google-site-verification: google933a38d5a056903e.html
ALBUM & CDC'era una volta HARD & HEAVY

LYNYRD SKYNYRD, “Fyfty”: La luce delle stelle cadute

Di 11 Novembre 202312 Commenti

Almeno nella mia personale mitologia, “Remasters” dei Led Zeppelin ha inaugurato nell’ottobre 1990 l’era degli ambiti Box Set antologici, quando nessuno immaginava che potessero trasformarsi in una tendenza persino esasperante del mercato discografico, incrementata nel post-2000 non solo da cumuli di pseudo-inediti, ma anche di gadgets per stuzzicare l’insaziabile appetito dei collezionisti.
L’anno successivo, quando tali uscite erano ancora riservate ad una ristretta cerchia di immortali nel Pantheon del rock, appariva in formato box più ridotto (3 CD) anche la “Definitive Lynyrd Skynyrd Collection”, a suo modo pionieristica nel proporre un’allettante percentuale di versioni demo/alternate/live, che prendevano le distanze dai più tipici Greatest Hits del passato. Poteva essere una strategia accoppiata al rilancio della versione 1991 degli stessi Lynyrd Skynyrd, tornati in azione con un nuovo, sesto album di studio, ma sicuramente consacrava l’epoca aurea del gruppo negli anni ’70, tragicamente interrotta dallo schianto dell’aereo privato che ne ha polverizzato la scala ascensionale fra le massime divinità del rock americano – e non solo – di quei tempi.
Si trattava comunque di un omaggio dovuto: insieme agli Allman Brothers, Lynyrd Skynyrd sono stati la più grande formazione southern rock di tutti i tempi, la faccia scorbutica ed insolente di questo genere, ma insuperabili per destrezza nell’alternare rudi episodi heavy & boogie con ballate ad ampio respiro melodico. C’è dell’altro; benché affiorino nella loro musica influenze dei grandi artisti inglesi (Rolling Stones; Free, Cream, Yardbirds, Jeff Beck Group), tutti ispirati – sia ben chiaro – dai bluesmen di colore d’Oltreatlantico, Lynyrd Skynyrd hanno incarnato la quintessenziale all-american band, forgiando un inimitabile distillato “sudista” di rhythm’n’blues, country ed hard rock.

Il gruppo si era costituito intorno alla metà degli anni ’60 a Jacksonville, in Florida, dove il vocalist Ronnie Van Zant ed i chitarristi Gary Rossington e Allen Collins frequentavano lo stesso liceo. Ai tre si univano il tastierista Billy Powell e l’allora batterista Rick Medlocke (destinato alla gloria come frontman dei Blackfoot); quest’ultimo veniva sostituito da Robert Burns, e la line-up era completata dal bassista Leon Wilkeson. Il sestetto si battezzava deformando ironicamente  il nome del detestato professore di ginnastica, Leonard Skinner. Il mitico musicista Al Kooper (Blues Project, Blood Sweat & Tears, Bob Dylan etc.) li scovava in un bar di Atlanta, convincendoli a firmare nel marzo 1973 per la sua etichetta Sounds Of The South, un brand della MCA votato al rock degli Stati del Sud; allora il ventenne Wilkeson non si sentiva pronto, cedendo temporaneamente il posto a Ed King, già nel famoso gruppo psichedelico Strawberry Alarm Clock, che in seguito diventerà il terzo chitarrista della band.
Lo stesso Kooper s’incaricava di produrre il debut-album “Pronounced Leh-Nerd Skin-Nerd” (agosto ’73), facendosi coinvolgere negli arrangiamenti, e suonando il mellotron nelle stesure più ariose… Ascoltando le calde ballate “Tuesday’s Gone” e “Simple Man”, per non parlare dell’epocale “Free Bird”, vi accorgerete di come gli stessi Guns N’Roses abbiamo scritto le loro melodie “spezzacuori”, diventando per qualche tempo la più grossa rock-band del mondo, ispirandosi palesemente ai Lynyrd Skynyrd. E se non fosse per questi ultimi, probabilmente non avremmo assistito al revival del rock sudista guidato dai Black Crowes negli anni ’90.
Pochi mesi oltre il 50° Anniversario del seminale esordio discografico degli Skynyrd, è uscita lo scorso ottobre “FYFTY”, un’antologia di 4 CD (Geffen/Universal), stavolta ripartita equamente fra l’era classica dei Seventies e la rifondazione annunciata dall’epico tour/tributo del 1987, “Southern By The Grace Of God”, poi proseguita fino ai giorni nostri, nonostante la recente scomparsa dell’ultimo della specie ribelle, Gary Rossington, nel marzo 2023.

CD 1

(Foto Jim McCrary – Archivio UMG)

“Fyfty” è inaugurata da “Comin’ Home”, reperto delle prime registrazioni -dal 1970 al ’72- nel leggendario studio Muscle Shoals di Sheffield, Alabama (già frequentato da Aretha Franklin e dagli Stones…) antecedenti al debut-album. Nulla di inedito, ma vale per la sua melodia evocativa illustrata da piano e chitarre, con Ricky Medlocke alla batteria che partecipa ai cori dalle reminiscenze CSN&Y.
Subito dopo, i capisaldi di “Pronounced Leh-Nerd Skin-Nerd”; non solo il veemente hard-blues dell’iniziale “I’ Ain’t The One”, degno del paragone con i Free: anche i Lynyrd possiedono un grande cantante, Van Zant, dal timbro vocale più aspro e riottoso rispetto a Rodgers; poi il taglio robusto di “Gimme Three Steps”, cronaca ironica dell’infausto approccio dello stesso Ronnie con una ragazza in un bar di Jacksonville, nonché primo singolo altrettanto sfortunato, perché lontano dal successo in classifica.
Piacciono ancor più “Tuesday’s Gone” e “Simple Man”, che evocano come poche altre le ambientazioni paesaggistiche dei classici film western. La prima ha notoriamente ricevuto l’omaggio dei Metallica, che hanno ospitato Rossington nella loro versione sull’album “Garage Inc.”; nell’originale, il mellotron suonato dal produttore Al Kooper (sotto falso nome) conferisce al brano un’estensione d’atmosfera, poi risolta in avvincente progressione strumentale, marchio di fabbrica del gruppo. “Simple Man” è a sua volta ad alto contenuto emozionale, dimostrando come ispidi personaggi quali Rossington e Van Zant sapessero elaborare a loro modo i lutti sofferti in famiglia; Kooper, che non l’apprezzava, veniva ingloriosamente allontanato dallo studio durante la registrazione!
Il capolavoro dell’album è naturalmente “Free Bird”, dedicata alla memoria di Duane Allman, morto in un incidente motociclistico. In “Fyfty” è presente un’inedita versione live del 1976 (sul CD 2) che raggiunge la durata di 13 minuti, ben oltre l’originale. Nel crescendo strumentale, l’intensità dei duelli delle soliste è semplicemente prodigiosa; “Free Bird” resta una delle più travolgenti performances di rock chitarristico di sempre, davvero irrinunciabile per qualsiasi appassionato di musica che si rispetti. La pensate diversamente? Allora siete pronti per acclamare i Maneskin come i principali redentori del rock sulla faccia della Terra.
Se “Free Bird” era l’incontestabile apice dell’esordio, “Sweet Home Alabama” è il classico per antonomasia di “Second Helping”; eppure neanche stavolta Kooper concordava con la visione del gruppo, opponendosi alla sua realizzazione come primo singolo; “Sweet Home…” era inoltre la risposta polemica ai brani di Neil Young che dipingevano un quadro allarmante dell’ideologia ricorrente negli Stati del Sud, anche se poi Van Zant dissiperà la presunta conflittualità dichiarando che “amava Neil e la sua musica”, e che il brano rappresentava un atto di rivalsa dell’America rurale, emarginata dal potere centrale di Washington. Certo è che il suo riff scanzonato risulta fra i più istantaneamente riconoscibili della storia del rock; numerose le comparse  in colonne sonore: memorabile quella in apertura del terrificante “Non Aprite Quella Porta” (remake di “The Texas Chainsaw Massacre”), dove risuona sdrammatizzando, almeno inizialmente, il viaggio dei ragazzi diretti proprio ad un concerto dei Lynyrd Skynyrd, ma destinati ad un’obbrobriosa carneficina. L’heavy rock di “Working For MCA”, scritta con tono sarcastico per un party della casa discografica, è un altro punto di forza di “Second Helping”; anche in questa circostanza (come nel box del ’91) è purtroppo omessa “I Need You”, a mio parere una splendida ballata.
Il terzo “Nuthin’ Fancy” non è invece ricordato fra le opere più eclatanti dei Nostri: porterà infatti alle defezioni di King, Kooper ed ancor prima di Bob Burns, sostituito da Artimus Pyle. “On The Hunt”, con il suo cadenzato mood rock-blues sembra però una pronta risposta al primo album dei Bad Company, uscito l’anno precedente, mentre “Made In The Shade” rispolvera radici country-blues di stampo tradizionale, con innesti di armonica e mandolino. La trascinante versione di “Whiskey Rock-A-Roller” è invece catturata dal vivo nello stesso anno di pubblicazione del disco (1975).
Il brano che offre il titolo al successivo “Gimme Back My Bullets” è un altro evergreen, con il suo impatto hard rockin’ da stadio. Infine “Double Trouble” esibisce una vena funky che evoca “Superstition” di Stevie Wonder (e di Beck Bogert Appice). “Gimme Back…” è il frutto della collaborazione con lo storico produttore newyorkese Tom Dowd, con il quale il gruppo aveva stabilito un rapporto molto più amichevole rispetto a Kooper.

CD 2

(Foto Getty)

Il secondo capitolo di “Fyfty” inizia con un probante compendio delle virtù che i Lynyrd sapevano esibire nei concerti. Non solo l’esclusiva versione, mai apparsa finora, dell’eterna “Free Bird” (di cui s’è già detto), ma anche un saggio dell’intramontabile live album “One More From The Road”, ossia “Travelin’ Man” e “T For Texas”, cover del pioniere della musica country Jimmie Rogers, dove Rossington e compagni sfoggiano tutte le loro potenzialità da jam band, dilatando il brano fino alla soglia dei 9 minuti sulla spinta di dinamiche improvvisazioni strumentali. Completa il quadro l’arrembante “Saturday Night Special”. Tutte queste esecuzioni risalgono al 1976, ad imperitura memoria dei trionfi prima della tragedia.
Il 20 ottobre 1977, tre giorni dopo la pubblicazione del quinto album di studio “Street Survivors”, l’unico con il nuovo chitarrista Steve Gaines (già nel doppio live), il gruppo iniziava il suo tour promozionale, ma l’aereo diretto a Baton Rouge si schiantava in una paludosa foresta nello Stato del Mississippi, provocando la morte di Van Zant, dell’ultimo acquisto Gaines e di sua sorella Cassie (corista della band), oltre ad infliggere gravi lesioni agli altri componenti. Incredibilmente la copertina dell’album mostrava i membri del gruppo circondati dalle fiamme, ennesimo segnale infausto dopo gli insistenti presagi di Ronnie; il cantante, affascinato anche da artisti “maledetti” come Robert Johnson e Howlin’ Wolf, ripeteva ostinatamente che non non avrebbe mai raggiunto i trent’anni. Dopo la sciagura, la MCA ritirò immediatamente la copertina dal mercato. Anche se non vanta la freschezza dell’album d’esordio e di “Second Helping”, “Street Survivors” è un eccellente opera d’addio per la formazione di Jacksonville, il tipico disco della maturità raggiunta, molto ben eseguito ma fedele al suo stile senza frivolezze. Infatti Lynyrd Skynyrd confermavano la loro statura di classica rock’n’roll band “confederata”, con memorabili brani quali “What’s Your Name” e “You Got That Right”, che giustificano la definizione di “Rolling Stones americani” a suo tempo abusata.
Completano questo CD 2, selezioni delle compilation postume “Skynyrd’s First And…Last” e “Legend”; la più sorprendente è “White Dove”, composta e interpretata nel corso della prima avventura con gli Skynyrd da Ricky Medlocke, che canta in falsetto una ballata molto melodica, accompagnato dal mellotron.

CD 3

(Foto Getty)

Nel 1987, decimo anniversario del mortale incidente aereo, i membri sopravvissuti si riuniscono per il Tribute Tour “Southern By The Grace Of God” con alcuni nuovi compagni fra cui spicca il fratello minore di Ronnie, Johnny Van Zant, un cantante decisamente all’altezza, al di là dei vincoli di parentela.
Questa celebrazione verrà immortalata sul doppio LP che reca il nome del tour (1988) e soprattutto sarà il viatico al definitivo ritorno sulle scene, con l’iniziale appellativo “Lynyrd Skynyrd 1991”, come l’album di studio che ufficializza il nuovo corso, destinato a protrarsi fino ad oggi e non certo ingloriosamente!
Dopo le inevitabili memorie di “Southern By…”, la versione di “Call Me The Breeze” di JJ Cale e l’inquietante “That Smell”, altro sinistro indizio della vena macabra di Ronnie, che si sentiva “circondato da un odore di morte…”, appaiono le prime testimonianze dei rilanciati Skynyrd.
Ancora prodotto da Dowd, “LS 1991” portava sugli scudi il focoso boogie sudista “Smokestack Lightning”, singolo al secondo posto della classifica rock di Billboard, mai raggiunto in precedenza, a dimostrazione che l’attesa della rifondata formazione non è stata vana.
Nel follow-up “The Last Rebel” (1993) svetta l’emozionante title-track, tributo di Johnny al grande superstite e luce-guida Gary Rossington. Innumerevoli gli spunti salienti, dal ritmo marziale sorvolato da una chitarra ipnotica, persino “miagolante” nel finale, alla non meno caratteristica punteggiatura della slide. Doppiata l’unica traccia di “Endagered Species” (1994), l’autobiografica “Devil In The Bottle” dove il cantante confessa la sua dipendenza dall’alcol, con “Twenty” -del 1997- si segnala il ritorno di Medlocke, che completa il tridente di chitarre a fianco di Rossington e Hugie Thomasson (già negli Outlaws, altra formazione “sudista”). Invero “Talking Myself Right Into It” è energica ma non originalissima. “Berneice”, intitolata alla Gibson di Gary, sfoggia una sezione fiatistica che ricondurrebbe alle esperienze del primo mentore Kooper con i Blood Sweat And Tears. Maliosa “Voodoo Lake”, dall’atmosfera spettrale che evoca le paludi della Louisiana infestate da rettili.
Infine, al tramonto degli anni ’90 (si tratta dell’album “Edge Of Forever”) una gemma tendente al rock melodico vissuto e non meramente formale, la ballata “Tomorrow’s Goodbye”, con arrangiamento orchestrale e produzione dello specialista Ron Nevison. Si noti come la strofa iniziale del testo: “I’m just a city boy, but there’s a small town side to me…” si riallaccia al classico dei Journey, “Don’t Stop Believin’”.

CD 4

A livello discografico, i Lynyrd Skynyrd si affacciano sul terzo millennio, con il dodicesimo album di studio “Vicious Cycle” (2003) a trent’anni dal debutto discografico. Il chitarrista “storico” Gary Rossington, reduce da una delicata operazione a cuore aperto, lo ha definito il migliore dai tempi di “Street Survivors”; affermazione impegnativa ma non forzata, vista la qualità del repertorio.
Di certo non si potevano liquidare gli eredi dei “sopravvissuti” come un gruppo dimesso: i chitarristi che affiancano Gary sono altre due stelle del Sud, Ricky Medlocke e Hughie Tomasson di cui s’è già detto; il vocalist resta l’efficacissimo Johnny Van Zant, mentre alle tastiere c’è un membro originario, Billy Powell, ed il batterista Michael Cartellone già suonava nei Damn Yankees, il supergruppo di Ted Nugent con Shaw e Blades. Il bassista Leon Wilkeson ha registrato solo due brani (ignorati da “Fifty”), prima del decesso nel luglio 2001; del resto si è occupato un altro Outlaws, Ean Evans. Questa line-up si riserva anche l’incontestabile merito di riproporre fedelmente le tipiche atmosfere che hanno reso classici i Lynyrd Skynyrd, con quell’inconfondibile “clima” che ben si riflette nell’hard rock blues di “Mad Hatter” (dedicata a Wilkeson), ma ancor più nella ballata elettrica “Red White & Blue”, fra ambientazioni country e rock a forti tinte, con clamorose impennate delle squillanti soliste; un trademark, quello delle spettacolari chitarre, riproposto anche nel finale della notevole “God & Guns” – title-track del successivo album, datato 2009 – e ribadita in “Gifted Hand”, che commemora Billy Powell, scomparso nello stesso anno.
L’attitudine a celebrare la memoria dei musicisti, quasi a suggellare la ferrea coesione della famiglia (“Skynyrd Nation”) e rafforzata dalle disgrazie nella vita e nella morte, si ritrova in “Mississippi Blues”, in onore di Ean Evans, che soccombe al cancro nel 2009 ed è rimpiazzato dal bassista dei Giant, Mike Brignardello. E’ contemporaneamente un omaggio al Delta blues, ed uno degli ultimi grandi exploit del gruppo, tratto dal quattordicesimo, finale album di studio “Last Of A Dyin’ Breed” del 2012. Il brano che intitola l’album, esemplare in quanto a forza espressiva, suona come l’epitaffio di una “specie in via d’estinzione”, gli Skynyrd stessi, che non hanno mai rinunciato a lottare per misurarsi con qualsiasi concorrente sul fronte del palco.
Conclude il quarto CD una versione dal vivo inedita del primo singolo “Gimme Three Steps”, che suggella idealmente la parabola del gruppo, rappresentando una sorta di “testamento” dell’ultimo concerto di Rossington, a Nashville nel novembre 2022. Un fatto acclarato è che anche in non più verde età, Lynyrd Skynyrd hanno molto spesso realizzato grande rock, e “Fyfty” è un manifesto che conferma questo postulato.

Solo due inediti, e si tratta semplicemente di versioni dal vivo di brani famosi, rappresentano un consuntivo inadeguato per die hard fans già in possesso dell’intera discografia o quasi. “Fyfty” costituisce invece un’utilissima antologia, che abbraccia l’intera carriera, per chi ha seguito solo saltuariamente i Lynyrd Skynyrd, e vuole redimersi al cospetto di una delle band che realmente hanno fatto grande il rock americano.
Invita alla riscoperta di quest’autentica leggenda Southern Rock anche la confezione, che si presenta come doppio LP con copertina apribile e grafiche in rilievo, ma nessun vinile incluso. Annovera esclusivamente i 4 CD oltre ad un fascicolo formato 12”, molto ben documentato su ognuno dei 50 brani scelti, ricco di fotografie ed introdotto da una presentazione di Cameron Crowe, già giornalista rock entusiasta della band, nonché affermato regista, di cui ricordiamo il film “Singles”, ambientato a Seattle nell’era del grunge (1992), con adeguata e significativa colonna sonora.

12 Commenti

  • Francesco angius ha detto:

    Questo è uno di quel manipolo di band assolutamente indispensabili per chi ama il rock. Per me tra i 10 gruppi fondamentali per la storia del rock. Chi come me possiede tutto trova l’ operazione superflua e speculativa, ma se è l’ occasione di parlare di nuovo di loro ben venga. Sarebbe bello avere una tua retrospettiva sul southern rock che ha avuto e ha ancora molti estimatori. Magari pensaci….. Saluti grande Beppe

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Francesco, al di là delle graduatorie (Top 10, 20 etc.) è indubbio che i Lynyrd Skynyrd risiedano nel tempio dei grandi del rock. Folle pensare il contrario. Come ho già detto, ma è giusto sottolinearlo da parte tua, l’uscita di “Fyfty” è stata l’occasione giusta per celebrarli; certo, includere qualche rarità sarebbe stato ben accetto! Sul Southern Rock un altro lettore mi ha cortesemente incoraggiato a trattarlo; penserò ad un’opportunità, perché complessivamente l’argomento è molto vasto, ridurlo a qualcosa di sintetico può essere semplicistico. Vedremo. Comunque grazie della stima.

  • Marco X ha detto:

    Vedermeli dal vivo, anche se con la formazione della reunion, mi ha regalato tanta gioia e commozione; sentire dal vivo brani storici come Free Bird e Sweet home Alabama, ma il mio preferito resta quel Simple man, da ascoltare con il testo davanti.
    Ma parliamo di questo cofanetto: è fondamentale?
    No, quattro c.d. a una cifra elevata , senza tanti motivi che spingono a comperarlo, sopratutto adesso che tutti si svenano per comperare dischi, i c.d. mi appaiono poco allettanti e il prezzo non invoglia.
    Resta il tuo bel articolo di uno dei miei gruppi preferiti.
    Ciao

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Marco e grazie dell’intervento; per quanto riguarda “Fyfty”, certo non è fondamentale per chi già ben conosce la band (mi pare di averlo scritto chiaramente) e le tue osservazioni sono del tutto legittime. Per i collezionisti di edizioni “speciali” è ben confezionato. Per quanto mi riguarda, approfitto di queste uscite discografiche per ricapitolare a modo mio la carriera di artisti che ritengo fondamentali.

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe gli Skynyrd sono stati un gruppo essenziale del Rock americano come affermi anche tu , soprattutto per la corrente street rock e hard blues di gruppi come Little Ceasar,Tangier, e ricordo anche le cover di Armored Saint e soprattutto i magnifici Law & order che li omaggiarono con “The needle and the spoon”…ah sì pure i Metallica lo fecero ma chissà quanti loro fans sappiano chi sono 😁… effettivamente loro e i loro epigoni, Blackfoot Molly Hatchet 38 Special o Outlaw hanno avuto poca risonanza oltreoceano,un po’ come l’a.o.r. dalle nostre parti non sono stati molto considerati..dico bene?

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, mi fai ricordare gruppi memorabili: ad esempio mi piacevano molto i Tangier di “Four Winds”, che elessi disco del mese (o del quindicinale, boh? Non ricordo la periodicità del 1989) su Metal Shock. Se intendi “oltreoceano” qui in Europa, posso dirti che all’epoca di “Marauder” (1981) la critica hard’n’heavy inglese stravedeva per i Blackfoot; idem negli stessi anni per l’AOR. In Italia, le cose andavano diversamente, anche le nostre etichette hanno cominciato a distribuire i dischi heavy metal perché reclamati a furor di popolo; meno attenzione suscitavano altre tendenze affini, ma ormai sono trascorse ere geologiche, teniamoci strette le nostre passionacce e affan… tutto il resto! Grazie del commento.

  • marco ha detto:

    Quanto amo questo gruppo, grazie Beppe !! Non sarò mai abbastanza grato al mio amico Fran, che nei primi anni 80 mi registrò una cassetta del doppio live. Piano piano mi sono procurato tutti i loro lp, compresi i due della Rossington Collins Band (molto belli) e gli altri progetti più o meno derivativi e più o meno riusciti. Nulla da aggiungere al tuo articolo, solo una mia personale lode a “Street Survivors” e al gran lavoro del nuovo innesto Steve Gaines. Chitarrista dal gusto unico e freschissimo e anche lead singer di tutto rispetto – ottimo il suo lp postumo “One in the sun” – mi chiedo solo cosa avrebbero tirato fuori dal cilindro se la sorte non si fosse accanita su di loro.
    Mi sono emozionato al sapere della reunion dei primi 90 e ho avuto la fortuna di vederli dal vivo alcune volte, grandiosa la data del tour di “Twenty” a Milano, con ancora Billy Powell e Leon Wilkenson al loro posto, ma discograficamente parlando, dopo quel disco, qualcosa si è rotto (ovviamente parere personale).
    Questa nuova raccolta aggiunge pochino al cofanetto di 3 cd uscito nel 1991, ma sicuramente è un ottimo prodotto per chi ha voglia di scoprire una band meravigliosa.
    …if I leave here tomorrow, would you still remember me..

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Marco, anche da parte tua un bell’omaggio a questa band storica, con citazione di album delle loro “diramazioni”, che non ho menzionato perché non fanno parte della raccolta in questione. Che effettivamente è indirizzata a chi vuole scoprire gli Skynyrd, o semmai possedere un’alternativa in CD ben confezionata ai vecchi vinili, magari un po’ logori. Tante grazie.

  • Giorgio ha detto:

    Oh un grande gruppone super Beppe. Il southern è stato per me un grande contenitore di emozioni. Blues, r’n’r, con un energia e una passione vera. I live di quelle band sono cavalcate sincere che arrivano al cuore dell ascoltatore. Il tuo articolo puntuale e bellissimo sviscera una delle band più vere e da strada del rock sudista. Qualche band ha mancato qualche colpo , virando negli anni novanta su una facile radiofonia, penso a siogo dei Blackfoot (band x me grandiosa) Outlaws ultima versione (altra band con un live da veri banditi), be’ i lynyrd colpi ne hanno battuti sempre con ottimi livelli. Be’ chiudo sperando in un tuo prossimo articolo che tratti in generale di southern e sono sicuro che mi farai conoscere band a me sconosciute !

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giorgio. Mi piace quando i lettori esprimono le proprie emozioni verso certi generi musicali come nel tuo caso. Ti ringrazio della stima, ma non attribuirmi super poteri perché non è detto che possa estendere le tue conoscenze. Si cerca di far del proprio meglio, ma guardatevi dai tuttologi che non esistono. Esiste molta presunzione, questo si! Alla prossima occasione.

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Bellissimo excursus di una delle più grandi band americana di tutti i tempi, a mio modesto avviso. E questo al di là dei generi. Peraltro io sono molto legato anche alla seconda fase dei LS, album come The Last Rebel o Last Of A Dying Breed li trovo splendidi. Condivido anche il discorso riferito a Guns & Crowes. Gruppo immenso.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessandro. Effettivamente molti conoscitori dei Lynyrd Skynyrd tengono a sottolineare la qualità della loro proposta anche nella “seconda vita” dagli anni 90 in avanti. Credo a mia volta di averlo detto chiaramente, così come è giusto considerare il ruolo storico di primissimo piano nel rock americano e non, esercitato lungo l’intera carriera. Grazie del tuo feedback.

Lascia un commento