi, e vogliamo essere dandy”. E’ generalmente riconosciuto che il nome del gruppo riflettesse comunque il carattere androgino e oltraggioso del suo cantante. Freddie Mercury (vero nome Farrokh Bulsara) era nato il 5 settembre 1946 nell’isola di Zanzibar, una colonia inglese a est della costa africana, e aveva vissuto un’infanzia agiata trasferendosi poi a Bombay, in India, al seguito del padre, un diplomatico di origini persiane. Si vuole che la fantasiosa mitologia orientale abbia stimolato l’immaginazione e il gusto creativo del giovane Freddie, che giunse in Inghilterra nel 1959, nella meno lussureggiante Feltham, Middlesex, dove abitò con la famiglia nelle vicinanze del futuro partner Brian May. Benché ammaliato da Jimi Hendrix, Mercury divenne piuttosto un eccellente pianista, e completò la sua educazione laureandosi in design.
I Queen saranno verosimilmente la più “erudita” fra le rock’n’roll band, poiché tutti i suoi membri frequenteranno il college con profitto: May conseguirà la laurea in astronomia, Taylor in biologia e Deacon in elettronica. Quando, nell’estate 1970, il futuro cantante dei Queen conobbe i più giovani Roger Meddows-Taylor (nato il 26 luglio 1949 a Kings Lynn) e Brian May (nato il 19 luglio 1947 a Twickenham, un sobborgo di Londra), quest’ultimo non desiderava impegnarsi con un nuovo contratto discografico, poiché il suo intento prioritario era di portare a buon fine gli studi accademici… John Deacon (nato il 19 agosto 1951 a Leicester) lavorava e studiava prima di avere il privilegio di entrare nell’ “Armata Regale”.
All’inizio del 1972, i Queen furono invitati a collaudare la nuova attrezzatura dei De Lane Lea Studios di Wembley, e approfittarono del tempo a disposizione per registrare demos dei loro primi brani, “Liar” e “The Night Comes Down”, che figureranno sull’album d’esordio, e “See What A Fool I’ve Been” più “Stone Cold Crazy”, quest’ultima posticipata fino all’atto terzo, SHEER HEART ATTACK. Anche Roy Thomas Baker, ingegnere del suono dei Trident Studios, visita i De Lana Lea accompagnato da John Anthony, che aveva collaborato con gli Smile all’epoca del singolo. Baker era impegnato nella sua prima produzione, il secondo LP degli scozzesi Nazareth, ma rimane folgorato dai Queen, che stanno provando “Keep Yourself Alive”, e per sua stessa ammissione si disinteressa totalmente degli aspetti tecnici dello studio di registrazione.
Grazie alla determinazione di Roy Thomas Baker, nel novembre 1972 i Queen firmano un contratto di produzione, editoriale e manageriale, con la Trident Audio Productions. La registrazione dell’album, con gli stessi Baker e Anthony supervisori, viene ultimata nella primavera dell’anno successivo, quando il responsabile della Trident, Jack Nelson, assicura al gruppo il contratto discografico con la EMI.
L’etichetta presenta ufficialmente i Queen con un prestigioso show al Marquee di Londra, il 9 aprile 1972, ma Mercury e compagni devono attendere altri tre mesi per la pubblicazione dell’omonimo album di debutto (13 luglio 1973) preceduto di una settimana dal singolo “Keep Yourself Alive”, che nonostante l’indubbio potenziale non riceve promozione radiofonica. I Queen assistono impotenti all’ascesa nelle classifiche delle “teste di serie” del movimento glam, Roxy Music e David Bowie, mentre è ancora presto per accorgersi che i gloriosi riffs di chitarra di Brian May, e le parti vocali più aggressive di Mercury, influenzeranno profondamente il futuro di questo genere, istigando la svolta hard di un gruppo bubblegum di grande successo, The Sweet. Mercury poteva così permettersi di confessare: “Siamo stati glam rockers prima degli Sweet e di Bowie, ma ora siamo preoccupati, perché potremmo aver esordito troppo tardi”.

Le frustrazioni del cantante si riveleranno infondate, ma nel frattempo la popolarità dei Queen nel circuito londinese dei club non si estende a scala nazionale, anche per la mancata programmazione di un tour di rilievo. Solo in tempi successivi è stato confermato che un mese prima del debutto ufficiale, i quattro musicisti avevano inciso il singolo “I Can Hear The Music” (EMI) celando le loro identità sotto lo pseudonimo di Larry Lurex: un disco teso a evidenziare le già svettanti qualità vocali di Mercury, e divenuto un prezioso pezzo da collezione.
In America e in Giappone i Queen erano sotto contratto per Elektra/Asylum, e negli Stati Uniti le vendite e l'”inquinamento” radiofonico risultavano più incoraggianti rispetto alla stessa Inghilterra, grazie all’energia hard rock paragonata allo stile dei dominanti Led Zeppelin.
Ma nell’inverno 1973 i Queen ottengono la necessaria esposizione live nella tournée nazionale di supporto ai Mott The Hoople, che approda anche al celebre Hammersmith Odeon; pungolata dal confronto a distanza con l’Elektra, la EMI applica tutta la sua forza strategica nella promozione del secondo album. QUEEN II è pubblicato nel marzo 1974 in concomitanza con il futuro tour inglese, condotto dal gruppo come attrazione principale; ottiene l’immediato break commerciale e si svelerà album seminale, riconosciuto come fonte di primaria ispirazione ad esempio da Nuno Bettencourt, futuro guitar hero degli Extreme. Il rock pomposo di “Father to Son” influenzerà virtualmente anche le “risposte” americane ai Queen, certi Styx e soprattutto Angel, che svilupperanno anche il gusto della posa in vestiti bianchi del tandem di primo piano Mercury & May. L’album è ricco di concetti mitologici, ben trasferiti nell’epico rock di “Ogre Battle” o “March Of The Black Queen”, o nelle reminiscenze folk à la Wishbone Ash di “White Queen”.
QUEEN Il irrompe al quinto posto delle classifiche nazionali, e sulla sua scia si registra il ritorno di fuoco del predecessore, che raggiunge il n° 24. La nuova versione di “Seven Seas Of Rhye”, apparsa originariamente sull’LP d’esordio, diventa il primo singolo Top 10 inglese dei Queen. Il sodalizio della band con il produttore inglese Roy Thomas Baker prosegue con il terzo SHEER HEART ATTACK (novembre 1974), considerato un classico dell’hard rock. Non a caso i Metallica, longevi detentori della corona dei “pesi massimi” ultra-heavy hanno inciso un infuocato remake di “Stone Cold Crazy” offrendolo come loro contributo a “Rubayat”, la compilation a celebrazione del 40° anniversario Elektra. SHEER HEART ATTACK sfiora il primato in patria, arrestandosi al secondo posto, e il singolo “Killer Queen” ottiene lo stesso risultato esibendo la vena più melodica del gruppo, caratterizzata dalle molteplici armonie vocali impartite da Mercury. Diventa anche il loro primo hit negli Stati Uniti, guadagnando il disco d’oro nonostante la tournée americana, ancora in apertura dei Mott, venga interrotta per le cattive condizioni di salute di May.
Nel 1975 i Queen esordiscono dal vivo nella terra del Sol Levante e sono al centro di dispute economiche con la Trident, concluse con il divorzio dall’agenzia. Il gruppo e il suo produttore s’accordano in settembre con il manager di Elton John, John Reid, e il nuovo contratto prelude alla straordinaria affermazione dell’elaboratissimo album a seguire, A NIGHT AT THE OPERA. Registrato in sei differenti studi, il quarto LP dei Queen viene presentato come uno dei più costosi della storia del rock, e il manifesto dei suoi faraonici eccessi è il singolo che lo annuncia due mesi prima, “Bohemian Rhapsody” (ottobre 1975): un brano rivoluzionario, sorta di opera lirica concentrata in pochi minuti e sottoposta a trame heavy di rara grandeur. Al perseguimento del magniloquente affresco musicale si sono rese necessarie ben tre settimane di capillare lavoro in studio; solo l’intricata registrazione delle intricate parti vocali ha richiesto sette giorni, e due si sono resi necessari per il missaggio finale.
E’ l’apice del perfezionismo dei Queen, e vale ai protagonisti il vertice assoluto nella classifica britannica, nonostante il timore diffuso che il brano fosse troppo complesso per diventare un hit radiofonico e troppo lungo per essere realizzato a 45 giri. Un espediente senza precedenti che incrementò la spinta promozionale di “Bohemian Rhapsody” fu la realizzazione di un seminale videoclip, ideato per compensare le mancate apparizioni televisive dovute agli impegni del gruppo.
I fragorosi echi del successo della Rapsodia, che stazionò per nove settimane al n° 1 (battendo il record di Paul Anka con “Diana”, che risaliva al 1957) non s’è mai più spento…Capital Radio ebbe all’epoca una parte di rilievo nel boom commerciale di “Bohemian Rhapsody”, grazie al suo più intraprendente deejay, Kenny Everett. Questi aveva ottenuto in via amichevole dalla band un nastro provvisorio del brano, con la promessa di non trasmetterlo… Naturalmente non mantenne la parola data, e nel weekend successivo gli ascoltatori furono “bombardati” da ripetuti passaggi dell’opéra pastiche dei Queen: il lunedì stesso i negozi erano assediati dalle richieste dei fans, e questa sorta di pubblicità “pirata” costrinse la EMI a un’immediata realizzazione del singolo.

In dicembre gli fece seguito l’album, A NIGHT OF THE OPERA, riconosciuto dai più come il megaclassico della discografia dei Queen per il suo inedito e sofisticato intrigo di atmosfere decadenti, timbriche heavy e reminiscenze classicheggianti; conquistato il primato nella classifica inglese, raggiunse il quarto posto negli Stati Uniti, consacrando a livelli trionfali il successo del gruppo. Anche i suoi membri meno appariscenti concorsero alla resa qualitativa del disco: un brano di John Deacon, “You’re My Best Friend”, costituirà il secondo hit-single (n° 7 in Inghilterra), mentre una composizione di Roger Taylor, “I’m In Love With My Car”, si segnala anche per l’intensa prova vocale del suo autore, che in quest’occasione relega Freddie ai cori. Il leader si riscatta comunque con la superba interpretazione di “The Prophets Song”, mentre l’iniziale “Death On Two Legs” resta un velenoso classico hard rock. Durante il 1976 i Queen sono incalzati da una fitta attività concertistica, che li vede impegnati fino a luglio, poi “evadono” dal gruppo per i primi progetti estemporanei: ad esempio May e Mercury, insieme a Taylor, registrano parti vocali per il secondo LP, “All American Alien Boy”, di lan Hunter, ex leader dei Mott The Hoople che tennero a battesimo i Queen nei primi concerti significativi. In dicembre, nonostante la vasta popolarità, Mercury e i suoi subiscono l’onta di dover rinunciare ad uno show televisivo, Today, perché il presentatore preferisce invitare i Sex Pistols, i più oltraggiosi rappresentanti dell’emergente punk rock.
La filosofia punk vorrebbe cancellare ogni eccesso tecnico, ogni condizione privilegiata da superstar dai domini del rock, ed è esattamente antitetica rispetto al lifestyle di Mercury, che non si vergogna di proclamare: “Il denaro è volgare ma meraviglioso. Tutto ciò che desidero dalla vita è fare un sacco di soldi e spenderli!” Sebbene l’interesse dei media sia già puntato sul nuovo fenomeno, i Queen sorvolano indenni l’ebollizione punk, poiché a un anno di distanza dal suo predecessore, il quinto album A DAY AT THE RACES (dicembre 1976) si ricolloca in vetta alle classifiche, anche se il singolo apripista, “Somebody To Love”, si arresta una posizione più in basso.
Il problema era semmai di carattere qualitativo: si trattava infatti di forgiare un degno seguito all’LP descritto come “il SGT. PEPPER della generazione post glam”. I Queen rispondono con scelte fondamentalmente derivative, seppur precedute dalla sorprendente giubilazione del produttore Roy Thomas Baker: l’overdose perfezionistica che aveva portato al compimento dell’ “Opera” si era infatti tradotta in un cumulo di tensioni non ancora smaltite. Sia l’illustrazione di copertina che il titolo, di nuovo ispirato a un film dei fratelli Marx, si pongono deliberatamente sulla scia di A NIGHT AT THE OPERA, ma il repertorio non è altrettanto fiammeggiante, se si escludono la solenne enfasi corale di “Somebody To Love” ed episodi hard come “White Man” e soprattutto “Tie Your Mother Down”. Quest’ultima è forse troppo heavy per il mercato dei singoli, e in patria finisce in retroguardia, avvicinando solo le Top 30.
Nella seconda metà del 1977, dopo una fugace apparizione solista di Taylor (con il singolo “I Wanna Testify”) i Queen registrano NEWS OF THE WORLD, uscito nell’ottobre dello stesso anno. Quindi tornano in tour negli Stati Uniti. Prodotto come il precedente dal gruppo stesso, assistito da Mike Stone (famoso in seguito per la sua collaborazione con Journey e Asia), il nuovo album rivela subito una vena più immediata, chiarendone i termini in apertura con due anthem “da stadio” in successione, “We Will Rock You”, imitatissimo negli anni a seguire, e l’imbattibile “We Are The Champions”. I due brani vengono persino “sprecati” con l’abbinamento in un unico singolo, che certo non delude le aspettative d’incasso: giunge al secondo posto nel Regno Unito e diventa il best seller dei Queen in America. NEWS OF THE WORLD non va oltre il quarto posto inglese, ma include anche il primo tentativo del gruppo nella musica dance, “Fight From The Inside”, con un’efficace base funky ancora lontana dalle concessioni disco che seguiranno. Il confermato rigetto nei confronti di album che necessitano di una laboriosa gestazione in studio non impedisce però ai Queen di rinnovare il feeling con Roy Thomas Baker, che torna ad occuparsi del gruppo nei tre mesi di registrazione (a Montreux e Nizza) di JAZZ.

Queen 1981 (foto: Neal Preston)

L’album esce nel novembre 1978 (n° 2 in Inghilterra) non riscuotendo pieni consensi a dispetto delle elevate vendite e la campagna promozionale ispirata al singolo dal doppio lato A, “Bicycle Race”/”Fat Bottomed Girls”, che non valica la soglia dei Top 10 inglesi, è generalmente tacciata di cattivo gusto: viene intatti organizzata una corsa ciclistica tra ragazze nude allo stadio di Wembley, e una performance analoga viene filmata intorno al Madison Square Garden, con il risultato che il 45 giri viene bandito in alcune zone degli USA. In realtà JAZZ riproduce dignitosamente e senza stucchevoli abusi gli stilemi ormai consolidati dei Queen, ma è altrettanto evidente che il loro spirito avventuroso ha ormai esplorato a fondo il filone aurifero dell’hard pomposo; e non a caso il successivo LIVE KILLERS (giugno 1979) sarà il controverso epitaffio degli anni “duri” del gruppo. Non si può parlare di coronamento di un’epopea poiché il doppio album dal vivo, registrato nel corso del tour europeo (gennaio-marzo 1979) soffre di un missaggio non all’altezza del vantato perfezionamento dei Queen e degli artifici spettacolari del loro show.
Negli anni del dopo punk, l’imponente apparato scenico del gruppo viene liquidato come “eccessivo”; alcune fasi prolisse, specie in sede di assolo, diventano il bersaglio favorito di certa critica, ma i denigratori possono avvalersi delle ammissioni di Roger Taylor, che non ha fatto mistero del suo giudizio su LIVE KILLERS: “una performance standard, condizionata da un suono grezzo”. Se LIVE KILLERS non è stato l’apoteosi di un’era, THE GAME (giugno 1980) l’album del “nuovo sound e della nuova immagine”, viene salutato dal pubblico con una trionfale accoglienza, soprattutto in America, dove risulterà l’unico LP dei Queen ad issarsi in vetta alle classifiche, generando non meno di due singoli da primo posto: il rockabilly di “Crazy Little Thing Called Love” e la disco-rock di John Deacon “Another One Bites The Dust”, premiato da Billboard come “Top Crossover Single”.
Per la prima volta il gruppo impiega i sintetizzatori, curandosi di sottolinearlo nelle note di copertina, e l’aria di cambiamento investe anche la produzione, condivisa dai Queen con Mack. THE GAME espone generalmente un sottile, decoroso taglio pop, evidente in altri episodi salienti quali “Play The Game” e la toccante, introspettiva ballata “Save Me”, adottando qualche connotazione inedita nella ricerca effettistica, e contemporaneamente il look del gruppo appare “ripulito”: capelli corti ad eccezione dell’immarcescibile rocker May. I Queen operano questa riconversione nell’anno in cui torna attivo il vulcano heavy metal inglese, eruttando formazioni come i Def Leppard, che, dopo un avvio all’insegna del rock duro senza compromessi, indicheranno proprio nel meticoloso lavoro in studio della “Regina” il termine di riferimento privilegiato.
E il 1980 si conclude con un ulteriore attestato della sterminata fama di Mercury, May, Taylor e Deacon: la realizzazione di una colonna sonora per il remake cinematografico di FLASH GORDON, registrata durante le pause dell’ultimo tour e il completamento di THE GAME. Pubblicato come album ufficiale dei Queen, FLASH fa slittare l’annunciata edizione del primo GREATEST HITS, e al buon successo conseguito in Inghilterra (LP e omonimo singolo entrambi al n° 10) non corrisponde una proporzionale gratificazione in America, dove il 33 giri fallisce il traguardo del disco d’oro. Infatti la colonna sonora è efficace nel suo ruolo specifico, correlato alle immagini del film, ma perde nettamente d’interesse su vinile, poiché le canzoni incluse sono solo due, “Flash” e “The Hero”; il resto è basato su parti strumentali dove le voci degli attori fanno da tediose comparse.
In aprile Roger Taylor, che era stato il primo fra i Queen a inaugurare un po’ in sordina un’avventura individuale, precede i compagni anche sul fronte degli album solo con “Fun In Space”. Subisce ostili reazioni dalla critica, ma il consenso dei fans lo porta al 18° posto della classifica inglese.
Soprattutto i Queen celebrano il loro decennale con l’attesa antologia GREATEST HITS (ottobre 1981): 17 brani e, parafrasando Rod Stewart, “mai un momento di noia”: anche i più ostinati detrattori del regale quartetto ammettono che, nonostante qualche défaillance sulla lunga durata (degli album…), i Queen sono una delle più grandi band da singoli pop-rock di sempre, autori di indimenticabili melodie.
Non sorprende affatto che questo concentrato di successi si collochi al vertice della classifica inglese, nella quale rientrerà prepotentemente dopo la trionfale esibizione del gruppo al “Live Aid” di Wembley, 1985.

Queen Rock Montreal

Il 24 e 25 novembre 1981, i Queen si esibivano maestosamente al Forum di Montreal, Canada, un impianto da 18.000 spettatori, che ha storicamente accolto le maggiori celebrità rock (Beatles, Stones, Led Zeppelin, Pink Floyd etc.), concludendo l’estenuante e faraonico tour di “The Game”, iniziato proprio in Canada a Vancouver, nel giugno 1980.
A quell’epoca, Freddie Mercury e compagni suggellavano idealmente il loro periodo creativo più fervido, approvato da clamorose quotazioni commerciali. Nel dicembre 1980 il bilancio complessivo della loro carriera riportava, fino a quella data, 45 milioni di dischi venduti nel mondo. I Queen erano popolarissimi anche in Sudamerica; nel febbraio/marzo 1981 avevano effettuato un tour in cinque stadi di Argentina e Brasile. Il dato più sensazionale riguardava due spettacoli consecutivi allo stadio Morumbi di San Paolo, con 251.000 spettatori, un consuntivo da record.
La frenetica attività live del gruppo dava inequivocabilmente i suoi frutti; già i due singoli “Another One Bites The Dust” e “Crazy Little Thing Called Love” si erano attestati in vetta alla classifica di Billboard, e resteranno i loro maggiori hits “americani” di sempre. Nel novembre 1981 – lo stesso mese dei concerti di Montreal – i Queen giungevano per la seconda volta in testa alla classifica inglese dei singoli (dopo l’incomparabile “Bohemian Rhapsody”), grazie a un brano inciso con l’ex rivale dell’epoca glam, David Bowie: “Under Pressure” consegnava alla storia l’irripetibile duetto fra due voci elette del rock inglese, senza però suscitare soverchi entusiasmi negli U.S.A.
Montreal era una tappa abituale per i Queen in tour, che avevano sperimentato un pubblico fra i più calorosi nella loro inimitabile odissea. Forse anche per questo veniva stabilito di girare un docufilm diretto dal regista Saul Swimmer, con i quale non avevano instaurato un rapporto particolarmente idilliaco.
Il 10 maggio verranno rilanciate nuove edizioni di “Queen Rock Montreal” (Universal, già uscito nel 2007), sia su supporto fonografico che in doppio Blu-ray ad alta definizione.

Sicuramente la successione dei brani rappresenta un autentico “Greatest Hits” dal vivo: il gruppo è arcinoto per la sua debordante carica su palcoscenico, ma altrettanto per il savoir faire commerciale che è valso infiniti allori.
Dunque è sorprendente l’approccio iniziale, sulle ali di “We Will Rock You” (non a caso definita versione “fast”), addirittura all’insegna di un rock’n’roll abrasivo ad alta intensità – persino minimalista se non fosse per l’unicità delle parti vocali – dove gli squarci della solista di May sollecitano il ritmo: ed è incalzata da una “Let Me Entertain You” altrettanto fulminante. “Play The Game” restaura invece il classico stile sontuoso dei Queen, che risiede alle origini del pomp-rock, mentre in “Somebody To Love”, l’apparato corale del quartetto, forse il più stupefacente dell’intera cosmogonia rock (e consacrato da “Bohemian Rhapsody”), è valorizzato a livelli stellari; nell’occasione, Freddie gigioneggia in modo extra-large con il refrain, ma si può muovere un appunto al fuoriclasse per antonomasia fra i front-man? “Killer Queen” e la beatlesiana “I’m In Love With My Car” tornano invece a forme espressive più stringate, che giovano alla dinamica dei successi in rapida rotazione. La varietà del linguaggio musicale è una dimostrazione d’eccellenza per un gruppo di tale portata, che con naturalezza e classe disarmante passa dal magniloquente crescendo da stadio di “Save Me” alla ballata più intimista (“Love Of My Life”); quando i musicisti decidono di darsi all’hard rock più travolgente, possono permettersi di emulare gli Zeppelin nello storico primo singolo “Keep Yourself Alive” e di esibire una “Now I’m Here” con intermezzo “Dragon Attack”; brani non meno esplosivi della seconda metà ’70 come “Tie Your Mother Down” e “Sheer Heart Attack” (solo omonima del terzo LP) ribadiscono che la vena impetuosa non si era dissolta dopo il successo di “A Night At The Opera”.

Se è di dominio pubblico la magnitudo epocale di “Bohemian Rhapsody”, aggiungiamo che la fragorosa ripartenza heavy (qui allo scoccare del terzo minuto), dopo le polifonie vocali da melodramma, è fra i “momenti” rock più eclatanti mai ascoltati.
“Another One Bites The Dust”, forgiata sull’iconico basso funky di Deacon, oppure “We Will Rock You” (riproposta in veste tradizionale), sottolineano un’altra peculiarità dei Queen, ossia comporre brani riconoscibili sin dai primi accenti ritmici. E se il gruppo si espone in versione rockabilly in “Crazy Little Thing…”, subito dopo ecco la sferragliante chitarra di May rendere omaggio alla quintessenziale “Jailhouse Rock” di Elvis.
Il tonitruante finale che saluta il pubblico in delirio è inevitabilmente affidato a “We Are The Champions”, ormai colonna sonora pressoché universale di ogni trionfo sportivo.
Nelle versioni audio (2 CD/3 LP) figura in esclusiva anche il doppio estratto, sempre dal vivo a Montreal, della colonna sonora di “Flash Gordon” (“Flash”/”The Hero”), mentre fra i bonus del doppio Blu-ray/ 4K è aggiunta la performance che li vide sbaragliare la concorrenza al “Live Aid”. Al di là dei decantati perfezionamenti tecnologici di queste versioni 2024, “Rock Montreal” è un saggio altamente edificante di autentici fuoriclasse della grande storia della popular music.
Negli anni ’80, i Queen continueranno il loro dominio commerciale al di là di mode e tendenze, anche se il decennio sarà caratterizzato da un livello compositivo talvolta in ribasso, con il gruppo consegnato al “Guinness dei Primati” della musica di maggior consumo.

4 Commenti

  • Lorenzo ha detto:

    Buongiorno Beppe
    Ho letto con tanto piacere questo tuo excursus sui Queen.
    La tua prosa è sempre inimitabile e riconcilia con la lingua italiana, oltre che con la musica.
    È realmente superfluo da parte mia aggiungere qualcosa, da fan dei Queen sottoscrivo tutto.
    Piuttosto mi pare sia da stigmatizzare quanto ormai l’industria discografica (o ciò che ne rimane) sia totalmente dipendente da prodotti di questo genere, votati al recupero di grandi nomi dal passato.
    Per chi ha vissuto quel certo periodo dorato della musica e della discografia, è difficile resistere al richiamo delle deluxe edition et similia; per converso, tutto ciò è indice di una bassissima qualità delle proposte odierne, che evidentemente non meritano la stessa attenzione né intercettatno i favori del pubblico (pubblico disposto a spendere per il supporto fisico, beninteso).
    Non è esattamente un buon segno.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo, ti ringrazio molto per la “prosa inimitabile” ma a quanto mi dicono (lo stesso Giancarlo per sfottò) è stata abbastanza “imitata”…Mi fa piacere che un fan dichiarato approvi le mie considerazioni su un gruppo di cui si sa tutto o quasi; io ho cercato di scriverle nell’ottica di un appassionato dell’heavy rock (quale sono), sottolineando alcuni aspetti in riferimento a questo genere musicale. Per quanto riguarda il pubblico disposto a spendere per il supporto fisico hai perfettamente ragione, l’abbiamo ribadito più volte sul Blog, in particolare Giancarlo recentemente. Va anche detto che agli appassionati talvolta giova sostituire un LP amato e usurato con qualcosa di nuovo. Ma non è un buon segno per il futuro. A risentirci.

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Per ragioni anagrafiche, ho scoperto i Queen proprio con l’album The Game, il cui 33 giri girava spesso a casa di un mio caro amico. Poi il periodo della soundtrack di Highlander, che mi ha definitivamente conquistato e mi indotto a scoprire una larga fetta della loro discografia (tra cui molti dei dischi che hai preso in esame). Band trasversale, come hai scritto giustamente, amata dai fans generalisti ma molto rispettata anche dai metallari. Un bellissimo articolo che, immagino, ti abbia impegnato non poco, considerata anche la vastità della produzione.
    Un caro saluto.
    Alessandro

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessandro, ringrazio per il favorevole commento e colgo l’occasione per segnalare ai lettori il tuo blog.
      Alessandro Ariatti, già collaboratore di varie testate, da Metal Shock a Classix! si è messo anche lui in proprio, inaugurando recentemente il suo: https://dejavurockmetal.blogspot.com/ particolarmente focalizzato sull’hard’n’heavy degli anni ’80. Merita certamente la vostra attenzione!

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