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Canzoni del cuore

Note d’amore

Cantiamo solo l'amore ? Pare proprio di sì. Vediamo come e cerchiamo di capire se le note d'amore abbiano un senso.

Gli zappiani lo sanno già. Alla fine dei settanta, un noto chitarrista inglese, biondo, riccioluto, con trascorsi interessanti, fece fortuna in America con un disco dal vivo che nessuno, lui incluso, avrebbe mai immaginato sarebbe divenuto un classico. Immediatamente dopo, Peter Frampton produsse un disco dal nome ambiguo : “I’m in you”, sono dentro di te. Era il 1977.

Zappa non si fece scappare l’occasione : scrisse un brano che intitolò “I have been in you”, sono stato dentro di te, e si prodigò nella spiegazione nei concerti… “Immaginate di essere una giovane ragazza sensibile, innamorata. Sulle pareti della vostra stanza è appeso un manifesto della popstar adorata: un giovane biondo e sorridente. Siete lì, distesa sul vostro letto, al buio sognate il vostro amore e lo desiderate lì, insieme a voi, mettete su il disco. E forse perché il tipo è inglese…le tradizioni, il tè delle cinque, la regina e il cambio della guardia, l’accento affascinante… improvvisamente sentite la sua voce che vi dice : “I’m in youuuuu”… ecco, spiegata così rende molto poco l’idea. Ma tenete presente che la voce che Frank utilizzava in quel momento era simile a quella del nostro Gatto Silvestro. A lui, queste cose facevano ridere moltissimo.

No, Zappa non ha mai preso sul serio il significato della parola “amore” ed ancor peggio i contenuti delle cosiddette canzoni d’amore. “Vi hanno detto un sacco di cazzate fin’ora…adesso vi do io la spiegazione corretta!”. E partiva Miss Pinky… “I got a girl with a little rubber head, rinse her out every night just before I go to bed, she never talked back like a lady might do and she looks like she loves it every time I get through...”. E’ proprio necessario che ve lo traduca ?

Eppure, persino i duri di cuore almeno una volta nella vita hanno preso una sbandata per una rappresentante dell’altro sesso, anche se non necessariamente solo di quello. Ed almeno una volta nella vita hanno trovato adatte certe parole e certe note che sembravano aderire ai loro sentimenti in quel momento. Fermatevi un attimo a riflettere, ammesso che non ve lo siate ancora chiesto : qual è l’argomento principe, quasi unico, dei testi della musica odierna, di qualunque espressione e tendenza ? L’amore. Cantato nei modi più crudi ed espliciti, violento e criminale fino all’assassinio, dolce e delicato, nostalgico e triste, maledetto e ripudiato, coccolato e speranzoso, l’amore è nella pratica la colonna portante delle nostre giornate in musica, che lo si desideri o meno. E quelle parole da diabete nelle vene sono tanto insopportabili quando lo si possiede quanto stimolo e incubo notturno quando se ne attende, magari da anni, la presenza.

Verissimo : mica tutti stanno lì a menarcela con i loro amori. A Dio piacendo ci sono anche altri argomenti cardine, in fondo mica abbiamo fatto una rivoluzione culturale parlando solo dei nostri adorati tesorucci ? E i rocker duri e puri, quelli che hanno Satana e le Messe Nere, l’alcool e la droga come argomenti prediletti, anche loro sono scivolati più volte sulla buccia di banana della dedica alla propria adorata. Anzi : possiamo affermare con certezza che quando i rocchettari si mettono a scrivere d’amore sono molto più scontati e smielati dei classici cantori a tinte rosa. Sì, la politica, la solitudine, la guerra, i crimini stupidi, le auto e le autostrade, le moto e la fiction, la fantasy e le parabole sulla droga, il carcere e persino il proprio cucciolo, la vendetta e il Sacro… tutto quello che volete, ma la percentuale dei testi sull’amore, diretto o indiretto restano il novanta per cento del totale.

Non venitemi dunque a dire che ne siete immuni. Non vi crederebbe nessuno. E…no…non avremo la presunzione di parlarvi d’amore indicando le migliori dieci, cento canzoni d’amore di tutti i tempi, non siamo così pazzi né saccenti. Sarebbe come sperare di spalare il mare con un forcone; tutti hanno scritto e parlato a modo loro d’amore e l’unico timido, infantile obbiettivo che vogliamo porci qui oggi è di ricordare a caso le prime note che ci vengono in mente e che hanno accompagnato e dipinto certi momenti della nostra vita. Quelle parole in cui siamo riusciti ad immedesimarci senza domandarci troppo PERCHE’ in quel momento ci sembrassero come esattamente scritte o pensate per noi. Perché lì e in quell’attimo ne avevamo bisogno, ci serviva immedesimazione, pensavamo che una condivisione di sentimenti ci avrebbe aiutato o supportato, confortato nelle convinzioni, giuste o sbagliate che si rivelassero poi in seguito. Quel genere di canzone ci entra dentro non solo per quelle poche parole in cui riusciamo a sintonizzare il nostro diapason interno con quello dell’acuto interprete, ma anche perché la musica, quelle note, ci sono divenute familiari, piacevoli; ci sono rimbalzate dentro mentre il tarlo della (in)sicurezza ci rodeva dentro. Chiariamoci subito : nella vita, io, non ne ho indovinata una, da quel lato lì. E bene farei ad innalzare lodi a Satana e al Capro dai Mille Cuccioli per invertire la condotta di una vita, però ammetto a capo chino di aver amato ed apprezzare ancor oggi brani magari semplici, magari semplicemente ruffiani e paraculo ma che hanno segnato, in qualche modo, giorni della mia vita.

Non sono tutti, non potrebbero esserlo, il mio cammino è stato già abbastanza lungo e la musica che sono riuscito ad ascoltare moltissima. Ma in questo momento sono queste le note che mi balzano in mente; un esercizio che cambierebbe l’attimo successivo alla pubblicazione di queste righe, ma un esercizio, tutto sommato divertente, per come mi è venuto in mente stamani. Di ognuna di esse ricorderò una frase, di ognuna, se mi ricorderò, vi darò un paio di notizie, a memoria. Tutto in ordine sparso, del tutto casuale. Prendete le mie traduzioni volanti con un po’ di pazienza e ricordate che l’originale è sempre molto più perfetto e musicale di qualsiasi interpretazione italiana logica si riesca a dargli. Ancor più importante è tenere a mente che per distinguere una canzone d’amore dall’altra è necessario che essa ci appaia credibile, sentita, non costruita a tavolino. Perché è la credibilità delle parole che utilizziamo a dare un senso reale a ogni nostro sentimento e non c’è nulla di peggiore che dire in amore qualcosa di falso con le parole sbagliate …Incominciamo.

“MAYBE I’M AMAZED” PAUL McCARTNEY

Macca ha scritto le canzoni più melodiche e memorabili dei Beatles, ma a me viene sempre in mente questa ogni volta che penso a lui per un motivo specifico. Mi sono convinto, leggendo e seguendo il percorso personale della sua vita, che Linda Eastman, la moglie persa per un tumore, fosse il suo vero amore di una vita. Perché Linda non era bellissima e Paul avrebbe potuto avere qualsiasi donna avesse voluto e proprio per questo sono certo che il dolore della sua perdita possa averlo quasi schiantato, spezzato in due. La vita continua, Paul è andato avanti, ma sono certo che ogni volta che abbia cantato questo brano avesse lei in mente, davanti agli occhi. Musicalmente non è probabilmente una delle sue cose più esaltanti, ma io adoro l’inizio di questo brano, che spara tutto il suo amore fin dalla prima frase, senza dare il tempo al brano stesso neppure di entrare nella sua melodia…e la musica arriva solo dopo, solo dopo quelle semplici, spontanee parole accompagnate dal pianoforte. La mia frase preferita è proprio l’iniziale : “Maybe I’m amazed at the way you love me all the time, Maybe I’m afraid of the way I love you, Maybe I’m amazed at the way you pull me out of time, you hung me on the line, Maybe I’m amazed at the way I really need you. Maybe I’m a man, maybe I’m a lonely man who’s in the middle of something that he doesn’t really understand. “. (Forse sono stupito dal modo in cui continui ad amarmi, forse ho paura del modo in cui ti amo, forse sono stupito dal modo in cui mi trascini fuori dal tempo, mi hai appeso a un filo, forse sono stupito dal modo in cui ho davvero bisogno di te, forse sono un uomo, forse sono un uomo solo che è nel mezzo di qualcosa che non comprende del tutto).

“CAN’T HELP FALLING IN LOVE”   ELVIS PRESLEY

Credo sia una delle canzoni più ruffiane che possa capitare di ascoltare. Ma è il brano che ha fatto innamorare milioni di giovani americane, ripreso poi da centinaia di interpreti, prima ancora di diventare un culto negli anni settanta e proprio tra coloro che avevano spazzato via questo genere di pop radiofonico. Quando Elvis la cantava era bellissimo : non il trippone gonfio di alcol e barbiturici che veniva portato via di peso negli ultimi anni, vestito come dovesse andarsene al carnevale di Viareggio. Con la chitarra ciondoloni, di traverso, la sua voce era puro velluto ed era quello il momento in cui la musica popolare stava mutando, forse questo brano ha segnato proprio il confine tra la vecchia musica pop e l’ondata di cambiamento che stava per travolgere il mondo. Era il 1961. Il pezzo divenne la chiusura dei suoi concerti e mentre il pubblico, ogni pubblico di ogni locale, rischiava di devastare la sala per riaverlo indietro per un bis, un presentatore saliva sul palco per spiegare a tutti che ogni speranza di riavere Presley indietro era vana perché… “Elvis has just left the building”… una frase che gli americani adoperano oggi per spiegare che non c’è più niente da fare… la frase che riporto è la prima strofa : “Wise men say, only fools rush in, But I can’t help falling in love with you. Shall I stay? Would it be a sin if I can’t help falling in love with you ? “ (I saggi dicono che solo i pazzi vanno di fretta, ma non ce la faccio a non innamorarmi di te. Posso restare ? Perché sarebbe un peccato se non potessi innamorarmi di te.).

“IF YOU SEE HER SAY HELLO”    BOB DYLAN

Un testo di rara delicatezza, toccante, sicuramente ispirato dalla separazione dalla moglie Sara Lownds ed inserito in uno dei miei dischi di Dylan preferito, Blood on the tracks. Un intero album dove l’amore emerge anche quando non vuole e quando proprio lì non ci dovrebbe neppure essere. Un disco così pensato e sofferto che anni dopo, l’autore, parlandone, disse : “Non riesco a capire come la gente possa amare così tanto tutto quel dolore.”. Perché quel disco ha rappresentato un momento importante anche per lui, una separazione che ha spaccato in due la sua carriera. Nel comporre il brano, Dylan, la volpe, ha ben in mente un classico tradizionale, dove si ricorda e si parla dell’amata al soggetto terzo cui ci si rivolge; ed è proprio questo espediente che rende comune l’esperienza. Chi di noi non ha parlato della propria donna, reale o sperata, ad un amico ? E così come in Scarborough Fair da cui viene l’ispirazione, Dylan parla con estrema cautela, come per non scoprire troppo quelle carte che sono tragicamente esplicite, di quell’amore perduto, ricordandone scene che nulla potrà cancellare. Il distacco e la nostalgia sono tangibili e le poche frasi quasi temono di scoprire un sentimento ancora forte. L’intero testo merita una lettura accurata, ma io prediligo questi versi, perché è facile accorgersi che invecchiando si è indecisi tra credersi sensibili o il pensare di stare diventandolo. De Gregori ne fece una versione italiana, tanto per rimarcare la dipendenza dei nostri dalla canzone d’autore americana… “I see a lot of people, as I make the rounds, and I hear her name here and there as I go from town to town, and I never gotten used to it, I’ve just learned to turn it off, either I’m too sensitive, or else I’m gettin’ soft”. (Vedo molta gente mentre me ne vado in giro, e sento pronunciare il suo nome mentre vago di città in città, E non mi sono mai abituato, ho solo imparato a far finta di niente, o sono troppo sensibile oppure sto diventando tenero.)

“DANCE ME TO THE END OF LOVE”    LEONARD COHEN

Cohen è il poeta prestato alla musica. Ha cantato molte volte l’amore e l’affetto, seppur nascondendolo all’interno di visioni e ricordi che servivano a coprire i sentimenti. Che ci parlasse di Nancy, di Suzanne (quella che viene definita la canzone d’amore per eccellenza, e che da sola varrebbe un racconto, tanto intricata sono la sua genesi e la vicenda), di Janis Joplin, di Joni Mitchell, di un amore finito come in Hallelujah, i quadri che ci ha dipinto con le sue parole restano spesso di non facile comprensione, densi di riferimenti colti e biblici. In questa Dance Me to the End of Love, ci viene proposta l’immagine dell’amore eterno, di quello che ti lega e conduce fino alla fine della nostra vita, un quadro di serenità assoluta, di speranza e vita ultraterrena, un sentimento che ognuno di noi, anche il più ateo, porta ben nascosto dentro sé. Un video venne girato per promuovere il brano e la scelta delle immagini di anziani amanti è rinfrancante e di buon auspicio ancora a distanza di decenni. E la scelta di chiedere di essere accompagnati danzando attraverso la vita è una immagine delicata che riscalda il cuore. “Dance me to your beauty with a burning violin, Dance me through the panic ‘till I’m gathered safely in, Lift me like an olive branch and be my homeward dove, Dance me to the end of love”. (Fammi ballare verso la tua bellezza con un violino in fiamme, Fammi ballare attraverso la paura finché non sarò al sicuro, Sollevami come un ramo di Olivo e sii la mia colomba verso casa, fammi ballare fino alla fine dell’amore).

“TRUE COLORS”    CINDY LAUPER

Non ho mai capito perché la Lauper non sia definitivamente diventata una artista di primo piano; anche se per un certo periodo, negli anni ottanta, c’era andata molto vicino. La sua voce è particolare e la scelta delle prime canzoni assolutamente importante; peccato che si sia persa forse per scelte sbagliate o per un mercato americano che sembra premiare solo gli eccessi. La sua antagonista musicale, ai tempi, era Madonna, una che in quanto a eccessi non è mai stata seconda a nessuna, ma che musicalmente, alla Lauper non avrebbe nemmeno potuto legare le stringhe. Ricordo un suo concerto nell’87 di grande qualità artistica ed esecutiva. Tralasciando la famosa “Time after Time”, che affascinò persino Miles Davis, credo che questa True Colors contenga una diversa visione dell’oggetto, un affetto che appare più uno sprone a chi si sente giù, un amore che riesce ad andare oltre la difficoltà e vede quei colori che rappresentano la bellezza di ognuno di noi. Sarà perché la Lauper mi è sempre stata simpatica, sarà perché concedere ai colori la forza di evidenziare i sentimenti, ma questo brano mi ha sempre dato serenità, a me che spesso non distinguo i colori di confine, quelli cui sento dare nomi affascinanti come “rosa fucsia”, ma che a me sembrano tutti uguali…il rosa e il viola, il nero ed il blu… e questa frase mi piace moltissimo. “I see your true colors and that’s why I love you, So don’t be afraid to let them show, Your true colors, true colors are beautiful like a rainbow.”. (Posso vedere i tuoi veri colori ed è per questo che ti amo, non temere a mostrarli, i tuoi veri colori sono belli come un arcobaleno).

“HERE COMES THE RAIN AGAIN”    EURYTHMICS

La pioggia è spesso descritta come l’evento che lava via i dispiaceri, i dolori, i ricordi. Non solo come l’elemento che ci infradicia ogni volta che decidiamo di allontanarci da casa senza ombrello. Qui la splendida voce di Annie Lennox commenta l’arrivo della pioggia come l’ispirazione di un ricordo struggente, come quell’elemento che scatena insieme la memoria e ispira il desiderio, il sogno di poter chiedere di rivivere emozioni che adesso mancano a chi canta. Le gocce e il desiderio si mescolano a pennellare due minuscole speranze che paiono rappresentare il tutto. Ve ne propongo una delicatissima versione acustica, ancor più toccante. “I want to breathe in the open wind, I want to kiss like lovers do, I want to dive into your ocean It is raining with you, So baby talk to me Like lovers do, Walk with me like lovers do”. (Voglio respirare al vento, voglio baciare come fanno gli innamorati, voglio tuffarmi nel tuo oceano che sta piovendo insieme a te, quindi tesoro parlami come fanno gli amanti, cammina con me come fanno gli amanti.).

“WILD HORSES”    ROLLING STONES

La leggenda racconta che quando gli Stones, gli Stones tutti rock and blues incontrarono Gram Parsons, la loro musica cambiò di molto. Richards divenne intimo di Parsons e non solo per il comune uso smodato delle droghe ma proprio perché vide in lui quell’essenza country, campagnola, che forse in quel momento serviva al gruppo. Hickory Wind, la “firma” per eccellenza di Parsons, si racconta che venne suonata prima dagli Stones che dall’autore con i Byrds. Sicuramente i brani acustici di Sticky Fingers non sarebbero mai nati senza quel rapporto di amicizia che legò per un certo periodo i due. Keith Richards ha spesso eseguito proprio Hickory Wind dal vivo, come tributo all’amico scomparso, ma qui riporto “Wild Horses” una ballata dolorosa, dove si narra di ciò che accade dopo una separazione con poche ma violente pennellate e il quadro che ne viene fuori sta tutto in quella frase, come se il vivere in campagna insieme ai cavalli selvaggi avesse potuto essere il modo per comparare un evento che non avrebbe mai potuto strapparti via dall’amore. Sono il tradimento e la bugia che incombono sulla fine di un rapporto, qui, anche se esiste ancora il modo di cercare di vivere, dopo che l’amore stesso è morto. “I watched you suffer a dull aching pain, Now you’ve decided to show me the same, No sweeping exit or offstage lines, Could make me feel bitter or treat you unkind, Wild horses couldn’t drag me away, I know I’ve dreamed you a sin and a lie, I have my freedom but I don’t have much time, Faith has been broken tears must be cried, let’s do some living after we die. “. (Ti ho visto soffrire di un dolore sordo e dolente, Ora hai deciso di farmi vivere lo stesso dolore, Nessuna scappatoia o via secondaria, Potrebbero farmi sentire amareggiato o trattarti male, I cavalli selvaggi non avrebbero potuto trascinarmi via, So di averti sognato come un peccato e una bugia, Ho la mia libertà adesso ma non ho molto tempo, La fiducia è stata spezzata, le lacrime devono essere piante, Proviamo a vivere dopo la morte.).

“SOMETHING”    THE BEATLES

Per un noto accordo, tutte le canzoni dei Beatles venivano firmate Lennon/McCartney sia che fossero composte singolarmente dall’uno o dall’altro; così come quelle degli Stones erano firmate Jagger/Richards. Per capire chi fosse il vero autore dovevamo capire chi cantasse. Perché ognuno dei Beatles cantava solo i propri pezzi. L’eccezione avveniva quando a comporre erano altri; in questo caso George Harrison. I brani di Harrison sulla intera carriera del gruppo si contano su poco più di una mano, ma uno in particolare è rimasto famoso come “la più bella canzone d’amore di tutti i tempi”, così come la definì Frank Sinatra. Something è una semplice canzone d’amore ma con una zona d’ombra che lascia un dubbio : lui ne è profondamente innamorato, al punto che basta vederla muoversi, ma nella sua dichiarazione compare una volontà che nasconde, forse, il dubbio di un tradimento. La frase “something in the way she moves” non è di Harrison; quando i Beatles inaugurarono la loro etichetta Apple…quella con la mezza mela che poi fece la fortuna di Steve Jobs e che lui ha sempre fatto risalire al fatto che aveva lavorato nelle piantagioni di frutta…certo che proprio una mezza mela mi ha sempre convinto poco… misero sotto contratto un giovane James Taylor che aveva composto una canzone che si chiamava, appunto “Something in the way she moves”. Il resto del testo venne individuato da Harrison nel corso delle registrazioni antecedenti ad Abbey Road, dove poi venne pubblicata. Ombra o meno, Something resta una delicata, leggera canzone d’amore. “Something in the way she moves, Attracts me like no other lover, Something in the way she woos me, I don’t want to leave her now, You know I believe her now, Somewhere in her smile she knows, That I don’t need no other lover, Something in her style that shows me, Don’t want to leave her now, You know I believe her now.”. (Qualcosa nel modo in cui si muove, Mi attira come nessun altro amante, Qualcosa in quel modo mi fa impazzire, Non voglio lasciarla adesso, Sai che le credo ora, Da qualche parte nel suo sorriso lo sa, Che non ho bisogno di nessun altra amante, Qualcosa nello stile che mi mostra, Non voglio lasciarla adesso, Sai che le credo ora. )

“YOUR SONG”    ELTON JOHN

Non è detto che tutte le canzoni d’amore siano dedicate da un uomo a una donna. Questa, una delle più belle, liriche e toccanti, è stata scritta da un uomo pensando al suo uomo. Bernie Taupin era il Mogol di Elton John degli inizi, quello più apprezzabile e qualitativamente rispettabile. Taupin, nonostante sia stato spesso negato, era il suo compagno con cui condivideva residenza e avventure. E’ difficile immaginare di poter dedicare a un amato/a qualcosa di più emozionante di queste parole. Credo che se esista chi cerchi o speri di dedicare una canzone a un amante, questo sia quanto di più lirico e descrittivo, emotivamente toccante, si possa immaginare. Così come per Dylan, qui è impossibile separare una strofa, ne va della visione di insieme del quadro astratto e al tempo stesso semplicemente reale che John/Taupin riescono a dipingere. Se davvero volete fare un dono alla vostra metà, scrivete a mano il testo in italiano, conducetela davanti a una qualsiasi fonte sonora e al buio danzate insieme, dopo averle dedicato questo gioiello.

“And you can tell everybody this is your song, It may be quite simple but now that it’s done , I hope you don’t mind, I hope you don’t mind, That I put down in words, How wonderful life is while you’re in the world.”. (E tu puoi dire a tutti che questa è la tua canzone, Può sembrare troppo semplice ma ora che è finita, Spero non ti dispiaccia, Spero non ti dispiaccia , Che io abbia scritto a parole, Com’è meravigliosa la vita con te al mondo.)

“KAILEIGH”    MARILLION

Ricordo perfettamente che quando ascoltai per la prima volta questo brano caddi innamorato. La voce di Fish era oscura, perfetta, la melodia ideale, lineare e affascinante, la copertina del disco attraente e misteriosa. Mancava il testo, che impazzii per reperire; all’epoca non esisteva né Google, né la rete. I Marillion mi piacevano molto più dei Genesis cui sono sempre stati paragonati; potrà sembrare un delirio, ma era così. A loro è anche legato un episodio di una delle tante figure di merda che costellano la mia vita professionale…bisogna che un giorno abbia il coraggio di riunirle in un solo pezzo, ma solo dopo che voi tutti abbiate giurato che non me le rinfaccerete mai più… al concerto del gruppo, in un teatro romano, nel 1987, non so per quale congiunzione astrale ero seduto in prima fila. Il promoter aveva riservato i posti proprio sotto quel palco ai soliti raccomandati della stampa. Il pomeriggio, avevo incontrato Fish, un personaggio tutto speciale : un fortissimo accento scozzese che non faceva niente per edulcorare, una stazza notevole…l’uomo è oltre due metri… sinceramente simpatico. Nel corso del concerto, in cui il cantante beveva una sequenza di pinte di birra chiara, si allungò dal palco per offrirmene una. Sono astemio e al gesto inaspettato risposi con un istintivo diniego cortese con la mano che lasciò interdetto, di sasso, non solo Fish, ma tutti quelli che avevo d’intorno e che mi presero per il culo nei mesi seguenti. Ma Kaileigh era davvero un gran bel pezzo. Convincente sopra ogni cosa, perché l’errore che le canzoni d’amore da due soldi fanno è quello di sembrare così spudoratamente false, costruite, da diventare scostanti. Nel testo c’è una frase che lascia interdetti : Kaileigh I’m still trying to write that love song che fa davvero pensare che l’autore avesse sul serio promesso a se stesso di riuscire a scrivere quella canzone d’amore per tornare a chiedere una seconda possibilità. Questo, alle mie orecchie la fa sembrare credibile. Il brano si sviluppa alternando immagini di ricordi, quei ricordi che troppo spesso ci inseguono, a richieste di riflessione. “By the way didn’t I break your heart? Please excuse me, I never meant to break your heart ,,So sorry, I never meant to break your heart, But you broke mine, Kayleigh is it too late to say I’m sorry? And Kayleigh could we get it together again? I just can’t go on pretending that it came to a natural end”. (A proposito, non ti avevo spezzato il cuore? Per favore, perdonami, non ho mai avuto intenzione di spezzarti il cuore . Mi dispiace, non ho mai avuto intenzione di spezzarti il cuore, Ma tu hai spezzato il mio. Kayleigh è troppo tardi per dire che mi dispiace? E Kayleigh potremmo rimettere i pezzi insieme? Non posso continuare a fingere che questa sia stata una fine naturale).

“THANK YOU”    LED ZEPPELIN

Gli Zeppelin alle prese con una canzone d’amore. Potrà sembrare strano ma alcune parole sono perfette, adattabili a qualsiasi giorno di una delle nostre qualsiasi vite. Nella semplicità sta la credibilità: in quello che noi saremmo , da soli, in grado di dire in un momento di intimità o di grande vicinanza. Il brano è stato ripreso alcune volte, anche se degli Zeppelin si ricordano ben altri plagi da parte di terzi; in particolare ricordo una bella versione resa dai Duran Duran…sì, proprio loro, quelli del tordo grasso alla voce… la riprova che scrivere d’amore può avere senso per chiunque, anche per chi …proveniva dalle terre del ghiaccio e della neve… di questo brano scelgo le due strofe iniziali, solo apparentemente banali. “If the sun refused to shine, I would still be loving you, When mountains crumble to the sea, There will still be you and me”. ( Se il sole si rifiutasse di splendere, Ti amerei ancora, Quando le montagne si sbriciolassero nel mare, Ci saremmo ancora io e te.)

“BE STILL”    THE FRAY

Devo ammettere di non aver la più pallida idea di chi siano o cosa facciano questi The Fray. Sono appassionato di alcune serie televisive e uno dei punti di forza di una di esse è la chiusura della puntata con un brano diverso ogni volta. Cold Case non è appassionante come altre, ma ha due espedienti della sceneggiatura che lo rendono diverso : il mostrare alla fine della chiusura del caso il volto della vittima grata per la giustizia resa e l’assassino catturato, vittima che scompare come finalmente liberata da un vincolo che le impediva la serenità e il riassumere la chiusura della puntata con scene che scorrono mentre viene proposta una canzone. In un paio di occasioni è stata utilizzata questa Be Still che sono andato a ricercare. Un brano solo apparentemente noioso, lento, senza picchi che ne giustifichino le emozioni contenute nelle poche frasi del testo, ma che ho trovato, per certi versi, condivisibili, reali. Una bella canzone, che potrebbe anche essere dedicata a un bambino, una sorta di ninna nanna a far dimenticare l’uomo nero, il Sandman degli americani. “When darkness comes upon you, And colors you with fear and shame, Be still and know that I’m with you, And I will say your name, If terror falls upon your bed, And sleep no longer comes, Remember all the words I said, Be still, be still, and know”. (Quando l’oscurità cala su di te, E ti colora di paura e vergogna, resta immobile e sappi che sono con te, E pronuncerò il tuo nome, Se il terrore cade sul tuo letto, E il sonno non viene più, Ricorda tutte le parole che ho detto, Resta immobile, resta immobile e sappilo.)

“BROKEDOWN PALACE”    GRATEFUL DEAD

La San Francisco dei sessanta è stata la culla della pace e dell’amore, logico che uno dei due emergesse più volte tra le note di quello che è forse il più grande gruppo americano. La miscela di melodie country, psichedelia, rock acido, blues e ballate fa dei Dead una esperienza imperdibile. Difficile avvicinarsi senza preparazione alla loro musica, perché nulla scorre sempre lineare all’interno delle loro esibizioni; per favorire il pubblico, le quattro ore di spettacolo vedevano due set divisi per scaletta e strumentazione utilizzata. Anche se le ballate non erano necessariamente relegate nel set acustico. Questa Brokedown Palace contiene immagini che solo un paroliere raffinato come Robert Hunter avrebbe potuto evocare. Scomparso lo scorso anno, Hunter riesce a creare due immagini che personalmente trovo delicate ma strazianti al tempo stesso e che non possono non muovere a riflessione per chi “sta diventando troppo sensibile”. Il paragone vuole che il proprio amore sia raffigurato come un palazzo in rovina, vicino a un fiume il cui scorrere attira il narratore che decide di riposarsi lì, vicino all’acqua. “In a bed, in a bed, By the waterside I will lay my head, Listen to the river sing sweet songs, To rock my soul”. (In un letto, in un letto vicino alla riva, appoggerò la testa, ascoltando il fiume cantare canzoni dolci, Per cullare la mia anima.). La voce e la chitarra etera di Jerry Garcia culleranno il vostro cuore.

Ecco… questa manciata di ricordi, di parole non dette, di parole che vorremmo pronunciare, o vorremmo sentir pronunciate è solo una goccia nel mare delle canzoni che potrei citare nel bel mezzo di milioni di altre possibilità che ho scartato nel corso dei miei giudizi o che semplicemente non hanno mai attraversato la mia strada. Sono assolutamente certo che una volta premuto “invio” e pubblicato, me ne verranno in mente altre cento…qualcuna di cui abbiamo già parlato, la bellissima Nothing Compares 2U, o altre che sono rimaste, chissà perché fuori da queste righe buttate giù di getto, per trascorrere un’ora in meno davanti alla televisione. Sono a riposo forzato, come alcuni di voi sapranno e pensare all’amore mette alla prova anche quell’organo che mi hanno appena revisionato… una sola citazione per il mio adorato Gaber. L’amore che lui ha saputo magistralmente descrivere decine di volte, è scivolato un tempo nella più assoluta semplicità di una canzone che, proprio per la sua esplicita banalità, rappresenta la somma di quell’amore quotidiano che noi tutti viviamo o vorremmo poter vivere. “Chiedo scusa se parlo di Maria” è l’antitesi dell’impegno, la politica, il sociale, della vita che ci vuole portare per forza altrove e che ci costringe, chiedendo scusa, a parlare della realtà. Era il 1973. Ecco : la realtà.

“Non è facile parlare di Maria, ci son troppe cose che sembrano più importanti, mi interesso di politica e sociologia, per trovare gli strumenti e andare avanti, mi interesso di qualsiasi ideologia, ma mi è difficile parlare di Maria la libertà, Maria la rivoluzione, Maria il Vietnam, la Cambogia, Maria la realtà.”.

PS : E voi ? Ricordate quali note vi hanno coinvolto ? Ditemelo, se vi va.

8 Commenti

  • Giacobazzi ha detto:

    Non sono un sentimentale. Se parliamo di lenti o di ballate, dico Lover Man nella versione di Charlie Parker, Wond’rin Aloud dei Jethro Tull e Barfly degli Steel Crown. Le ultime due sono (grandi?) esempi di poesia delle piccole cose, del quotidiano…

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      …in genere mi concentro più sulle immagini create da una parola o da una frase… gli esempi possono essere milioni, e quasi tutti personali. Parker , come testo non mi tocca le corde. La musica, sì. A ognuno la sua tazza di tè 🙂

  • bellicapelli ha detto:

    io sono più giovane di Giancarlo, e ammetto di conoscere quasi niente delle canzoni da lui citate; però sono abbastanza vecchio per essere uno di quelli che realizzava compilation di ballad su cassetta. da dare alle compagne di scuola…
    così al volo mi vengono in mente Aerosmith “Angel”, Scorpions “Still Loving You”, Ramones “Bye Bye Baby”, Motley Crue “Without You”, ecc ecc
    qualche volta ha anche funzionato

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Ah sì, eh ? satanello… facevi le compilation a scopi tromberecci… buon per te. Io ho al massimo pensato di fare ascoltare o dedicare una canzone a una donna cui tenevo…anche perché fin troppo spesso le emozioni e le reazioni sono così differenti che mi sarei trovato di fronte a un corposo : “E ‘sti cazzi?” da parte di chi non riusciva a sentirsi toccata dalle medesime note. Così quelle sono sostanzialmente emozioni personali, come molte altre che, ovviamente, non ho elencato… Ricordo solo una volta di aver avuto una risposta consapevole da una persona cui, dopo molti anni, inviai una canzone. Ma vai a sapere te se era cortesia o condivisione…

  • Fulvio ha detto:

    Ciao Giancarlo,
    Come da tue indicazioni: “ricordare a caso le prime note che ci vengono in mente e che hanno accompagnato e dipinto certi momenti della nostra vita. Quelle parole in cui siamo riusciti ad immedesimarci senza domandarci troppo PERCHE’”….
    Due su tutte, due periodi diversi della vita anche se non troppo lontani tra loro:
    Whitesnake – Is this love
    John Waite – How did i get by without you
    Ciao e sempre complimenti e grazie per tutto!

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Intanto grazie per i complimenti, fanno sempre piacere… altrettanto piacere mi fa conoscere le “tue note d’amore”, anche se .. lo so che perderò punti, adesso… Is this love non è mai stata una delle mie favorite. Forse perché ebbi, proprio in quel periodo, a incontrare il Coverdale e mi sembrò così tronfio e presuntuoso che non ebbi una bella impressione. L’unica cosa che, ricordo, mi divertì molto, fu sapere che per il primo video di 1987 gli toccò affidarsi a un batterista libero in quel periodo e solo per quella occasione… il batterista era uno dei miei preferitti di sempre, Little skinny Terry Ted Bozzio…peraltro un conoscente (non si può dire amico) e fui molto contento di sapere che un grande batterista si era messo a far fonta di aver suonato su quel disco… 🙂

  • Marco ha detto:

    Ciao Giancarlo, in un periodo strano con una ragazza, continui tira e molla da entrambe le parti, avevo eletto il disco Rumors dei Fleetwood Mac come mio riferimento e in particolare la canzone “The chain”, ascoltando il vinile ne leggevo i testi e the chain era la mia preferita.
    Alla mia attuale compagna invece gli avevo fatto una cassetta compilation con il brano dell’Equipe 84 : e io ho in mente te.
    Ciao
    Marco

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      …vai sul classico, Marco…l’Equipe è uno di questi, senza tempo…anche se io ho sempre guardato con diffidenza ai “meravigliosi anni sessanta” che in Italia erano gli anni della corsa alla versione locale di un brano già composto da altri, meglio se poco conosciuti da noi. E poi, quella piccola vergogna che è stata l’attribuire i diritti anche della versione originale a chi ne aveva tradotto quella in italiano… ci facciamo sempre conoscere… 🙂

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