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ALBUM & CD

Styx: nessuna illusione, il nuovo “Crash Of The Crown” é un grande album

Di 5 Luglio 202122 Commenti

Alle sorgenti dello Stige

Negli anni ’70, l’America ha creato il proprio “Giano Bifronte”, una divinità rock dai due volti; una faccia era rivolta verso il passato, contemplando l’innesto della musica classica fra sequenze hard e progressive dei seminali capiscuola inglesi: Deep Purple, Uriah Heep, Yes, ELP e Genesis. L’altra faccia invece si orientava verso un futuro prettamente yankee, con maggior malizia commerciale ed incline all’ascolto radiofonico, declinando uno stile più melodico, nelle armonie vocali come nelle angolature musicali, meno spigolose ed aggressive. In altri termini, quest’erma bifronte aveva convertito le proprie influenze britanniche in uno stile modellato sul “sogno americano”, il rock pomposo comunemente etichettato pomp-rock! Un ibrido che all’epoca ha conquistato ampie fasce di pubblico, anche se non si trattava del tipico AOR da FM mandato in orbita da Foreigner, Toto, Journey, Reo Speedwagon e Survivor, dal quale si distingueva proprio per i pressanti riferimenti al prog “classicheggiante”, spesso risolti in opulente stesure. Il ruolo di forza trainante per questa preziosa gioielleria rock è stato guadagnato sul campo da Styx e Kansas, ma il diritto di primogenitura è riservato senz’altro al gruppo di Roseland, Chicago.
Le sue radici risalgono addirittura al 1961, quando i giovanissimi gemelli Chuck e John Panozzo, rispettivamente al basso e alla batteria, si unirono a Dennis DeYoung, che oltre a cantare suonava la fisarmonica, per consacrarsi poi alle tastiere; si battezzarono The Tradewinds, e vi faceva parte anche il chitarrista Tom Nardini. Verso la metà degli anni ’60, per non essere confusi con un gruppo già noto, adottavano una sigla, TW4. Successivamente la formazione si estendeva a quintetto con l’ingresso di due nuovi chitarristi, prima John Curulewski, quindi James “JY” Young, che completa l’organico nel 1970.
Quando vengono scritturati nel febbraio ’72 dalla Wooden Nickel, un’etichetta del perimetro RCA, cambiano il nome nel più identificabile Styx. La copertina dell’omonimo debut-album, ritrae i musicisti in primo piano, di fronte ad un’immagine in fiamme dello Stige, il fiume infernale illustrato da Gustave Doré in una celebre edizione della Divina Commedia.
I primi Styx sono ancora un diamante grezzo, a tratti parrebbe di ascoltare una versione americana degli Uriah Heep, con minor personalità ma accresciuti slanci progressive, specie nell’iniziale ed ambiziosa “Movement For The Common Man” (oltre 13 minuti) che include uno stralcio della “Fanfare” di Aaron Copland, resa celebre dagli ELP nel 1977. “Styx II” (1973) esibisce la seducente ballata pianistica “Lady”, magistralmente interpretata da Dennis e irrorata da spettacolari armonie vocali, ma pervenuta al successo solo in ritardo, nel ’75. L’influenza classica del gruppo è palesata dal recupero di “Little Fugue in G” di J.S. Bach, nell’introdurre uno dei primi attestati d’eccellenza, “Father O.S.A.” dove emerge l’influenza del prog inglese di derivazione Yes.

Gli album a seguire, “The Serpent Is Rising” e “Man Of Miracles”, si succedono rapidamente concludendo il ciclo Wooden Nickel, perché al giro di boa degli anni ’70, gli Styx firmano il contratto per la A&M che li imporrà in grande stile, a livello nazionale ed oltre.
L’esordio per la nuova etichetta è sancito da “Equinox”: include un’elegante composizione di haute couture musicale, “Suite Madame Blue”, dall’approccio felpato che si risolve in imperioso crescendo heavy, enfatizzato dal coro che inneggia al “miracolo”. Nel dicembre 1975, la sostituzione del dimissionario Curulewski con un giovane chitarrista e vocalist proveniente dall’Alabama, Tommy Shaw, è un altro momento topico per l’ascesa della formazione, che non sembra trarne immediato beneficio a livello di vendite, con il sesto album “Crystal Ball”. Ma l’innesto di Tommy si rivela subito prezioso a livello compositivo, con la sua impronta di rock melodico che prelude ad un’equilibrata mediazione fra l’enfasi classicheggiante di DeYoung e l’approccio più aggressivo di “JY” Young.
Inoltre il nuovo venuto contribuisce alle parti corali a più voci che assurgono ad altezze ineguagliabili nell’arena hard rock, degne del confronto con luminari assoluti della competizione: Yes, Queen e CSN&Y. Brani suggestivi e sofisticati come il titolo guida “Crystal Ball” (dello stesso Shaw), oppure “This Old Man” e “Ballerina”, danno la dimensione delle potenzialità dei nuovi Styx. L’incessante attività concertistica e l’album successivo, “The Grand Illusion” (1977) producono l’esplosione commerciale che si traduce in vendite da oltre tre milioni di copie solo negli States, illuminate dai bagliori di “Fooling Yourself”, che sfoggia intricate dinamiche prog, e la mutevole “Come Sail Away”, dalle sembianze iniziali di ballata pianistica trasformate in lussureggiante hard rock chitarristico.
Sulla scia di questo successo, gli Styx vengono “esportati” in concerti d’Oltreatlantico ed approdano per la prima volta in Inghilterra, dove determineranno un’importante influenza su gruppi emergenti quali Magnum, White Spirit e Grand Prix.

Styx 1971

Lo Stige nell’Inferno Dantesco (Illustrazione di Gustave Doré)

Styx, la classica line-up: J. Panozzo, J. Young, T. Shaw, C. Panozzo, D. DeYoung

Il classico “Pieces Of Eight”

A coronamento del momento di gloria, giunge il loro irrinunciabile classico, l’ottavo album “Pieces Of Eight” (settembre 1978), presentato dall’inconfondibile copertina di Hypgnosis, dove un impassibile volto ed altri profili femminili si stagliano sullo scenario dell’Isola di Pasqua caratterizzato da un monumentale “moai”; all’interno della copertina apribile, sono invece i musicisti a posare sullo stesso sfondo.
La “grande illusione” si è ormai tramutata in platinata realtà, al punto che la pionieristica enciclopedia HM A-Z (edita da Omnibus Press nel 1985) li celebrerà poi con eccesso di zelo, come “la più grande band del mondo” all’epoca di “P.O.E.”. Certamente nessuno è andato oltre in termini di magniloquenza pomp-rock, un genere da loro stessi inventato . Le competenze progressive degli Styx non vengono mai meno: infatti le sequenze classiche ispirate a Yes e Genesis abbondano sulla prima facciata di questa pietra miliare. Prendete ad esempio “I’m O.K.”: il fraseggio ritmico della chitarra è chiaramente un omaggio allo stile di Steve Howe e le solenni aperture corali devono molto al ridondante lirismo degli inni di Jon Anderson e compagni.

Ancor più netta l’inclinazione verso gli artefici di “Fragile” in “Sing For The Day”, dove si affaccia anche il ricordo degli Starcastle, altro gruppo americano devoto alle discipline degli Yes, ma ben meno baciato dalla fortuna. Passaggi di tastiere degne del Tony Banks dei tempi d’oro, in anticipo sul revival inscenato dai primi Marillion, sono sparse un po’ ovunque ed il breve strumentale “The Message” è un ossequioso tributo alla grandeur di Keith Emerson.
E l’hard rock? Non inquietatevi, nelle porzioni più caratteristiche e personali il quintetto plasma alla propria maniera il rock duro, a cominciare dallo spettacolare primo atto “The Great White Hope”, che si lancia in galoppanti ritmi heavy, sui quali si ergono cori trionfali. Un altro incontestabile classico è “Blue Collar Man”, traccia straordinariamente seminale: vengono in mente i Rainbow della futura era J.L. Turner, oppure tutta la progenie pomp-rock della NWOBHM, dai Magnum in poi. La frastagliata vena ritmica ed incalzante di “Renegade” è oltremodo attraente, ma per finire, forse il gioiello per eccellenza degli Styx: si tratta di un rock essenzialmente chitarristico, dal preludio evocativo che incede in arpeggio prima di mutare in tumultuosa magnitudine epica, dall’enfasi indimenticabile. Il suo nome è “Queen Of Spades” e culmina in uno dei più estatici refrain vocali mai tramandati su vinile!
In America, “Pieces Of Eight” riafferma la popolarità degli Styx giungendo al sesto posto in classifica e di nuovo varca la soglia del triplo platino, eguagliando così il predecessore.

Styx 1978: C. Panozzo, J. Young, T. Shaw, D. DeYoung, J. Panozzo

Dal 1980 in poi: caduta dal pinnacolo e risalita

Al suo cospetto, il successivo “Cornerstone” (1979) appare in tono minore, nonostante il successo sia incrementato dalla soffice ballata “Babe” e dall’accattivante folk acustico di “Boat On The River”, dove Shaw suona il mandolino e DeYoung rispolvera la sua antica passione per la fisarmonica.
Gli Styx accedono però al nuovo decennio con sfarzo giudicato “pretenzioso” e bizzarro, specie quando vanno in tour con una mirabolante rappresentazione dello stesso “Paradise Theatre”, concept-album ideato da Dennis, che sbanca le classifiche nordamericane (n.1 in U.S.A. e Canada) all’inizio del 1981. Il vinile presenta anche un’innovativa grafica al laser su una facciata, persino nell’edizione italiana! Il gruppo si imbarca in una nuova rock opera teatrale, “Kilroy Was Here” (1983), sempre concepita dal tastierista, che interpreta anche la parte di “Mr. Roboto”, protagonista del discusso singolo che trapianta nel loro tipico stile elementi techno-pop di quegli anni (Buggles, Devo, gli stessi Queen). Il gruppo resta in alto in classifica, ma le tensioni fra i suoi componenti per divergenze musicali si acuiscono, ed accelerano l’abbandono di Shaw, determinato ad inaugurare una carriera solista.
Quella che passerà alla storia come la classica line-up degli Styx si congeda a sua volta con il doppio album dal vivo “Caught In The Act” (uscito nella primavera 1984, ma registrato un anno prima); Dennis DeYoung e “JY” Young si cimenteranno a loro volta in avventure individuali, ma la separazione non avviene in termini acrimoniosi, lasciando aperta l’eventualità di una futura riunione.
Infatti il come-back si celebra nel 1990, con un buonissimo disco, “Edge Of The Century”, ancora per A&M, prodotto dallo stesso DeYoung. E’ assente il solo Tommy Shaw, che furoreggia con il supergruppo Damn Yankees, contemporaneamente all’esordio con l’omonimo album, autentica bomba hard rock! Ma il suo sostituto è di tutto rispetto, si tratta di Glen Burtnick, cantante e chitarrista che aveva decisamente impressionato con i suoi due exploit da solista di qualche anno prima, “Talking In Code” e “Heroes And Zeros”, per la stessa casa discografica degli Styx e con un repertorio degno del miglior Bryan Adams. Gli Styx ripartono in tour negli U.S.A., ma anche su di loro cala la scure del grunge; la risposta del pubblico è fredda e vengono licenziati dalla A&M, dimora dorata negli anni di grande spolvero.

Sembrano ormai costretti al ritiro, ma sono duri a morire! Infatti si ripresentano sulle scene nel 1996 con un tour dal titolo ambizioso, “Return To Paradise”. Tommy Shaw è rientrato nei ranghi, mentre John Panozzo, gravemente malato, è sostituito dall’attuale drummer Todd Sucherman e muore prematuramente. Un nuovo album di studio, “Brave New World” (1999) si traduce in un fallimento commerciale e riaccende il dibattito fra la tendenza hard rock in seno al gruppo, sostenuta da Shaw e “JY” Young e l’inclinazione più soft di DeYoung; stavolta è Dennis a farne le spese, ma di nuovo gli Styx rimpiazzano un membro storico con un artista di prestigio, Lawrence Gowan, tastierista e cantante affermato in Canada – ma scozzese di nascita – con un pedigree di tutto rispetto nel rock melodico; basti pensare al suo eccellente quarto album “Lost Brotherood” (Anthem, 1990), dov’era accompagnato da Alex Lifeson (Rush) alla chitarra e dal bassista-superstar Tony Levin (Peter Gabriel, King Crimson, Pink Floyd etc.).
Il rinnovato team si presenta nell’album di studio “Cyclorama” (2003), dove Glen Burtnick ricompare al basso, per dar man forte a Chuck Panozzo, affetto da Aids ma lodevolmente sostenuto dai compagni e tuttora al loro fianco, seppur in ruolo marginale. Il rapporto con Burtnick invece si esaurisce qui, ed è avvicendato definitivamente, fino ai giorni nostri, da Ricky Phillips; dunque gli Styx restano un “Olimpo di stelle”…Il nuovo bassista proviene infatti dai Babys e dal supergruppo AOR, Bad English, è affermato session-man ed anche titolare di un album da culto, “Frederiksen/Phillips” (1995) con lo scomparso Fergy, mai dimenticato cantante di Trillion, Le Roux e Toto.
La carriera degli Styx si rigenera e torna florida soprattutto nei concerti dal vivo, come succede a numerose vecchie glorie. Valga a titolo d’esempio la collaborazione con gli ex rivali Reo Speedwagon, a partire dal doppio live, “Arch Allies”, che li vede riuniti nel salutare il Terzo Millennio. Solo un album di cover, “Big Bang Theory” del 2005, li impegna in studio, riportandoli in classifica nei Top 50 americani, miglior risultato dai tempi di “Kilroy Was Here”!

Glen Burtnick

Lawrence Gowan

Ricky Phillips

Gli Styx dei tempi moderni: “Crash Of The Crown”

Styx 2021: C. Panozzo, R. Phillips, T. Sucherman, T. Shaw, J. Young, L. Gowan (Foto: Rick Diamond)

Ciò che non sembrava assolutamente prevedibile, era la resurrezione creativa degli Styx, manifestata senza ombra di dubbio dall’album “The Mission” , il primo interamente costituito da nuove composizioni dal lontano “Cyclorama” e per la loro etichetta Alpha Dog 2T (UMe, 2017). Non solo, il gruppo torna alla carica con un ‘opera dal tema unitario; sebbene DeYoung non ne faccia più parte, è Tommy Shaw a guidare idealmente l’astronave Styx in una missione su Marte, immaginata nel 2033. L’avventura è concepita dal chitarrista con il produttore Will Evankovich; entrambi si erano conosciuti all’epoca dell’album “Shaw Blades” del 2007, iniziando così una duratura collaborazione.
Positiva la risposta di pubblico, che riporta la “Missione” fra i Top 50 di Billboard, nonostante vendite ormai distanti anni luce dai vertici multi-platino. Bella la copertina con vista da un oblò sulla spazio siderale, che ricordo di aver ammirato per la prima volta nell’estate 2017, in un vasto negozio di dischi di Norimberga, un’occasione ormai rara in tempi di acquisti “on line”, ma nostalgicamente retrospettiva.
Soprattutto incanta la freschezza del materiale, con la forza delle armonie vocali che tornano a puntare la stratosfera, dalla rampa di lancio di un elegante elegante hard rock pomposo, fin dall’iniziale ed immaginifica “Hundred Millions Miles From Home”. Il tema sci-fi viene valorosamente illustrato in una sequenza di brani oltremodo accattivanti: “Locomotive”, Radio Silence” e “Time My Bend” fra i miei favoriti, ma colpisce al di là degli episodi la bravura nel modellare incisivo rock melodico e reminiscenze progressive, degna di rapportarsi ai loro vertici storicamente riconosciuti.

Troppe volte diamo per scontato che consumati veterani del rock non siano più in grado di realizzare allestimenti all’altezza di un glorioso passato, ed è diventato un tedioso luogo comune, ripetuto ad oltranza un po’ da tutti.
Invece gli Styx tornano esattamente a quattro anni di distanza da “The Mission” – giugno 2017/2021 – con la stessa “squadra vincente” (parlo di qualità, non di numeri commerciali) compresa l’etichetta discografica Alpha Dog 2T/UMe, riuscendo a formulare un diciassettesimo album di studio, “Crash Of The Crown”, ancor più appassionante. E’ di nuovo Tommy Shaw a reggere il timone fra le rapide impetuose dello Stige: un talento forse mai abbastanza riconosciuto nella sua completezza, che ama ricordare come la madre Mildred lo incoraggiasse ad affrontare il futuro con spirito ottimistico. Forse è questo il segreto che lo ha spinto a creare un nuovo, imprevisto classico. L’opera si propone infatti di rappresentare il ciclo senza fine della travagliata esperienza umana, in un tempo in cui è stata messa a dura prova dalla dilagante pandemia; ma la tematica è perpetua, perché in ogni epoca l’uomo ha dovuto affrontare condizioni avverse, provocate da disastri naturali ed ancor più da conflitti distruttivi dovuti alle sue stesse azioni. Secoli di ascese, cadute e risalite; così è stato e sarà…Ma la risposta di Shaw e dei suoi non risiede nella protesta o nel J’accuse, bensì nella ricerca spirituale di messaggi positivi, che inducano alla speranza in un avvenire migliore. Di fronte ad un “grande disegno” programmatico ed ideale, la musica non poteva manifestarsi a livelli inadeguati. Così, dopo il prologo di grande effetto di “The Fight Of Our Lives”, che combina con stile davvero incoraggiante, slanci prog e le proverbiali melodie vocali nella loro maestosa tradizione, “A Monster” ne riafferma subito l’eccellenza; celestiali vocalizzi si innalzano su un arrangiamento musicale di spiccata leggiadria, al quale concorrono chitarra acustica e mellotron.
“Reveries” è una creazione onirica che si risolve fra evoluzioni del sintetizzatore e rimembranze di melodie beatlesiane, per sfumare nell’eccezionale “Hold Back The Darkness”: dalla spettrale introduzione di synth e piano, ai momenti d’atmosfera che culminano in un memorabile refrain ed in un fugace ma eroico assolo di chitarra, si può ipotizzare senza indugio una “nuova giovinezza” Styxiana, a livelli forse insperati. La conferma ci giunge da “Save Us From Ourselves”, il cui estro espressivo non tradisce la storica citazione di Winston Churchill, plausibile fonte illuminante fra i temi di “Crash Of The Crown”.

Il “Tridente” vocale Young, Shaw, Gowan!

Proprio la title-track sperimenta per la prima volta le tre voci soliste in successione, James, Tommy ed infine Lawrence, con un esito di cui gli artisti vanno giustamente orgogliosi.
“Our Wonderful Lives” esprime la convinzione di scorgere la luce in fondo al tunnel anche quando incombe la cappa dell’oscurità, e musicalmente riafferma la costante presenza di arrangiamenti acustici, che in questo caso si avventurano in tipologie folk. Invece l’estensione del sintetizzatore di Gowan in “Common Ground” riflette i suoi trascorsi pomp (anche da solista) e lo stato di grazia è confermato da “Long Live The King”, notevole brano firmato dal produttore Will Evankovich.
In tema di bombastico pomp-rock, “To Those” non può esser sorpassato, ed il capitolo finale, “Stream”, é persino ammantato di psichedelia accostabile ai Pink Floyd.
Nonostante l’ormai archiviata assenza di Dennis DeYoung, che pure si è dimostrato in ottima forma nell’ultimo album “26 East Vol.2” (di recente uscita Frontiers), gli Styx sono riusciti a realizzare un nuovo masterpiece, che a suo modo avverte i “tempi nuovi” con uno stile più misurato, eppure versatile ed affascinante, senza eccessi magniloquenti.
Nel frattempo, anche i Kansas hanno pubblicato un album dal vivo di tutto rispetto, “Point Of Know Return, Live & Beyond”.
Il rock pomposo, o meglio, il rock maestoso, non è solo storia del passato.

22 Commenti

  • Gianluca CKM Covri ha detto:

    Finalmente l’ho ascoltato. Bello. Però sai ho avuto la stessa sensazione che mi ha lasciato quello precedente….una sensazione di incompiuto. Mi spiego, non è che le canzoni siano tagliate via, però avrei preferito che su determinate parti le avessero sfruttate maggiormente. Non so se sono stato chiaro, ma alcune ottime idee armoniche le avrei ampliate maggiormente. Cosa che ha fatto forse un pochino meglio DDY con il suo ultimissimo lavoro. Però sempre splendidi.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Gianluca, come dice l’amico Marco Garavelli di Linea Rock (Radio Lombardia) “i rockers sono molto attenti”…In altri termini, non vi sfuggono i particolari. Per quanto riguarda gli Styx, non trovo che il nuovo materiale più stringato difetti di maggiori sviluppi, forse si tratta semplicemente di un taglio compositivo volutamente meno prolisso. Poi è legittimo avere altre preferenze, compreso l’ottimo De Young, però non definirei lacunose le nuove canzoni degli Styx. Grazie

  • Fabio Zampolini ha detto:

    Salve Beppe, anch io ho comprato il nuovo Styx e sono rimasto favorevolmente impressionato dal loro pomp ri-attualizzato in chiave ‘discreta’ ( non ci sono opus magum ) e mi ha ricordato la vena concisa degli allora loro ‘cuginetti’ Starcastle’ di ‘Real to reel’. Articolo superbo come sempre.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fabio, ovviamente fa piacere se una valutazione è condivisa e se quanto scrivo con un certo impegno è gradito. Grazie

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Comunque caro Beppe, Crash cresce, cresce, cresce. Bellissimi anche i riferimenti ai Pink Floyd in salsa pomp di Hold Back The Darkness e Stream. Sui “loro” brani più classici poi, restano imbattibili. Our Wonderful Lives è persino commovente nella sua semplicità melodica West coast. Grazie per avercelo segnalato. Un caro saluto.

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Beppe, sempre a proposito di pomp/prog, cosa pensi dell’ultimo dei Kansas, The Absence Of Presence? Io lo trovo eccellente.

    • Beppe Riva ha detto:

      Pur con differenti formazioni ed adeguamenti i Kansas hanno sempre mantenuto negli anni un profilo di elevata dignità ed è così tuttora, come sostieni. Ciao

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Beppe, mi è arrivato il CD di Crown. Una delle migliori uscite dell’anno, non ci piove.

  • mox ha detto:

    Grande Beppe.
    come sai , sono tra quegli italiani che amano il lavoro pregevole degli Styx … e facilmente dedicherò una breve incursione ‘video’ in merito alla loro discografia (quantomeno relativa al primo decennio di attività).
    Un abbraccio e sempre grazie per le precise e puntuali info.

    • Beppe Riva ha detto:

      Caro Mox, che un esperto di rock progressivo e di svariate estrazioni come te si schieri a favore di un grande gruppo (sottostimato in Italia) come gli Styx è sempre una “lieta novella” per me. Quando avrai pronto il video (per il canale delle edizioni Tsunami) dedicato alla band di Chicago se lo vorrai segnalare in questa sede, farà sempre piacere. Grazie, ciao.

  • Gianluca CKM Covri ha detto:

    Ciao Beppe. Non ho ancora ascoltato questo lavoro degli immensi Styx, che assieme ai Kansas hanno lasciato un segno importante nella mia crescita musicale…ti puoi ben immaginare la mia espressione quando anni fa vennero INSIEME in Italia.
    Appena ascolterò il disco ti dirò cosa ne penso…… intanto dalle tue parole, iniziamo bene…. stesso discorso per l’ultimo del divino DDY.

    • Beppe Riva ha detto:

      Gianluca ciao, mi fa piacere che gli Styx abbiano estimatori in Italia, dove sono purtroppo sottostimati. Giusto riservare attenzione anche a De Young. Quando avrai ascoltato, se vorrai potrai commentare. A risentirci.

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Ciao Beppe, ho ascoltato alcune previews del nuovo Crash Of The Crown ed ho immediatamente ordinato il CD. Come sempre, grazie.

    • Beppe Riva ha detto:

      Sono contento che ti sia piaciuto. Gli Styx meritano ancora grande considerazione, che purtroppo in Italia non hanno mai ottenuto. Grazie Alessandro, ciao

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe, c’è da dire che quando parliamo di pomp rock o anche semplicemente di A. O. R. parliamo di generi che in Europa non hanno avuto la risonanza che altre correnti musicali hanno avuto se non a livello marginale proprio perché si tratta di un qualcosa che è insito nella cultura yankee.. Basti pensare che ad esempio i Survivor vengano ricordati per le colonne sonore di Rocky più che al fatto che abbiano un discreto numero di incisioni al seguito…
    Gruppi come Journey, Foreigner, Reo Speedwagon e gli stessi Styx anche negli anni di maggior successo da queste parti non so se abbiano fatto tour intensi come in madrepatria dove riempivano gli stadi…
    Detto ciò è comunque rincuorante che gruppi del genere ancora oggi si rimetta o in gioco cercando una rinnovata ispirazione per emergere in un mercato asfittico fatto di gruppi usa e getta e consci che come allora possano contare su di un zoccolo duro di fan di lunga data che continua ad ammirare l’evoluzione sonora di chi cerca di reinventare il suo sound senza snaturarlo…
    Gli Styx come dici giustamente sono stati bistrattati anche dalle frange dell’hard rock ancor di più dei Kansas, io personalmente ho cominciato ad apprezzarli entrambi dopo aver letto le Relics su MS le tue recensioni sui loro classici trattati Pieces of eight e Leftoverture in un epoca che da metalhead intransigente non vedevo di buon occhio la commistione delle tastiere in ambito hard(tranne i classici Purple, Rainbow, Heep etc..) e riconoscere il valore del loro operato nella lunga epopea della musica Rock..

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, hai fatto un intervento circostanziato che non lascia interrogativi in sospeso. Chiaro che i gruppi USA da te citati sono stati riconosciuti in ritardo nel nostro paese, senza suscitare soverchi clamori. Altrettanto evidente che all’inizio degli 80 eravamo tutti più “intransigenti”. Fortunatamente in seguito, con maggior apertura mentale, ci si è orientati anche verso sonorità a più ampio respiro, che a mio avviso, hanno scritto pagine importanti nella storia del rock. Styx continuano a meritare tutta l’attenzione degli ascoltatori di buona volontà!

  • Luca ha detto:

    La settimana comincia con un bel motivo di interesse . A mio modo di vedere gli Styx hanno il pregio di soddisfare tanti tipi di palato musicale e credo che sia un segno positivo per degli artisti. Ieri una mail mi avvisava di questa uscita e ho provato a fare un giro sul blog…ed ecco un grande escursus! Grand illusion è anche il nome di un bel gruppo AOR svedese di qualche anno fa che richiama ovviamente il titolo dell omonimo disco. Tre S: Styx – Starz – Sweet sono tre delle band, un po’ diverse, che fanno parte delle 200 della mia personalissima enciclopedia H. Rock. Due sono già state qui raccontate……. Grazie ancora Beppe. Luca

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Luca, sicuramente la versatilità degli Styx ha soddisfatto molti appassionati; per contro, specie dalle nostre parti, non hanno goduto di gran considerazione da parte del pubblico hard’n’heavy. La retrospettiva è mirata anche ad una rivalutazione globale della loro opera. Hai citato gli Sweet, spesso liquidati come gruppo pop, ma in realtà hanno realizzato trascinante hard rock, sicuramente seminale anche in ambito glam/hair metal. Se ci sarà l’occasione propizia entreremo in merito. Grazie a te del supporto

    • Fulvio ha detto:

      Ciao Beppe,
      Splendido il nuovo Styx, personalmente lo preferisco a “The Mission” ma è solo questione di gusti perché sono entrambi grandi lavori.
      In questo nuovo “Crash of The Crown” ho ammirato, anche con curiosità, come si possano comporre brani belli, efficaci e ricchi di contenuti restando sempre sotto i 4 minuti di durata (cosa secondo me non così usuale per il genere proposto e non così semplice).
      Gli Styx sono anche questo: grandi!
      Ti saluto e ti ringrazio.

      • Beppe Riva ha detto:

        Ciao Fulvio, anch’io preferisco in questo momento “Crash of the crown”, ma per un verdetto definitivo a mente fredda deve passare un po’ di tempo. Parlando di stile più “misurato” intendevo proprio brani concisi, meno prolissi, e gli Styx superano l’esame alla grande, come tu stesso hai precisato. Grazie

  • Paolo ha detto:

    Buongiorno Beppe, già te lo scrissi, ti seguo dai tempi di rockerilla e ancora non è arrivato il giorno che mi trovi in disaccordo con te. Mai ti sarò troppo grato per avermi fatto conoscere band e solisti eccezionali, in anni che persino i BOC erano degli sconosciuti. Gli ultimi due dischi degli Styx sono strepitosi, così come i due di Dennis DeYoung (pare saranno gli ultimi). Brani meravigliosi e armonie vocali sublimi. Band troppo bistrattata in Italia, che se non sbaglio ha suonato da noi solo una volta in compagnia dei Kansas. Speriamo che si possano rivedere ancora una volta. Insieme a Dennis sarebbe un sogno.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Paolo, sono ovviamente contento della fiducia che molti di voi hanno riposto in me negli anni, ma il problema non sarebbe il “disaccordo”; si può anche non condividere un’opinione, l’importante é che sia chiara ed onesta. Il fatto che gli Styx non siano adeguatamente “considerati” in Italia, é uno dei motivi che mi ha spinto a scrivere, cogliendo l’occasione dell’ultimo, bellissimo lavoro. E’ stato il pretesto, come certamente hai/avrete capito, per ricapitolarne l’importante storia, dandole il giusto risalto. Ti ringrazio anche per la tempestività nel commento, perché le reazioni positive avvalorano le scelte.

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