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ALBUM & CD

SOGNAVAMO LA CALIFORNIA

A distanza di cinquant'anni escono quasi contemporaneamente tre dischi di tre nomi fondamentali per la musica californiana della stagione dell'amore : Graham Nash, Stephen Stills e i Grateful Dead ci riportano indietro a tempi indimenticati.

Ricordate quando sognavamo la California ? Mi rivolgo ai sessantenni o ancor più anziani, quelli che attraverso la musica che ci arrivava dall’altra parte dell’oceano, da quello Stato dorato dove tutto sembrava possibile da dove si giurava di “cambiare il mondo o perlomeno di riorganizzarlo”, sognavano di poterlo fare anche dalle nostre parti.

Eppure noi eravamo più pratici. In Europa le rivoluzioni le facevamo a suon di cariche della polizia, di stragi irrisolte e di morti lungo la strada; in America si cantava un po’ di più, e decisamente meglio direi, ma se dovessimo dare una visione per chi non c’era, azzarderei a dire che noi eravamo più politici, nel senso greco del termine, loro più rivolti alla società e, di conseguenza senza volerlo, al marketing.

Certamente, anche loro avevano avuto i loro morti, a Chicago, in Ohio e ne cantavano. Ma le loro canzoni facevano il giro del mondo, ed il mondo ci credeva sul serio. Le nostre restavano come tramandate da cantori medioevali, in grado giusto di servire a futura memoria.

Ma il fascino che quello che accadeva a San Francisco, più che a Los Angeles, era irresistibile. Bevevamo testi e note come se fossimo alla fonte della giovinezza e credevamo che là, davvero, si fosse scoperta quella pietra filosofale che avrebbe mutato il verso delle cose : le donne non sarebbero più state seconde a nessuno, i neri non più schiavizzati e picchiati, i ragazzi potevano mutare liberi il loro aspetto senza apparire alieni alle loro stesse famiglie.

Noi partivamo con loro in groppa a Aeroplani, poi Navette Interstellari, adoravamo la scoperta degli acid tests di cui un Morto Riconoscente era la punta della sperimentazione, ascoltavamo il blues psichedelico di un Servizio di Messaggi di Mercurio, le linee eteree degli Spiriti, il suono da falò di Nuovi Cavalieri o dei Morso ed eravamo fermamente convinti che i supergruppi che si formavano dal disfacimento di Uccelli, Bufali e altri animali di strana provenienza fossero esattamente come noi. Mentre erano già delle stelle quotate nella borsa del mercato discografico.

Poi c’erano le storie che ci narrava qui da noi chi scriveva in quei tempi e poco importa se non ci avessero davvero capito una mazza, che ci spiegassero che era un canadese quello bravo con la chitarra e non quel Solitario, che tutti suonassero sotto LSD che li avrebbe fatti vivere fino a millanta anni, che l’amore si faceva a tre o più e che nessuno se ne sarebbe mai risentito. Che quel Morto, mal tradotto, diventava “pieno di grazia” e non “Riconoscente” e che tra i due grandi poli accentratori della California statunitense non ci fosse alcuna differenza. Ed invece c’era un abisso. Ma lo avremmo scoperto con gli anni, tanti, passati a leggere, imparare, ascoltare e studiare, a incontrare. Fino ad aprire, davvero, la nostra mente.

Ecco, tutti quegli eroi se ne sono andati o lo stanno facendo purtroppo, lasciando dietro a sé una lunga striscia di rimpianti e di grandi avventure, di splendide intuizioni. Di Musica immortale, in sostanza. Ne abbiamo persi molti, troppi e Dio solo sa che l’anagrafe ce ne ruberà altri ancora, nel tempo a venire. Lo stillicidio della scomparsa dei nostri sogni è destinato a non fermarsi, ahimè.

Anche loro sembrano esserne consapevoli e con lucidità ci cantano, oggi che… “Adesso che mi rendo conto di chi sono davvero, quando tutto è stato fatto e che genere di vita abbia vissuto, provo del mio meglio per essere l’uomo che so di essere e proverò a prenderla con calma andando dritto avanti, proprio adesso, in questo momento, vivo ancora la mia vita”…

E’ questa la confessione odierna di Graham Nash, ex componente di quegli Hollies oggi incredibilmente in tour in Inghilterra, un pezzo importante, la metà diremmo, di quella coppia di immensi cantori di armonie che sono stati Crosby & Nash che oggi deve affrontare il dolore di essere rimasto solo, senza quel David con cui ha assistito alle diatribe degli altri due Stills e Young, ancora vivi, ancora in produzione. Ed è questo un caso della vita, ma forse la frenesia del sentirsi ancora vivi e in grado di regalare musica che quasi in contemporanea ci arrivi tanta musica proprio da quei lidi.

Nash poco più di un mese fa aveva inviato un videomessaggio ad un concerto di Stephen Stills e Neil Young per la prima volta insieme dopo anni, dal vivo, su un palco. Il messaggio era un ricordo dell’amico David Crosby inviato a quei due che erano sempre stati in rapporti rugginosi… a proposito : ci avevano raccontato che quello con il caratteraccio fosse Stills, ed invece era Young e ci avevano raccontato che quello bravo con la chitarra fosse Young… e invece era Stills : errori di gioventù. Il messaggio di Nash era caduto nel corso della registrazione del suo Now che esce a giorni e che lui stesso ha definito “Credo sia l’album più personale mai realizzato prima d’ora. A questo punto della mia vita, ho qualcosa da dire” e che è forse davvero la cosa migliore che il cantante abbia prodotto da quel Songs for Beginners che lo rese famoso anche come solista. Il disco, come le registrazioni che i magistrati nostrali fanno trapelare a pezzetti è già reperibile in rete e credo che valga sinceramente la pena di ben più di un ascolto.

E se le ultime buone uscite di Young erano state tutte recuperi di registrazioni dal vivo di varie epoche grosso modo risalenti all’inizio dei settanta, mentre da dimenticare quelle in studio più attuali, Stephen Stills anch’esso sceglie di fare qualcosa di simile firmando un live registrato a Berkeley nell’agosto del 1971 che ha due apparizioni come cantante proprio di quel Crosby che ha sempre rappresentato la parte del Grillo Saggio tra le quattro personalità turbolente. In quel periodo Stills aveva una parte acustica alla metà dei suoi concerti elettrici che vedevano coinvolti i Memphis Horns. Quello che è contenuto in Stills Live at Berkeley 1971 è essenzialmente la parte acustica con spazio a parti elettriche.

Ed è bene specificare che Stills – che era uno sperimentatore del proprio strumento già ben prima della breve riunione di CSN & Y, compagno e amico di Clapton, Hendrix, Booker T., Bloomfield, che ha intrapreso altre avventure con i Manassas, con i Buffalo, ex Byrds, con tre, due o uno solo dei suoi quattro soci, con la Mitchell, Ringo Starr e cento altri – è un signor cantante oltre a un signor solista in acustico e in elettrico e che la sua vena blues è memorabile nelle avventure con Kooper e Bloomfield. Il disco è dunque un adorabile tuffo in quel passato che è e resta vivo e pulsante e che dovremmo saper gustare prima che il tempo ci faccia ancora un brutto scherzo.

Dei Grateful Dead abbiamo perso il conto, lo dico senza ironia, delle serie dal vivo che li vedono coinvolti e delle dozzine e dozzine di uscite che ci vengono proposte. Non hanno una cadenza speciale queste comete da un passato irripetibile, dunque si tratterà di un caso ma contemporaneamente ai dischi di Nash e Stills, ci piomba addosso un cofanetto di ben 17 cd da un’era luminosa del gruppo, quel tour del 1973 successivo a Wake of the flood in cui il gruppo si lanciava nelle improvvisazioni più jazzate che si ricordino nella loro carriera, mescolate a quel country, il blues, le ballate che ne hanno fatto un Mito della cultura sotterranea della California. Concerti spettacolari, veri eventi, con gli acidi a far scomparire la stanchezza e donare la forza di restare per oltre quattro ore su un palco a improvvisare, ogni sera. Quel cofanetto stampato in sole diecimila copie per un costo di un paio di cento euro approssimativi, finirà in mano a chi davvero ha il cervello da Deadhead…o un buon budget a disposizione. Per tutti gli altri ci sarà un estratto…uno dei cinque concerti del box… registrato al RFK Stadium di Washington nel giugno del 73 e che sarà quello che anche io andrò ad aggiungere alla mia collezione.

Tre album molto belli questi di Nash, di Stills e dei Dead, da ascoltare e portare a casa con passione e voglia di tuffarsi in un passato molto presente, ma prima di chiudere questo mio suggerimento, vorrei aggiungere due parole su di una uscita che forse, dico forse, a causa del covid potrà esservi sfuggita. Due anni fa, a celebrare il 50esimo anno dall’uscita di quella irripetibile concentrazione di musicisti intorno a un amico ed al suo progetto, è stato pubblicato un cd doppio di If I Could Only Remember My Name, di David Crosby. Il doppio contiene aggiunte e versioni alternative di quello che, se ascoltato con disposizione e desiderio di capire cosa stesse accadendo negli studi di Wally Heider in quei giorni, è l’esempio per eccellenza del senso della Comune Musicale che è stata San Francisco. Vi invito ad andare a cercare i nomi presenti, il lungo elenco di partecipanti a quella che resta la session più aperta di tutta la storia del rock : una miscela davvero unica, speciale e emozionante di contributi ed amore per l’amicizia. Impossibile non possederlo, giuro.

Anche se vi garantisco che un bootleg che a periodi alternati e a nomi diversi, le P.E.R.R.O. Sessions (Planet Earth Rock and Roll Orchestra) oppure le Wally Heider Sessions, completerebbe quanto uscito ufficialmente e meriterebbe tutto il vostro impegno nella ricerca e acquisizione. La vostra visione della psichedelia e del country muterà definitivamente e in meglio.

In bocca al lupo.

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