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Ricordo Perfettamente

I dischi dal vivo che non sarebbero mai dovuti uscire.

Di 25 Ottobre 202214 Commenti

Molti artisti hanno cercato di impedire l'uscita di dischi dal vivo che poi sono diventati dei classici del rock.

Non so se vi capita mai di riflettere su quella categoria di …articoli ? Riflessioni ? Giudizi dalla Garbatella ? … di chi ciclicamente scrive libri (…miodddio!) o articoli indicando i dieci, cento, cinquecento…c’è chi arriva a mille… dischi da portare con sé in un’isola deserta. Questo genere di cose fa coppia con un’altra moda recente : indicare un anno e mettersi a elencare le uscite “imprescindibili” di quel periodo. Altro metodo seguito da chi intenda dare lezioni di musica è quello di creare selezioni di album su cui sfogare la propria creatività… i grandi esordi, i grandi dischi di interpreti femminili, gli album che hanno inventato un filone… potremmo andare avanti per giorni.

Chi scrive queste cose non si domanda MAI se i propri gusti e fin troppo spesso la sua personale conoscenza del settore possano condizionare i risultati;  e saperne parlare. Per cui chi pensa di poterlo dire, o mente o ti prende per il sedere. Quello che finisce sotto gli occhi del lettore, dunque, è una selezione estremamente parziale che per chi ha la passione della lettura e dell’approfondimento può troppo spesso far sorridere ma che ha il potere di condizionare un lettore giovane o inesperto.

Giorni fa un ex-collaboratore di un paio di riviste oggi in pensione elencava su facebook le Grandi Opere Prime “dimenticando” …anche se sarebbe più corretto dire “non conoscendo o non ritenendo importanti” gli esordi di Hendrix, Dylan, Zappa (e potrei aggiungerne un’altra cinquantina a caso) ma inserendo cose che in buona fede non saprei, personalmente , neppure se suggerire all’ascolto. Maledetti gusti personali ! Sono loro il tumore del “divulgatore” così come altri anziani scrivani usano autodefinirsi : divulgatori dallo studio di casa spesso situato in zone geografiche lontane persino dagli aeroporti.

Però devo ammettere che sarebbe divertente mettersi a duellare di fioretto, basandoci, logicamente sui nostri gusti e conoscenze, e infiorettare blog e social delle nostre liste dove i…che so? Social Distortion… non compaiono tra i gruppi “seminali” e l’esordio dei Velvet resta quello che era, un disco voluto, indirizzato e condizionato da un artista visuale di New York.

Così come troverei divertentissimo raccontare quello che nessuno vi dirà mai sulle paturnie, i deliri, le bipolarità, le angosce sessuali e non, le droghe e l’alcool, l’assoluta mancanza di cultura delle grandi stelle del nostro universo. Non sarebbe interessante diffondere la storia di… Lou Reed ?… e spiegare il vero del perché delle sue ambientazioni, come nascevano, delle storie che raccontava… giusto come esempio. Ma sono cose impossibili da proporre, perché anche se tu le avessi vissute e conosciute in modo diretto, ci sarebbe sempre il tizio di Carmagnola o Corigliano, devoto fan, pronto ad attaccarti perché su una fanzine, decenni fa, aveva letto che… o cosa dire di quelli che, personalmente offesi come se l’artista toccato dal dubbio fosse un familiare, ti verrebbero a cercare sotto casa dopo aver elencato dozzine di epiteti su tutti i social seguiti dal tuo nome… No, no : lasciamo perdere. Limitiamoci a un banale scritto cercando di essere obbiettivi e di ricordare più o meno correttamente quello che avevi appreso dalla stampa anglosassone (l’unica fonte che riesco ancora a rispettare) alcuni decenni fa, quando certi vinili erano stati pubblicati.

Giorni fa ascoltavo qualche album dal vivo. La musica da guardare e ascoltare spesso mi manca, e per puro caso avevo notato che avevo scelto dischi che in realtà non sarebbero mai dovuti uscire e che, invece, erano diventati punti fermi nella produzione di quell’artista.

I dischi dal vivo erano una manna dal cielo del giovane Trumpets : impossibilitato per nazionalità ed età a seguire i concerti di idoli dei miei teens, l’Italia non era propriamente un luogo ameno per suonare tra sessanta e settanta, quando potevo piazzare sul giradischi certi album live, perdevo quasi letteralmente i sensi ascoltando versioni dilatate, piene di improvvisazioni, di cose che avevo imparato a memoria registrate in studio ma che lì emergevano in una luce totalmente diversa. E poi c’erano gli applausi, le urla, i cori che chiudendo gli occhi potevo veder materializzare credendo di essere anch’io lì con loro, in qualche anfiteatro, club, collina di Woodstock. Un sogno.

Non sapevo né avrei immaginato che i dischi dal vivo, in quell’epoca, erano considerati prodotti di serie B, buoni per rispettare contratti in esaurimento, per prendere fiato e mantenere una scadenza, per coprire le mancanze di un momento in cui un componente non era in forma, se ne era andato a fare altro nella vita. Per me erano gemme da coccolare. Ricordo perfettamente la ricerca spasmodica di certi doppi dal vivo usciti solamente in Giappone, quando quel mercato – ancor oggi fiorente e fonte di rarità – si poteva permettere di far uscire un disco solo nelle loro isole e la richiesta nel resto del mondo o l’esperienza di marketing costringeva l’etichetta madre a stamparne copie ovunque. Tranne che da noi, in Italia. On Your Feet or On Your Knees, Twin Peaks, Like at Budokan… dischi sognati e cercati ovunque e trovati a prezzi da cessione di rene o cornea tramite decine di lettere ad amici oltremanica o oceano… no, niente Amazon, Discogs o internet, ragassuoli… siete male abituati… e guai anche solo a pensare che l’artista di riferimento non avrebbe mai voluto che quei dischi circolassero in tutto il mondo. Big in Japan era una affermazione che stava ad indicare che chi era famoso nel buco del culo del mondo e da questo poteva trarre un po’ di guadagno, non necessariamente era felice di buttare in giro album realizzati e prodotti “al volo” per un mercato speciale.

Ma i dischi dal vivo non esattamente amati ma subìti, uscivano anche in Europa, negli Stati Uniti: i motivi ve li abbiamo appena elencati e spesso si riassumevano in una parola : dovere. Eppure a me, a noi, sembravano così belli e potenti, perfetti, che quando scoprimmo che chi li aveva prodotti non solo non li amava ma li odiava proprio, ci restammo parecchio male.

L’elenco dei dischi “che non sarebbero mai dovuti uscire” è lungo e sorprendente e sono certo che nel mio ricordo ne ho rimossi molti; ma ciò che conta nella maggior parte dei casi è che a decine di anni di distanza si ha la certezza di essere di fronte ad album che chiunque oggi definirebbe essenziali. Al punto che persino chi li ha detestati adesso se li coccola facendo finta persino di non averli contestati e contrastati al momento della pubblicazione. Credo che il caso di Rock and Roll Animal sia l’esempio più lampante della miopia e della stupidità di un musicista che arriva ad odiare un disco che resta, fin dal titolo, un classico del rock !

Abbiamo citato il doppio live dei B.O.C. Molti non ricordano che Lanier e soci si inferocirono quando il disco, originariamente uscito nel solo Giappone, venne ristampato dalla Sony e distribuito in America. Il suono era, effettivamente, chiuso e sotto prodotto, quasi un live registrato in presa diretta, tipico delle uscite locali, alcuni brani avevano un suono diverso l’uno dall’altro e il gruppo non voleva assolutamente che tutto il lavoro di studio e di produzione che aveva caratterizzato i primi dischi in studio venisse vanificato da un suono duro, non nitido, massificato come quello che usciva da quei solchi, appunto, nonostante la presenza del duo Pearlman/Krueger alla produzione. Per Bloom il termine heavy metal era una definizione, ma se quella definizione diventava il marchio, una etichetta, beh… la rifiutava. Questo mi disse personalmente. Buffo no ? Il primo gruppo per cui la parola heavy metal era stata usata, prendeva le distanze dal genere susseguente. Il disco l’ho amato e consumato, anche se effettivamente non ne ho mai amato la produzione piatta e confusa…però la copertina lasciava supporre chissà quali… trattati segreti… e quel synth all’inizio di Harvester of Eyes con il presentatore che urlava “On your feet…or on your knees…The Blue Oyster Cult”… mi faceva sognare universi paralleli dove sacrifici umani e guerre intergalattiche erano offerte per colazione.

Un altro disco che non avrebbe mai dovuto vedere la luce è quel capolavoro di Colosseum Live ! disco che persino nelle note di copertina di Jon Hiseman (un batterista incredibile che chissà perché sfugge sempre nelle memorie degli esperti!) nella ristampa ampliata su cd, si ammette che proprio non corrispondeva agli standard che il leader immaginava per il proprio gruppo. Per lui quelle esecuzioni erano fiacche, inferiori a quello che lui sentiva buone per descrivere il suono dal vivo di quel supergruppo e proprio, se avesse potuto, lo avrebbe cancellato. Un doppio album pubblicato principalmente per contrastare i bootleggers che avevano stampato un live che era diventato popolarissimo… Eppure quel disco è stato l’album che ha segnato le vendite più alte della loro storia e, riascoltato oggi, è di una bellezza straordinaria. I sei componenti, i sei leader… un produttore ebbe a dire che registrare con loro erano come lavorare su sei album solisti… sono tutti insieme al vertice della personale vicenda professionale e giuro che ancora oggi, 51 anni dopo, il lungo assolo di Dave Clempson su Lost Angeles mi fa venire i brividi : una progressione che sfrutta tutte le possibilità dei distorsori che erano disponibili su una pedaliera, nel 1970.

Se mai aveste commesso il delitto di non possederlo, cercatevi la versione ampliata, su doppio cd, dove un intero disco contiene nuovi brani, inclusa l’intera, bellissima Valentyne Suite.

Twin Peaks… i Mountain… Leslie West e Felix Pappalardi erano i miei eroi da quando avevo scoperto la facciata dal vivo di Flowers of Evil, così piena di riff che avrei ritrovato in dozzine di produzioni di altri rocchettari da farmi dimenticare che esisteva anche una facciata in studio. Poi la notizia che il gruppo si era sciolto, un anno di silenzio e l’eco di questo disco giapponese con il duo Bob Mann/Allan Schwartzberg a completare il quartetto. Ricordo che un buon negozio di dischi della mia città, poteva recuperare i prodotti giapponesi dato che il proprietario era appassionato di jazz e delle uscite che laggiù venivano ritmicamente proposte. Gli levai la vita. Attesi quasi sei mesi prima che una copia a un prezzo che all’epoca mi parve una follia mi venisse offerta. Giurai che lo avrei acquistato e me lo feci mettere da parte; poi, nel corso della ricerca del budget, lessi da qualche parte che la Sony aveva deciso di farne una versione statunitense che sarebbe, ovviamente, costata molto di meno. Attesi quella. Ma per un bel po’ di tempo fui obbligato a evitare di entrare in quel negozio…

Ammetto che il lato del Fillmore East mi è sempre parso più tosto, sanguigno, ma la versione di due facciate della Nantucket Sleighride è da commuoversi sull’istante. E…sì…pure questo era un disco dal vivo che non avrebbe dovuto uscire. Tastiere e batteria erano di due sessionmen troppo “puliti” per lo stile Mountain e Pappalardi non amava molto quel suono poco graffiante . Ascoltatelo oggi e poi ditemi se non si era sbagliato.

La storia dei live poco amati dai musicisti si potrebbe allungare fino alla noia… ma una vicenda complicata con intreccio di gelosie, necessità di infastidirsi sui rispettivi mercati, di ripicche di vario genere e royalties potrebbe essere quella relativa alla quasi contemporanea uscita di Live Evil dei Black Sabbath e di Speak of the Devil di Ozzy. Il primo, ottimo album a mio parere, e non solo per la presenza di una grande voce, ma anche di brani di ottima qualità… e qui potremmo iniziare la discussione tra chi ha amato i Sabbath di Ozzy e chi ha visto in quelli di Dio il vertice della produzione… venne voluto da Iommi, ma subìto da Dio che difatti non perse tempo a distruggerne il contenuto sostenendo che di live, quel disco aveva davvero poco, che tutti gli assolo erano stati nuovamente suonati in studio, che la sua voce aveva subito ritocchi e messa in secondo piano e che un vero live non avrebbe mai dovuto essere così. Ovvio che Iommi e Butler non l’avessero presa molto bene e che i rapporti con Ronnie James e in particolare la moglie/manager Wendy finissero con sfociare in azioni legali minacciate o portate avanti e con la fine dei rapporti tra cantante e gruppo e la successiva tanto odiata quanto brillante, per me, brevissima avventura con Ian Gillan.

Ozzy, da parte sua, dimenticato come vivere nel mondo reale e con una psiche oramai perennemente debilitata dall’uso di alcool e cocaina, era totalmente in mano alla moglie Sharon la quale, venuta a conoscenza che i Sabbath stavano per pubblicare un disco dal vivo, decise di tagliare fuori quella produzione, pubblicando un disco del marito con soli brani degli originali Sabbath. La vicenda dei componenti del gruppo che si rifiutavano di comparire in una avventura che non li vedeva in linea con la loro evoluzione musicale, i litigi di Ozzy con Randy Rhoads che condussero i due a separarsi obbligando però il chitarrista ad onorare il contratto prima di andarsene, vennero risolti dall’incidente che vide Rhoads perdere la vita e da Sharon obbligare il resto del gruppo a veloci prove per anticipare l’uscita di Live/Evil, recuperando un chitarrista che poi sarebbe scomparso dalla “linea Osbourne”. Con un po’ di pazienza potrete trovare sul web tutta la vicenda che ha da una parte del comico e dall’altra gronda tristezza di rapporti consumati e resi ancor più duri dalla presenza di mogli… troppo invasive…

E mentre io sono ancora qua a dar ragione a San Rick Rubin quando in occasione della produzione del bel “13” disse pubblicamente che “avrebbe voluto sapere chi avesse convinto Ozzy che avrebbe potuto cantare in stile metal anni ’80 non avendone tonalità e voce” facendo fischiare le orecchie a Sharon Arden , devo ammettere che per quanto poco amato, sicuramente imposto, improvvisato, il live di Ozzy ha in Brad Gillis una perla di solista che io, per i miei gusti, trovo l’unica ragione per continuare ad ascoltare quel disco. Ogni assolo di Gillis è anomalo rispetto a quanto fatto da altri in quei brani e la definizione che un famoso critico inglese dette di quel suono tutto particolare… “Brad suono-due-riff-per-volta Gillis” … calza a mio gusto a pennello. Provate anche solo ad ascoltare il solo di Paranoid su Live/Evil (bellissimo ma classico) e il taglio della frusta di Gillis sul medesimo brano. E capirete cosa intenda.

Non voglio annoiarvi ma un altro disco dal vivo, questo sì, estremamente osannato da critica e pubblico e che venne pubblicato da un gruppo in disfacimento per le intemperanze tossiche del leader e di conseguenza riveduto e ritoccato ampiamente in studio è il bellissimo Waiting for Columbus dei Little Feat. Un disco che non stanca mai, che ha grandi brani ed eccellenti esecutori, che sfugge a catalogazioni precise, che affascina proprio, forse, per quelle “estensioni” di chitarre, strumentali di tastiere, sezioni di fiati che sembrano essere stati abbondantemente aggiunti in studio proprio per evitare che il gruppo ne rifiutasse l’uscita. Un disco che mette d’accordo appassionati di generi diversi, tanto perfetto pare suonare e che ha visto, negli anni, uscire diverse edizioni ampliate, dall’originale disco cd singolo con due brani in meno a doppio con molti brani aggiuntivi, alla monumentale e recentissima edizione di otto cd (!) con ben tre concerti inseriti nella loro integrità… a questo punto saremmo curiosi di capire se anch’essi ritoccati e rinforzati per non sfigurare con l’originale. Un album che non possedere e non amare è un crimine, tanta bellezza trasuda da quella plastica.

Ci fermiamo qui, per non deprimere e sciupare il ricordo di altri dischi cui siamo affezionati e che amiamo tutt’ora, nella speranza di non averne rovinato l’affetto di chi magari non conosceva certi dettagli che, diciamocelo pure, possiamo ampiamente dimenticare perché quando la Musica è bella e ci fa ancora venire i brividi… chissenefrega se non sia stata amata o ritoccata dall’artista : l’importante è che si sia fatta amare da noi.

14 Commenti

  • Maurizio ha detto:

    Perfetto,ottimo articolo.La chitarra di Brad Gillis in “talk of the devil”(in alcuni paesi speak of the devil”)e sensazionale.D’altronde i Nightranger avrebbero dovuto avere altra considerazione,assolutamente!

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Che bello trovare chi ha amato Brad in quel live… si sarà pure trovato lì per caso, avrà dovuto imparare i pezzi in pochi giorni, ma il suono e la sintesi dei suoi assolo l’ho sempre trovata incredibile.

  • Baccio ha detto:

    Ottimo Giancarlo, i dischi dal vivo sono la mia passione e leggerTi è sempre un piacere!
    Ma una versione Deluxe di Rock and Roll Animal la faranno mai? Escono cofanetti di qualunque cosa e questo vero gioiello rimane al palo?
    C’è anche il disco live di Clapton da rivisitare ampliandolo: Just One Night.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Baccio…è la domanda che ci poniamo tutti. E ti dirò che nonostante manchino sia Wagner che Reed, c’è sempre Hunter che potrebbe curarne una riedizione. Temo che certe leggende sulla distruzione dei nastri richiesta o operata non saprei da Reed medesimo potrebbero anche essere credibili, dato che viviamo in un’era in cui la riedizione e la stampa di versioni ampliate con box e tutto ciò che può far spendere un appassionato è l’unica certezza nel mondo della discografia. E’ probabile che non esistano più i nastri originali.

  • Marco X ha detto:

    Di quelli che hai citato metto il Live dei Colloseum al primo posto nei miei gusti personali; Waiting for Colombus lo ho riascoltato due domeniche fa, trovandolo sempre più bello, i due Hard: BOC e Ozzy mi sono sempre piaciuti, anche se quello di Ozzy lo sempre trovato strano con i brani dei Sabbath suonati da Brad Gillis dei Nightranger, conoscevo la storia dei dispetti Sabbath Ozzy, ma non che avesse buttato fuori l’amato Randy, confesso d’aver ascoltato poco Lou Reed con il suo live.
    Sempre belli i tuoi racconti, belli e originali.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Marco, direi che dovresti colmare la lacuna. Hunter e i suoi arrangiamenti riescono a rendere luminoso anche un album tetro come Berlin, visto che diversi brani provengono da lì. Io ti caldeggerei di spendere un po’ del tuo budget sulla versione allargata di Animal e di cercarti il Live successivo che proviene dal medesimo concerto. Ne vale la pena… e, sì, certamente : Ozzy o chi per lui aveva litigato con Rhoads costringendolo alle registrazioni che non si tennero a causa dell’incidente mortale.

  • Lorenzo ha detto:

    Buongiorno Giancarlo.
    Il tema è interessante, nonostante personalmente io non apprezzi molto i live, li ho sempre trovati una sorta di scusa per coprire un buco temporale nela produzione di band o solisti, o utili per suggellare la chiusura di un contratto con la label di turno.
    Da quando gli artisti hanno cominciato a rendere disponibili quei bellissimi combo cd+dvd, oppure LP+dvd (o BLu Ray), trovo i live più interessanti essendo presente anche la parte visiva, ma essenzialmente li ascolto una volta e poi diventano soprammobili.
    In generale, spesso le versioni live sono fin troppo diverse (e peggiori, per me) da quelle in studio, la qualità sonora discutibile, e se questo gap viene colmato abbondantemente durante il concerto in presenza, il semplice ascolto mi pare sempre non soddisfacente.
    Detto questo alcuni dei live citati li ho (non possiedo i Colosseum, che conosco avendo solo VS, e i Little Feat, che purtroppo conosco solo di nome… ), più che altro per motivi di affezione; certo il live di Ozzy mi pare rappresenti una eccezione, esattamente per la presenza di Brad Gillis, che è un grande chitarrista, forse il migliore che Ozzy stesso avrebbe mai potuto assumere.

  • Renzo ha detto:

    Bello! Bello! Bello! Tutti dischi amatissimi e citazione perfino per la facciata live di Flowers of Evil che ho consumato con la puntina di granito della fonovaligia Reader’s Digest di mio papà. Mi sono commosso (starò diventando rimbecillito). In poche righe uno tsunami di ricordi della mia gioventù, quando riuscivo a comprare un disco ogni 3 mesi praticamente me lo tatuavo sulle cellule della memoria a forza di ascoltarlo. E anche, inaspettatamente Ozzy! Ho sempre pensa che Speak fosse il miglior album dei Sabbath che i Sabbath non hanno mai fatto. Grazie

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Renzo… credo che Gillis sia stata una sorpresa per chiunque, conoscendo i solo di Iommi, si è confrontato con i suoi. Che poi quel disco sia frutto di vendette trasversali… beh, a noi che ci frega ? 🙂

  • meo ha detto:

    waiting for columbus. mammamia , che bei ricordi , che bel disco . grazie al quale sono via via andato a riprendermi tutta la discografia dei little feat . e poi willin , che bellezza ragazzi .

    on your feet altro disco che mi ha fatto conoscere i boc , per i quali ho sfidato il monte bianco sotto la neve in fiat uno 55 , per vederli a montreaux . disco letteralmente consumato . ho sempre pregato per una riedizione ripulita , ma per ora nisba . e poi humble pie , abb , skynyrd

    il live , spesso disco di ripiego , si riveli spesso il disco tra i piu amati dai fans . grazie giancarlo , dei bei ricordi

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Sarà perché sono cresciuto da ragazzo nel mito di quei concerti che la mia generazione ha spesso rovinato, ma a me i dischi dal vivo danno un gusto particolare all’ascolto. Anche perché, per citare Zappa, quelle sono cose che… “non puoi più fare su un palco”. Ciao Meo.

      • meo ha detto:

        grazie a te giancarlo . dopo questo articolo sono andato alla ricerca di due gruppi citati , ma mai seguiti fedelmente :mountain e colosseum . meraviglia .sono giorni che non riesco a smettere di ascolate il cd flower of evil e grass is greener . quando si scoprono queste chicche il piacere è maggiore

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