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ALBUM & CDC'era una volta HARD & HEAVY

DEF LEPPARD “Pyromania”: Bagliori nel fumo!

Di 14 Maggio 202423 Commenti

E’ risaputo, ci sono conclamati classici del rock di fronte ai quali tutti si genuflettono, come colpiti da folgorazione divina, altri invece che fanno storcere il naso alla critica più esigente (o intollerante, giudicate voi) specie se hanno a che fare con l’hard rock degli anni ’80.
Eppure, “Pyromania” dei Def Leppard è stato definito da fonte enciclopedica: “tecnicamente, uno dei più grandi album rock finora realizzati”, valutazione che si poteva estendere a tutto il decennio, grazie al meticoloso ed interminabile lavoro di studio di John “Mutt” Lange, letteralmente esploso con gli AC/DC ed i Foreigner di “4”. Il produttore, coinvolto anche nell’intero processo compositivo e negli arrangiamenti, è stato eletto a sesto uomo effettivo del gruppo dagli stessi musicisti: nonostante si dicesse che siano letteralmente impazziti per assecondarne gli innumerevoli estri operativi, a posteriori giudicano l’esperienza altamente costruttiva.
Rappresentava un’epoca dove le grosse produzioni di studio apparivano onnipotenti e niente era lasciato al caso, con procedimenti distanti anni-luce dai tempi attuali e sfoggio di sonorità irripetibili.
Nel caso di “Pyromania”, era valorizzato anche un concetto che molti giudicano inappropriatamente estraneo al dominio del rock duro, ossia la “sperimentazione”, abitualmente riservata a tendenze futuribili. Infatti i Def Leppard puntavano a sfruttare le nuove tecnologie elettroniche di studio, combinandole con strutture rock. Quando parlavo sul Blog di gruppi del rock melodico anni ’80 strettamente per conoscitori come Stabilizers, Paradox o Walk On Fire (ma gli esempi sono innumerevoli), mi premeva sottolineare come proponessero una “contaminazione” fra rock per FM e new wave. Il synth-pop della “nuova onda” era specchio dei tempi e non lo si poteva ignorare; più lungimirante sfruttarne le risorse per creare qualcosa di inedito anche in ambito rock’n’roll.
Così i Def Leppard si rivolgevano ad un innovatore del settore, Thomas Dolby, per arricchire di accorgimenti electro il loro suono. In realtà non si trattava di un’idea rivoluzionaria: Mutt Lange si era già avvalso del sintetizzatore di Dolby nel fantastico “Foreigner 4”, specialmente in brani di spicco come “Urgent” e la felpata “Waiting For A Girl Like You”, ma lo stile AOR di Mick Jones e compagni si prestava maggiormente alla fusione con i suoni sintetici.

Più difficile coniugarli con i ritmi alla AC/DC che i Def Leppard avevano già collaudato insieme a Lange nel secondo album “High’n’Dry” (1981); eppure l’innesto del synth di Dolby si rivelerà particolarmente avventuroso, al punto che, complice l’enorme successo di “Pyromania” in America, offrirà all’artista un’esposizione superiore a qualsiasi altro suo progetto. In realtà Dolby aveva deciso di apparire sul disco sotto mentite spoglie, a nome Booker T. Boffin, ma Joe Elliott avrebbe divulgato a chiunque la sua vera identità. Il motivo del massimo riserbo dell’ospite era dovuto alle rigide barriere settoriali che vigevano fra appassionati di differenti sponde musicali negli anni ’80. Thomas non voleva dichiararsi partecipe ad un progetto “metal” e tutti noi ben ricordiamo le conflittualità fra appassionati della vecchia scuola rock/metal e del nuovo orientamento punk/wave. Tutto ciò, finché il fenomeno crossover di Living Colour, Faith No More, Dan Reed Network etc. le abbattesse come il Muro di Berlino (e tale evento storico coincide con l’anno d’uscita -1989- del famoso “The Real Thing”!).
I Def Leppard ne avevano già fatto le spese, quando “High’n’Dry” palesava la svolta verso l’hard melodico, ed erano accusati dagli headbangers britannici di ammiccare al mercato americano, con relative contestazioni. Certamente era un indizio la pur magnifica power ballad “Bringin’ On The Heartbreak”, che addirittura Mariah Carey rilancerà su singolo in una sensuale e languida versione nel 2003.
In ogni caso, “Pyromania” è stato una pietra miliare, l’album che principalmente influenzerà la svolta del cosiddetto “metal di classe” degli anni ’80, dalle sonorità aggressive ma raffinate; paradossalmente, ad imprimere l’ascesa decisiva verso le stelle è stato un gruppo inglese, che rivendicava le proprie radici, perché ispirato da UFO, Led Zeppelin, Thin Lizzy, Queen e Mott The Hoople. Contemporaneamente o quasi, gli yankees che li sfideranno a colpi di successi milionari, si susseguiranno all’insegna dell’heavy rock ben curato in sala di registrazione, si pensi a “Midnight Madness” dei Night Ranger, al fortunato “Metal Health” dei Quiet Riot, seguiti dai Dokken di “Tooth And Nail” e dai Ratt di “Out Of The Cellar” (entrambi del 1984). Impossibile o quasi per i rivali d’Oltreatlantico eguagliare però i record di vendite dei Def Leppard.

Il volo: un “Hello America”! dalla NWOBHM

Originari di Sheffield, erano stati acclamati fra i condottieri della New Wave Of British Heavy Metal: il nucleo embrionale, chiamato Atomic Mass, annoverava nel 1977 i membri fondatori Rick Savage (bs) e Pete Willis (ch). Con l’ingresso di Joe Elliott (v) nasceva l’idea di battezzarsi Def Leppard (alias Deaf Leopard) ed in tappe successive Steve Clark (ch) e Rick Allen (bt) completavano il quintetto. Il primo “The Def Leppard EP”, auto-finanziato su etichetta Bludgeon Riffola ed uscito all’inizio del ’79, veniva immediatamente programmato da Radio One su scala nazionale e ripubblicato ben due volte: l’edizione originale con rara copertina illustrata, a differenza delle successive ristampe, la prima ancora privata e poi su etichetta Vertigo, una volta ottenuto il contratto discografico.
Nel marzo 1980 esce l’album d’esordio “On Through The Night”; la produzione del mentore dei Judas Priest, Tom Allom, ne rafforza le quotazioni di forza trainante della resurrezione metallica nel Regno Unito, al fianco di Iron Maiden, Saxon, Angel Witch e Samson.

Nella mia recensione su Rockerilla dell’epoca, lo definii “un probante olocausto alla causa della NWOBHM”, ma sottolinendo anche la costruzione dei brani, che evidenziavano nelle sfumature una ricerca interessante (nell’emblematica “Overture”); i singoli “Hello America” (un indizio!) e “Rock Brigade” esemplificavano invece il suono di sicura presa, disinvolto e mai volgare, secondo la sintassi Def Leppard. Infine “When The Walls Came Tumblin’ Down” tramandava il mito visionario dell’heavy metal in chiave roboante.
Subito dopo, il “saluto” agli U.S.A. si traduce in realtà. I cinque musicisti salpano verso il nuovo continente per suonare dal vivo con Judas Priest (e Pat Travers).  Al ritorno, i fans più accesi si accanivano contro i Def Leppard al Festival di Reading 1980, trasformato in un’enorme vetrina per la scena hard’n’heavy; infatti gli scontri dell’anno precedente fra fans del metal e della new wave, avevano sconsigliato di mischiare le opposte fazioni nello stesso programma. Accusati di “alto tradimento”, per le loro scoperte mire verso il mercato americano, Joe Elliott e i suoi scoprivano a loro spese la rigidità degli schieramenti del pubblico. Il secondo album, inizialmente previsto per l’inizio del 1981, era ripetutamente posticipato, subendo il ritardo di produzione di “Foreigner 4”, al quale è vincolato Mutt Lange, artefice del clamoroso successo di “Back In Black” degli AC/DC (notoriamente l’album più venduto della storia del rock) e scelto per imprimere un marchio altrettanto indelebile al nuovo Def Leppard. Ricordo che accolsi abbastanza freddamente l’uscita di “High’n’Dry” – luglio 1981 – giudicandolo piuttosto impersonale; auspicavo qualcosa di più distintivo rispetto ad un’esercitazione che rasenterebbe il plagio della formula AC/DC (ad esempio nella title-track), se non fosse per le proprietà melodiche dei giovani leopardi dello Yorkshire, che griffavano (o “graffiavano”!) una bellissima “Bringin’ On The Heartbreak”. Non è un caso che in patria “High’n’Dry” non riscuota lo stesso successo del predecessore, mentre funziona molto meglio in America, alla conquista della quale i Leppard appaiono risolutamente orientati: si è trattato di un’opera di transizione alla ricerca di una dimensione specifica, che prendeva le distanze dallo stile NWOBHM delle origini.

Humour britannico nel titolo di copertina di “Sounds”

“Pyromania”: l'hard rock melodico cambia faccia

Le potenzialità parzialmente inespresse di “H’n’D” saranno compensate dal lungamente atteso terzo album, “Pyromania”, pubblicato nel gennaio 1983, che diventerà IL termine di paragone per la massiccia esplosione del pop-metal degli anni ’80 ai confini della stratosfera AOR.
Nel 1982, durante le estenuanti sessioni di registrazione, conflittualità fra Mutt Lange e Pete Willis provocano lo sgradevole allontanamento del fondatore, reso inaffidabile per dipendenza dall’alcol, nonostante avesse già registrato le basi di chitarra ritmica. Il suo sostituto, caldeggiato da Elliott, divenne Phil Collen, che si ritrovò a registrare – prevalentemente gli assoli – negli stessi Battery (in origine erano i rinomati Morgan Studios) dove aveva inciso con i Girl il classico da culto “Sheer Greed”.
In realtà il brano d’apertura “Rock Rock (Till You Drop)” non sgombra il campo dall’influenza AC/DC già perseguita nel recente passato, se si esclude l’intro irrorata dalle tastiere. Qualche anno dopo i Cinderella partiranno con “Night Songs” dalle stesse coordinate. Certo la sua natura anthemica è esplicita, e Joe Elliott estirpa i toni più aspri dai suoi registri vocali.
Subito dopo “Photograph” (ispirata ad un ritratto di Marilyn posto in una collocazione, diciamo così, non convenzionale) diventa invece l’archetipo dei Def Leppard “americani” con il riff e cori ariosi, che emulano alla propria maniera le polifonie vocali dei Queen. “Stagefright” riporta il clima dell’album su dinamiche heavy più spinte, con un assolo del nuovo venuto Collen che si fa apprezzare.
Poi la melodia prende il sopravvento, a partire dal “vortice spaziale” nella big ballad davvero letale per il supermercato americano, “Too Late For Love” e nella mutevole “Die Hard The Hunter”, a sua volta farcita di effetti speciali: conferma che le parti vocali sono una dote d’eccellenza dei Leppard, ed il tratto rock mid-tempo è stato forse una palestra d’esercitazione per i primi Ratt prodotti da Beau Hill; in un contesto poco incline a lungaggini strumentali, la solista si prende uno spazio ben risolto nel finale. Introdotta da un suadente arpeggio, “Foolin’” esibisce un refrain fra i più memorabili.
“Rock Of Ages” suona come la risposta del quintetto ad una delle sue fonti d’ispirazione, ancora i Queen di “We Will Rock You”.

“Comin’ Under Fire”, con la sua atmosfera heavy ma sospesa e fataleggiante, potrebbe aver preceduto sul traguardo lo stile dei Dokken, mentre “Action Not Words” identifica il titolo profetico nel suo dinamismo controllato con classe.
Nella finale “Billy’s Got A Gun”, Def Leppard cavalcano il loro destriero rock al trotto, fra i bagliori nel fumo di un’atmosfera drammatica…Dieci brani e assolutamente nulla di superfluo: nonostante la cura degli arrangiamenti, mai sfarzosi, l’album non perde mai vista l’obiettivo di un solido impianto (hard) rock.
“Pyromania” raggiungerà il secondo posto nella classifica di Billboard, oscurato solo dal più grande successo commerciale di tutti i tempi (“Thriller” di Michael Jackson) ma varcherà la soglia dei dieci milioni di copie vendute negli Stati Uniti. Per il successore bisognerà aspettare oltre quattro anni, ma “Hysteria” (agosto 1987), sbaraglierà anche i record di “Pyromania”, conquistando il primo posto sia in USA che in patria; accumulerà oltre venticinque milioni di copie vendute nell’intero globo terrestre, di cui poco meno della metà in America. Ma questa è un’altra storia.
Molteplici le riedizioni Mercury/Universal che celebrano il quarantesimo anniversario (sebbene escano oltre un anno dopo) a partire dalla deluxe di 4 CD che sembra la più appetibile. Oltre all’album/CD originale masterizzato dal veterano Andy Pearce (Black Sabbath, Deep Purple etc.), il secondo include demo e rough mix selezionati da Joe Elliott degli stessi dieci brani, pressoché equivalenti ai definitivi e ben poco “grezzi”, oltre all’inedita e incompleta “No You Can’t Do That” (riff strumentale senza parti vocali).

Il terzo e quarto CD sono entrambi dal vivo: la più estesa performance al L.A. Forum del settembre 1983 non è una novità, in quanto già svelata dalla riedizione di “Pyromania” del 2009: da segnalare l’unica cover, uno scatenato rifacimento di “Travellin’ Band” dei Creedence Clearwater Revival. Inedito è invece il set di soli sei brani tratto dal Festival di Dortmund del dicembre 1983.
L’edizione “economica” in 2 compact, presenta come bonus CD i rough mix e un estratto di quattro brani del concerto di Los Angeles. Sul mercato sono inoltre presenti un Blu Ray, inclusi tutti i video ufficiali di “Pyromania”, e ben tre versioni in vinile.
Resta da aggiungere che anche per il quintetto di Sheffield, l’epoca d’oro a livello creativo è tramontata con gli anni ’80. C’è chi si è affannato a proclamare il loro come-back del 2022 (“Diamond Star Halos”) disco dell’anno, ed i Def Leppard hanno addirittura replicato un anno dopo con un tronfio album di versioni orchestrali delle loro hits (“Drastic Symphonies”); ma non bisogna esser forzati della nostalgia per stabilire che il paragone con la produzione che culmina (a livello di fama planetaria) con “Pyromania” – e naturalmente “Hysteria” – non è affatto proponibile.

Mia figlia Valeria mi perdonerà se ho “rubato” il titolo dell’articolo dal suo primo romanzo noir, “Bagliori nel fumo”, ispirato proprio alla storia di un eccentrico…Piromane!

23 Commenti

  • Ale ha detto:

    Ciao Beppe,

    dannate ristampe! Amore e odio, per quanto mi riguarda: non riesco del tutto a trascurarle, anche perché sono sempre l’occasione per rispolverare vecchi classici (in questo caso, poi, uno dei miei album preferiti in assoluto!), ma allo stesso tempo mi stanno sulle scatole, perché spesso non ne vedo un gran senso e mi rubano tempo prezioso per l’ascolto di nuovi album e nuove band. Recentemente e’ uscito anche “Grande Rock Revisited” degli Hellacopters, cioè, se ho ben capito, “Grande Rock” in parte ri-registrato, con una produzione migliorata, ma se poi è effettivamente così alle orecchie di chi ascolta è questione di gusti personali… sinceramente, comunque, un’operazione di dubbia utilità. Saluti!

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Ale. È vero, rifugiandosi nei classici del passato, è facile perdere di vista il “nuovo”. Ma il problema di tante proposte attuali, è di “meritarselo” il confronto. Gli Hellacopters hanno avuto il merito di diffondere presso il pubblico metal certo garage rock e R&R effettivamente “grande”. Ricordo con piacere la loro versione di “City Slang”, brano cult della Sonic Rendez-Vous Band (ex MC5). Grazie.

  • Maurizio "The Doctor" ha detto:

    Grande Beppe!
    una rece devastante, proprio quelle da godersi fino alla fine. Per me i Def Leppard – e non me ne abbiano a male gli estimatori da Hysteria in poi – sono i primi tre full-lenght e l’EP d’esordio. Pyromania cerniera tra i suoni più viscerali ed il flavore patinato che sarebbe venuto dopo e che li ha fatti conoscere ed apprezzare ad/da un pubblico più vasto sancendo così la loro definitiva consacrazione.
    1983 già ricordato da un lettore come anno di uscite seminali e naturalmente ribadisco l’importanza della compilation tricolore “Heavy Metal Eruption” – da te curata e fortemente voluta – pietra angolare e punto di riferimento imprescindibile per il Metal “dennoaltri” che vedeva l’esordio ufficiale dei miei concittadini Steel Crown capitanati dal compianto vocalist Yako de Bonis… con la “s”, mi raccomando! LOL
    Grazie ancora per tutto quello che ci hai dato e fatto conoscere: High Tide su tutti

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao “Doctor”, comincio dal fondo ringraziandoti per il ricordo della compilation “Heavy Metal Eruption”, che effettivamente ai tempi “ho fortemente voluto”. Gli Steel Crown, lo sai, erano considerati generalmente fra le migliori HM band italiane. Mi fa altrettanto piacere che ti sia emozionato calandoti nel revival di “Pyromania”; infine ognuno ha diritto ai propri album preferiti, è giustamente soggettivo. Spero che rimarrai “sintonizzato” sul blog.

  • Lorenzo ha detto:

    Buongiorno Beppe.
    Il mio preferito rimane Hysteria, ma in effetti Pyromania, Hysteria, Adrenalize costituiscono per me un trittico che fa quasi corpo unico, grazie alla produzione di Mutt Lange, e nonostante i non pochi anni che li dividono.
    Si può tranquillamente dire che i Def Leppard, dopo 5 dischi in 12 anni, avevano già fatto tutto ciò che dovevano fare, compreso vendere dischi a decine di milioni, ed incidere in maniera indelebile sull’immaginario musicale degli anni 80. Dopo di ciò, sono diventati una istituzione classic rock (prova ne sia che questa band è stata toccata solo molto marginalmente dal fenomeno grunge dei primi 90), e il materiale proposto dopo Adrenalize lo si potrebbe (forse ingenerosamente) definire superfluo, nonostante i dischi sempre quantomeno dignitosi.
    Ben venga quindi questa opera di riproposizione attraverso le varie ristampe più o meno deluxe, così almeno chi non c’era potrà misurare il divario di qualità tra la musica di ieri (non solo dei Leppard), e quello che ci viene proposto oggi.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo, hai espresso chiaramente il tuo punto di vista sui Def Leppard e lo spazio dei commenti è a disposizione di chi vuol dire la sua. Non interferisco se non ci sono puntualizzazioni da fare; a noi fa piacere ricevere le vostre opinioni, che concordino o meno con le nostre. Grazie

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe,i Def Leppard pur riconoscendone i meriti non mi hanno mai troppo preso e forse proprio perché la produzione fin troppo minuziosamente curata ha fatto perdere quel mood rockistico/metallico dei primi 2 lavori .. eppoi devo dire che fino a prova contraria l’ enorme successo del disco in questione e quello successivo marchierà la carriera dei 5 di Sheffield che gradualmente finirà ai margini pur pubblicando negli anni un numero considerevole di lavori … non c’ è niente da fare, sarò in difetto ma per me il rock rimane ancora cosa per pochi che amano la fisicità,la carica viscerale,il volume e il suono diretto come un pugno nello stomaco…

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, certo i Def Leppard non sono più quelli di un tempo, ma mi risulta siano ancora una grande attrazione dal vivo e come ho accennato nell’articolo, il loro “Diamond Star Halos” è stato accolto con i favori della stampa specializzata. Che poi ognuno di noi/voi possa preferire altre tipologie rock, è perfettamente legittimo e naturale.

  • Raffaele ha detto:

    ottimo articolo come al solito, è stato uno dei primi dischi che ho comprato e da me consumato

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Raffaele, probabilmente anche tu fai parte della numerosa schiera di appassionati “cresciuti” negli anni 80. Grazie.

  • Giuseppe ha detto:

    Grande Beppe, secondo me il grande pregio di Pyromania è la capacità di rimanere fresco “nonostante” il mega-lavoro di produzione, cosa purtroppo (sempre secondo il mio modestissimo parere) non vera per Hysteria, notevolmente “appesantito” anche dalla lunga attesa legata al malaugurato incidente di Rick Allen. Per freschezza mi viene invece naturale accoppiare Pyromania al coevo ma non altrettanto commercialmente fortunato (benchè parimenti meritevole) Lettin’ Loose degli Heavy Pettin’ … bei tempi, comunque!
    PS: se tua figlia Valeria ha ricevuto in dote da te il gene della scrittura, mi sa che è indispensabile approfondire la conoscenza della sua opera …

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giuseppe, a distanza di tempo, hai ragione nell’attribuire maggior freschezza a “Pyromania” rispetto al più venduto “Hysteria”. Degli Heavy Pettin’ ormai si ricordano in pochi, sono numerosi i gruppi minori dell’epoca sottovalutati. Mia figlia Valeria scrive meglio di me, purtroppo il campo in cui opera è molto inflazionato e non è facile segnalarsi senza una casa editrice importante alle spalle. Spero proprio che riesca a cogliere meritate soddisfazioni. Grazie anche di questa nota.

  • Fulvio ha detto:

    Ciao Beppe,
    1983, diciannove anni ancora da compiere e in gita scolastica a Monaco di Baviera: torno a casa con i vinili di Pyromania + Borrowed time dei Diamond Head e Filth hounds of hades dei Tank.
    Ricordi stupendi ed indelebili con un adeguata colonna sonora.
    Concordo sul fatto che High ‘n’ Dry fu un lavoro di transizione ma ho sinceramente difficoltà a stabilire, tra questo e Pyromania, quale mi piaccia di più: diversi ma entrambi bellissimi e fondamentali, tasselli di un evoluzione che portò a Hysteria che pur nell’eccellenza, per assurdo, è quello dei tre che ho apprezzato un filino meno. Parliamo comunque di tre lavori stratosferici e di una band fenomenale e fondamentale.
    Grazie,
    Un saluto

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fulvio, assolutamente legittimo esprimere le preferenze soggettive. Dei tre album che citi, “Hysteria” è generalmente considerato il meno heavy. Può essere che questo determini il fatto che ti piaccia un “filino” meno? Grazie.

      • Fulvio ha detto:

        Certo Beppe,
        Adoro la grinta e la spontaneità di H’n’D mentre trovo Hysteria un po’ troppo artefatto e iper prodotto pur essendo un capolavoro.
        Pyromania è, a mio avviso, la giusta via di mezzo.
        Grazie ancora

  • roberto ha detto:

    Fui letteralmente folgorato al suo primo ascolto su una musicassetta. Proponevano un incrocio fra riff letali di hard rock e ritornelli “pop. Non si era mai sentito nulla del genere prima. Schifati e mai compresi dai puristi del metal. Per me uno degli album perfetti della storia dell’hard rock anni ottanta insieme a Back in black, Blackout, 1987, e pochi altri.

  • Gaetano ha detto:

    …Che anno!! E quanti ricordi…1983……Avevo 16 anni scarsi: Piece of Mind, Pyromania, Holy Diver, Into Glory Ride, Kill ‘em all, Born Again, Melissa, Bark at the Moon, Shout at the Devil, Sirens, Show no Mercy, Deliver Us, … e perché no …il pionieristicio “Heavy metal Eruption” che di fatto “ufficializza” la scena italiana.

    • Beppe Riva ha detto:

      Gaetano ciao, molti teenagers sono cresciuti e rimasti legati all’hard’n’heavy degli anni 80, e c’è un perché. Si espandevano nuove modalità per suonare il rock duro, che resistono nel tempo per quanto hanno rappresentato. Grazie di aver ricordato “Heavy Metal Eruption”, che ha svolto il suo ruolo, non certo trascurabile, a favore della nuova scena metal italiana.

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Proprio così caro Beppe. Quando si tratta di un certo suono, i saputelli con la puzza sotto il naso fanno fatica a riconoscerne 1) qualità 2) innovazione. Perché nessuno può contestare che “questi” Def Leppard proposero sonorità nuove, il che non significa che venissero da Marte, ma che seppero coniugare in modo perfetto urgenza HM ed irresistibili contaminazioni pop. Se lo vogliono capire, bene; se non lo vogliono capire, ce li godiamo noi.
    Ciao!

    • Beppe Riva ha detto:

      Alessandro, solo quando “fa comodo” certi scriba accettano un prodotto discografico che vende, altrimenti si trincerano dietro la solita giustificazione del “commerciale”, indipendentemente dal fatto che ci sia una ricerca o no. Ognuno è libero di esporre le proprie opinioni. Ciao e grazie della costante attenzione.

  • francesco ha detto:

    Ancora un grande articolo su uno dei più influenti album di hard rock mai prodotti. Nella mia visione personale uno dei dieci migliori vinili mai usciti in tale ambito. Certo rispetto all’esordio erano un altro gruppo, ma fu un’evoluzione incredibile che ha dato i suoi frutti. Mi piace come sempre la tua esposizione e l’inquadramento storico e musicale. Banalmente direi che non c’è un pezzo che non mi piaccia e ricordo che all’epoca “arai” il vinile a forza di sentirlo.
    Mi permetto di deviare e “ricordarti” (senti che arroganza ho!!! Scherzo), che il 16 giugno esce in nuovo album di Glenn Hughes con i Black Country Communion e lo attendo con impazienza!
    Sono andato fuori rotta? Scusami
    Grazie

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Francesco, il fatto di “storicizzare” fasi o protagonisti della musica rock è un mio obiettivo, anche perché ho assistito in tempo reale alla crescita di certi fenomeni musicali e mi piace ricollegarli al passato, con una visione attuale. Altrimenti si tratterebbe di una semplice recensione di ristampa e stop. Mi fa molto piacere quando i lettori valorizzano questo concetto. Non c’è nessuna arroganza nel segnalare un’uscita discografica che piace. Grazie del commento.

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