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Ricordo Perfettamente

Quando ci lasciano gli eroi – Ricordo di Ian McDonald

Di 16 Febbraio 20228 Commenti

Le schiere dei nostri musicisti più amati si assottigliano. Un fatto puramente naturale dovuto all'età, ma non sempre si tratta di eroi di fama e notorietà pur essendo artisti di primo piano.

Mi pare di averlo già scritto : non c’è nulla di bello nell’invecchiare. Tutto ciò che ci circonda, poco alla volta, svanisce, evapora, scompare. Poche, pochissime note positive potremmo elencare, anche se pensandoci bene il peso di quelle negative le rende pressoché inutili.

Ricordo che quando iniziai ad amare profondamente la musica popolare, solo alcuni strumenti potevano entrare nell’Olimpo dei miei gusti, decisi e precisi ma del tutto da affinare. Degli strumenti a corda la sola chitarra era importante, poi la voce e la batteria. Il resto faceva da contorno. Praticamente un bifolco. Ci misi poco , in verità, a capire che c’era vita oltre al beat, all’assolo confusionario, alla voce potente, ma per qualche tempo mi persi molte cose. Aperti gli occhi mi si aprì anche un mondo di sonorità che, ahimè, mi ero perso e fui costretto a riprendere parecchie decine di album di cui mi ero perso fiumi di sfumature; fu come ascoltarli di nuovo per la prima volta. Capii quanto mi ero perso in colori e atmosfere e questo nuovo approccio di ascoltare mi fece crescere; le melodie dei Beatles emersero con una ampiezza non immaginata, le parti acustiche di altri album mi permisero di immaginare ciò che mi era stato negato, i fiati, gli ottoni, le linee di basso, i violini resero la mia stanza un anfiteatro immenso dove osservare dall’alto nuove emozioni.

Uno degli album che ripresi in mano un annetto dopo averlo ascoltato per la prima volta, acquistato più per quella violenta manata rappresentata dalla 21st Century Schizoid Man, un salto all’interno delle evoluzioni di Robert Fripp, fu proprio il primo disco dei King Crimson. Ricordo perfettamente che la prima cosa che mi fece sobbalzare fu quella incredibile copertina ed il gioco tra il nome del gruppo ed il titolo e sottotitolo del disco, ma i sette minuti iniziali , per me, sarebbero comunque valsi l’acquisto. Il resto, le venature jazz, lo spirito progressivo, le melodie e la voce di Lake a sottolineare e ad evocare armonie di grandissima qualità, le colorazioni classiche che ne hanno fatto forse l’album di rock progressivo più importante dell’intera scena le avrei apprezzate nei dettagli solo dopo molti ascolti, quelli successivi alla mia crescita come ascoltatore.

Come lettore – era il 1969, anno fondamentale che avrebbe rappresentato la valanga culturale che ci stava, di riflesso, andando a ricoprire – non avevo scelta : dovevo fidarmi di quello che i due giornaletti ci propinavano come Verbo. Fu per questo che ci misi un po’ prima di comprendere che quel In The Court of The Crimson King non era “il disco di Fripp guidato per mano da Lake”, ma ben altro.

Difficile spogliarsi di qualsiasi condizionamento affrontando un disco così famoso e così comune, ma un ascoltatore attento non potrebbe evitare di capire che, sì, oltre al genio nascente di Bob Fripp, l’intero prodotto è avvolto nelle incredibili atmosfere, nelle splendide immagini evocate da quel bravo e modesto polistrumentista che rispondeva al nome di Ian McDonald. L’uomo che aveva padronanza assoluta di chitarra, flauto, clarinetto, sassofono, tastiere era il collante che univa tutti i singoli episodi, il soggetto che rendeva unica la I Talk to the Wind, che immortalava con le tastiere la Epitaph esaltando la voce di Greg Lake, che faceva risplendere la Moonchild e guidava la melodia di The Court of the Crimson King dopo averla composta.

A guardare con occhio critico, “quei” King Crimson erano più la band di McDonald che di Fripp; il chitarrista, genio incontenibile, scopritore di talenti, autore di dischi immortali, leader ansioso e astioso di tutte le incarnazioni successive del gruppo sarebbe affiorato immediatamente dopo. Personalmente resto convinto che quell’esordio luminoso abbia inserito nell’Olimpo dei Dei del rock Ian McDonald, londinese, modesto e semplice come solo chi sa perfettamente le proprie potenzialità, musicista che pur una meteora all’interno dei Crimson, li ha resi immortali fin dal primo vagito.

Session man ambito, autore e cantante, fondatore dei Foreigner, membro parzialmente ricorrente del gruppo di Fripp in seguito sono tutte tappe di una storia che non sposta di un millimetro la grandezza dell’uomo. Ian, qualche giorno fa, se n’è andato; un tumore come accade agli anziani, ingrassati e senza più quel tappeto di capelli che lo contraddistingueva. Se n’è andato ricordato , celebrato, amato se volete, ma mai compreso veramente fino in fondo nella sua immensa impronta in un prodotto che tra altri cento anni resterà incontestabilmente perfetto e risplendente.

Quando ho saputo del suo addio sono salito in studio, ho preso il disco, quello del 1969, in mano. L’ho girato e rigirato, ho riletto le note di copertina e guardato i solchi, l’etichetta originale Island con l’isoletta e la palma ma non l’ho ascoltato. Da una parte non ce n’era alcun bisogno, lo conosco oramai nelle più piccole sfumature, dall’altra mi sarebbe sembrato un’offesa, un tributo volgare metterlo su proprio in quel momento. A questi geni dobbiamo solo dire grazie per averci reso la vita più bella, melodiosa, piena. Grazie Ian, angelo modesto, musicista come pochi. Un giorno, speriamo il più tardi possibile, ti raggiungerà l’altro diamante di quella formazione, quello tanto pazzo quanto immenso, elettrico e distorto. Ma quella sarà tutta un’altra storia.

8 Commenti

  • Michele Tancredi ha detto:

    Un altro dei gloriosi “rivoluzionari” anni 60-70 che ci lascia. È stato bello aver conosciuto tanta musica nuova, originale, che è durata nel tempo.
    Oggi esistono innovatori, non diciamo rivoluzionari, almeno gente che compone al di fuori del gioco commerciale, che vale la pena di seguire?

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Michele…non fare domande così difficili… 😀 io ti direi che gli ultimi “grandi” hanno oramai una sessantina o più di anni sulle spalle. Ma io sono un bastian contrario, lo ammetto. In ogni caso ci sono tonnellate di eccellente musica che necessita di ascolto e di (ri)scoperta : accontentiamoci no ?

  • Pino ha detto:

    Secondo me un ruolo importante l hanno avuto anche i Renaissance.

  • Alfredo ha detto:

    Non ho molto da dire, è stata una generazione di “veri fenomeni” che ha cambiato per sempre la musica e mano a mano ci stanno lasciando come è ovvio che sia. Tutti diversi ma ognuno con la propria personalità e genialità, gli anni ’60/’70 sono stati folli e irripetibili e la musica prodotta lo testimonia.
    Grazie.

  • Lorenzo ha detto:

    Buongiorno Giancarlo.
    Giustissimo tributare il giusto merito ad un grande musicista come Ian Mc Donald.
    A dire il vero mi sono molto meravigliato quando ho visto brevi articoli celebrativi su Ansa e altre testate “maggiori”.
    Oltre ad avere contribuito in maniera fondamentale al suono dei Crimson (a mio parere la sua influenza va ben oltre il primo disco), è stato parte fondamentale per la riuscita dei primi tre Foreigner.
    Segnalo anche il disco del 1971 con Michael Giles, che forzando un pò la mano, si potrebbe definire come una sorta di continuazione “apocrifa” dei King Crimson del debutto, e il meraviglioso solista del 1999, Drivers Eyes.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Certamente. In questi casi ci si getta a elencare l’intera carriera di un musicista, che quando ha avuto grosso modo sessant’anni di operatività non può che essere lunga. In questo caso, per me, quello che ha fatto con l’esordio dei Crimson vale un posto nell’empireo del rock and roll. Ci tenevo a sottolinearlo.

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