Galleria d'arte di specie rara
Sgombriamo subito il campo da equivoci; ciò che segue non ha nulla a che fare con le cover version: sul tema mi sono già abbondantemente espresso (“Under Cover!” e “Successi Super Pop” sul Blog) e per completare l’opera Mr.Videomusic ha persino abbracciato tutto il “mondo delle cover” in un articolo apparso pochi giorni fa.
Stavolta ci occupiamo di avventurose copertine di insolito formato…Mi spiego meglio: negli anni d’oro dell’evoluzione del rock come autentica espressione di cultura giovanile, e soprattutto dall’imbrunire degli anni ’60 in poi, acquisivano maggior spessore artistico anche le vesti grafiche a corredo dei 33 giri. Le ben note gatefold sleeve (copertine apribili ad album) diventavano palestra d’esercitazione per illustratori che legavano indissolubilmente il loro nome al look delle opere musicali, cito come esempi i dipinti di Roger Dean e Paul Whitehead, o gli scatti fotografici dello studio Hipgnosis e di Marcus Keef, tutti elevati al rango di icone dell’era progressive.
Ma in questa sede ci occuperemo di un settore particolare della grafica di copertina: mi riferisco alle cosiddette gimmick covers, che si distinguevano per estrose caratteristiche di design dalle abituali copertine, singole o apribili. Vorremmo qui allestirne una piccola galleria, che non può né pretende di essere esaustiva, ma almeno fornire uno stimolo ad arricchire la vostra collezione di dischi racchiusi in questi elaborati manufatti.
Ovvio che parlo soprattutto della mia esperienza personale, dei “contenitori” che mi impressionarono particolarmente, quindi non meravigliatevi se non mi soffermo su pezzi di evidenza planetaria, a partire dall’onnipresente “The Velvet Underground & Nico” (1967), con copertina di Andy Warhol che riproduce una banana “sbucciabile”. Quando iniziai a frequentare assiduamente i negozi di dischi, fra il 1969 ed il ’70, non riuscii ad imbattermi nelle copie originali di due album che mi avrebbero oltremodo affascinato, ossia “Their Satanic Majestic Request” (1967) dei ROLLING STONES e “Stand Up” (1969) dei JETHRO TULL.
L’LP della criticata svolta psichedelica degli Stones sbalordiva per la sua copertina lenticolare che si animava muovendola, il solo Mick Jagger con cappello da mago restava immobile; i cinque musicisti erano ritratti con coloratissime tenute hippy in un paesaggio da favola, ed in secondo piano apparivano persino i “rivali” Beatles!
Invece l’illustrazione di “Stand Up”, a mio avviso l’opera per eccellenza del gruppo di Ian Anderson a pari merito con “Aqualung”, rappresentava idealmente le loro radici folk, presentandosi in una pionieristica copertina pop-up, che aprendosi sollevava le sagome dei musicisti, a braccia aperte.
Possibile che da questi modelli abbiano tratto ispirazione gli autori di altre due copertine di mio spiccato gradimento, ossia la magica immagine tridimensionale del primo CAPTAIN BEYOND (1972), il classico hard rock e proto-stoner del gruppo americano guidato dal cantante Rod Evans, ex-Deep Purple Mk I, e la soluzione pop-up di un altro debut-album, “One Live” dei BADGER (1973), dinamico esordio dal vivo della formazione di Tony Kaye – tastierista originale degli Yes – dove a saltar fuori dalla copertina di Roger Dean era il tasso, che dava loro il nome.
Fra le massime istituzioni del rock, gli stessi LED ZEPPELIN sono stati decisamente sensibili all’attrattiva delle gimmick covers. Quella di “Physical Graffiti” (1975) è passata alla storia come una delle più costose in assoluto. L’immagine frontale ed il retro-copertina raffigurano i prospetti opposti di un edificio dell’East Village di New York, ed attraverso le finestre ritagliate, le illustrazioni intercambiabili delle buste interne del doppio LP mettono in mostra non solo il titolo, ma anche una serie di fotografie del gruppo ed una varietà insospettabile di celebrità o stravaganze artistiche. Ma i Led Zep non erano nuovi a “trucchi” di questa natura, infatti la speciale copertina di “Led Zeppelin III” (1970) aveva fatto ritardare l’uscita del disco: la facciata anteriore della medesima conteneva una ruota girevole (Spinning Wheel Gimmick Cover) ricca di immagini, che secondo un’affermazione attribuita a Jimmy Page, doveva rappresentare “le carte di avvicendamento delle colture”!
Infine, anche il testamento del quartetto, “In Through The Out Door” (1979), era decisamente a sorpresa: avvolte in carta da imballaggio che riportava solo una sorta di timbro con nome del gruppo e titolo dell’album, si nascondevano sei soluzioni fotografiche alternative di copertina, ambientate in un bar ricostruito in studio cinematografico, opera di Storm Thorgerson (Hipgnosis) già ideatore di tre precedenti artworks zeppeliniani.
In certi casi, era proprio il materiale del rivestimento di copertina l’elemento qualificante; mi riferisco in particolare a “Made In England” (1972) degli ATOMIC ROOSTER, “confezionato” in tessuto jeans, blue nella maggior parte delle edizioni, ma anche in differenti colori.
L’autentico anticipatore di questo genere di vesti grafiche è stato però “Odessa” (1969) dei BEE GEES, nel periodo di transizione fra i primi successi pop e l’ancor distante esplosione disco di “Saturday Night Fever”. Il doppio LP era infatti avvolto in un’appariscente copertina di velluto rosso.
In ambito progressive, come non ricordare la classica tri-fold sleeve (sei facciate) dell’unico album degli SPRING (1971), con crepuscolare fotografia del soldato morente in riva al fiume, mirabilia del grande Marcus Keef. Certamente è stata un modello di riferimento per formati analoghi.
Le vedettes del prog, EMERSON, LAKE & PALMER, si sono superati sia in termini di distinzione musicale, sia per l’incomparabile copertina di “Brain Salad Surgery” (1973), disegnata dall’artista di “Alien”, HR Giger. L’illustrazione futuristico-sepolcrale si apre con due ante sagomate sul volto immoto e ceruleo di una donna, alla quale può esser sovrapposto il poster incluso, con un cerchio ritagliato sull’immagine di ogni singolo musicista.
Esorbitando i confini folk dell’era prog, abbiamo già scritto sul Blog del terzo album “Songs From Wasties Orchard” (1971) dei MAGNA CARTA: si presentava con una riuscita copertina, che riproduceva una cassetta di mele apribile. Decisamente più quotato il gioiello solitario dei TUDOR LODGE (1970): la copertina si apre a poster con illustrazioni in bianco & nero, ed è costituita da ben sei pannelli (12 facciate), la metà dei quali sagomati. Inoltre “Heavy Petting” degli irlandesi DR. STRANGELY STRANGE, con ospite Gary Moore alla chitarra, espone una complessa gimmick cover (firmata da Roger Dean), con due ali ai lati che si ripiegano sul riquadro centrale.
Fra le grandi copertine a poster dell’epoca, tutte edite dall’altamente collezionata etichetta Vertigo (la stessa del già già citato “Tudor Lodge” e dei Dr. Strangely Strange), val la pena segnalare “Lie Back And Enjoy It” dei blueseggianti JUICY LUCY (1970) “Space Hymns” dei RAMASES (1971), anch’essa di Roger Dean, ed infine “Pathfinder” dei BEGGARS OPERA (1972).
L’album più raro del catalogo Vertigo, che puntava moltissimo su artwork di grande effetto, è “Three Parts To My Soul” degli occulti DR.Z (1971, trattati agli albori del nostro Rock Around The Blog); esibiva a sua volta un formato speciale, che ha senz’altro contribuito all’ascendente, astronomica valutazione. La copertina si dischiude come le ante (sagomate) di una finestra su un cuore in fiamme che reca la sigla “Dr.Z”, dal rabbrividente effetto black magic.
Fra le radicalizzazioni del progressive si poteva interpretare anche il Krautrock, ossia l’accesa tendenza tedesca alla sperimentazione, non solo elettronica. Uno dei gruppi cardine erano gli ASH RA TEMPEL; debuttavano nel 1971 con un omonimo LP caratterizzato da copertina apribile centralmente (centre-opening gatefold cover) che immortalava il profilo di un faraone. Affini agli Ashra erano gli ANNEXUS QUAM; anch’essi esordirono su Ohr (classica etichetta dell’avanguardia teutonica) nel ’71, andando ben oltre in termini di copertina “spericolata”. Si trattava infatti di una multi-fold destinata a comporsi come una sorta di origami a forma piramidale.
Anche il progressive italiano si è allineato assai bene alla creatività dei tempi con notevoli ed estrose grafiche di copertina.
Fra gli exploit universalmente noti, il celebre salvadanaio del primo album del BANCO DEL MUTUO SOCCORSO (1972) e l’esordio degli AREA, provocatorio nel titolo, “Arbeit Macht Frei” (1973) e nel contenuto dell’edizione originale, una rivoltella di cartone, minaccioso simbolo di quelli che passarono alla storia come “anni di piombo”.
L’attrattiva artistica comunque non va di pari passo con la notorietà, quindi è doveroso citare la rara copertina tri-fold (sei facciate, come Spring per esemplificare) del solitario album degli ALPHATAURUS (1973), milanesi con un occhio di riguardo stilistico verso gli ELP; il dipinto ritrae una colomba “della pace” trasformata in bombardiere! I più rinomati TRIP erano focalizzati su un campione italiano delle tastiere, il compianto Joe Vescovi, che suono’ con Ritchie Blackmore ed in seguito con i prime-movers dell’heavy metal italiano, Knife Edge. Il terzo LP “Atlantide” (1972) vantava un’originale copertina ispirata alla mitologica isola che si apriva al centro, ma con la particolarità dei lati opposti pieghevoli che ne estendevano la dimensione. Ancor più singolare la concezione del secondo LP, “Io come Io” (1972) degli alfieri dell’hard rock progressivo mediterraneo, IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA: addirittura con un foro circolare, al centro, che ospitava un medaglione color bronzo (o rame?).
Ma il titolo di più attraente artwork spettava probabilmente al primo album dei GARYBALDI, “Nuda” (1972): copertina “triplice” – sei pannelli in totale – del celebre fumettista Guido Crepax, già creatore di un personaggio femminile alquanto sexy, Valentina. La Maya desnuda che appare in primo piano non le è certamente da meno; inoltre, è doveroso ricordare che i Garybaldi erano il veicolo espressivo di un emulo “nazionale” del supremo Jimi Hendrix, il chitarrista e cantante Bambi Fossati.
Rimbalzando nell’orbita delle stelle heavy rock di prima grandezza, BLACK SABBATH realizzavano l’originale versione di “Masters Of Reality”, oggi molto costosa, in uno smilzo box con copertina richiudibile e scritte in rilievo, incluso un bellissimo poster del gruppo, fotografato da Keef. Nello stesso anno, 1971, anche gli URIAH HEEP esibirono una “copertina con il trucco” in occasione del terzo album che innescò l’Heepsteria sia in patria che in America, “Look At Yourself”: parafrasando il titolo, si presentava con un riquadro centrale in carta lucida argentata che invitava a specchiarsi.
Nel novero delle formazioni da culto, seppur con un’eloquente attività e diffusione discografica, i killer della THREE MAN ARMY pubblicarono un’edizione U.S.A. dell’esordio “A Third Of A Lifetime” (1971) dalla grafica evidentemente proto-metal. La copertina apribile illustrava un ibrido chitarra-mitragliatrice, ed il fronte della medesima era crivellato dai fori dei proiettili!
Elaborate, splendide copertine anche per i “padroni dell’universo” HAWKWIND, considerati fra le maggiori fonti d’ispirazione dello stoner rock degli anni ’90 (Monster Magnet gli eredi più qualificati). Il leggendario “In Search Of Space” (1972) era racchiuso fra quattro pannelli, tre dei quali apribili, in modo da rappresentare la figura di un falco stilizzato.
Non meno bella la cover art che si dischiudeva a poster, di “Warrior On The Edge Of Time” (1975); sul fronte appariva l’epica figura di un guerriero a cavallo sull’orlo di un abisso, mentre all’interno era riprodotto uno scudo, sagomato nella parte inferiore.
In America il gusto delle gimmick covers era senz’altro più rutilante, spesso prerogativa degli artisti di maggior successo. Così non stupisce che l’esempio sia venuto dai GRAND FUNK RAILROAD, la più popolare risposta d’Oltreatlantico all’invasione di decibels britannici. L’LP “E Pluribus Funk” (1971) era contenuto nella riproduzione di una luccicante moneta dello stesso formato 12 pollici, dove erano effigiati in rilievo i volti dei tre supereroi hard rock. Giocava invece sull’effetto tridimensionale la copertina dell’album della maturità, “Shinin’ On” (1974, prodotto da Todd Rundgren), dalla quale si staccavano gli occhiali idonei alla visione.
Successivamente va ricordata una soluzione analoga e poco nota adottata per l’album “Girls Night Out” (1983), dell’efficace gruppo AOR canadese TORONTO.
Campione di grottesche gimmick covers è stato naturalmente ALICE COOPER, che ne fece strumento di visualizzazione della sua satira sui costumi americani.
Nell’edizione originale del classico “School’s Out” (1972), il cerchio di vinile – inserito nel fac-simile di un usurato banco scolastico – indossava nientemeno che slip femminili, mentre la copertina a pelle di serpente di “Billion Dollar Babies” (1973), dagli angoli arrotondati, includeva figurine staccabili di Alice e della sua banda. La successione di eccentricità si risolveva un anno dopo con “Muscle Of Love”, fornito della copertina più perversa: una scatola di cartone che alludeva alle confezioni di bambole gonfiabili…
Concludiamo questa rassegna di bizzarre copertine “a stelle e strisce” con un altro cult, l’esordio dei pionieri AOR, BLACKJACK (1979), nelle file dei quali militavano il futuro campione d’incassi Michael Bolton e Bruce Kulick, in seguito nei Kiss. L’album omonimo era custodito in una cover sagomata che riproduceva una scatola di carte da gioco, vista in assonometria: il coperchio rimovibile permetteva di estrarre il vinile 33 giri.
Non ci addentriamo stavolta negli anni ’80, se non per rievocare precursori dell’heavy metal, ed anche delle “edizioni limitate” che imperversano al giorno d’oggi; mi riferisco alla speciale leather edition (in pelle nera) del doppio LP antologico dei MOTORHEAD, “No Remorse” (1984), con argentea logo del power-trio in copertina, titoli inclusi dello stesso colore, ma con nome del gruppo e dell’album in rosso fiammante.
Potete reperire tutto o quasi il materiale trattato in accurate ristampe che riproducono il formato originale in vinile oppure CD dalle copertine cartacee in miniatura.
Quindi, buona caccia, se vi può interessare!
Ciao, sono capitato qua cerca di di capire cosa diavolo fosse una cover gimmick. Grazie dell’articolo, davvero interessante e ben scritto.
Da parte mia vorrei aggiungere il disco omonimo degli Showmen 2, da cui sarebbero nati i Napoli Centrale: la copertina all’interno ha delle tasche da cui spuntano delle schede cartonate dedicate ai musicisti. Davvero splendida, ancora più se si pensa che fu edita dalla piccola BBB.
Ciao Andrea, fa piacere che tu abbia apprezzato la rassegna esemplificativa in questione e complimenti per la segnalazione del disco degli Showmen 2. Conoscevo il gruppo ma non ho mai visto la speciale confezione. Spero che tu possa trovare qualche argomento interessante fra i molti proposti dal blog e quindi, che ti vada di seguirci in continuità. Grazie!
Bellissimo E molto interessante l’articolo pieno di notizie e di visualità. Volevo solo aggiungere che sulla copertina di brian salad surgery , sotto la bocca del viso vi è un pene. Ho letto che è una radiografia e che la casa discografica abbia tentato di nasconderlo con effetti di bagliori. Ho il disco da anni ma non ci avevo fatto caso sino a quando non l’ho letto. So che non è pertinente ma aggiungo Branduardi con la pulce d’acqua con l’ inserto di nove acquarelli che rappresentano le canzoni. Grazie Beppe x i tuoi articoli anche se intervengo poco li leggo avidamente.
Si Giorgio, fra i “misteri” della copertina del fantastico “BSS” c’è quel particolare che riveli; se la memoria non mi inganna, la soluzione originale era più esplicita, poi è stata rimaneggiata. Puoi citare l’esempio che vuoi, nessun problema. Sai quanti me ne sono venuti in mente dopo la scrittura dell’articolo. Ma erano già citate oltre una trentina di copertine, potevano bastare, non è un libro sul tema. Grazie per l’apprezzamento e commenta quando ti va. Ciao!
che bell’articolo Beppe! ciliegina sulla torta per me la citazione del favoloso album degli Spring, capolavoro misconosciuto. Sempre nell’ambito delle gimmick cover, mi piacerebbe ricordare anche due titoli di prog italiano a cui sono molto legato: Fede Speranza Carità dei J.E.T. con il suo calice sagomato e Frontiera dei Procession con la sua valigia completa di manici. Buon anno a tutti!
Ottime citazioni Giuseppe. Di entrambi ho ristampe con copertine riprodotte fedelmente. Effettivamente ho detto che in Italia il fenomeno delle gimmick-covers aveva attecchito. Sugli Spring abbiamo già scritto molto (anche agli inizi del Blog): un capolavoro del prog in stile primi King Crimson. Grazie e tanti auguri a te!
Appena ho letto il titolo dell articolo caro Beppe mi sono chiesto “ma citerà il primo album dei BlackJack o non lo citerà?!?” 😉
Avevo pochi dubbi che li avresti nominati anche perchè onestamente nel genere non ricordo tante cover “particolari” da menzionare rispetto al prog rock e affini (così a memoria il 33 giri dei Twisted Sister di Come Out and Play con il logo centrale che si solleva scoprendo la figura di Dee Snider).
Gran bell articolo come sempre caro Beppe anche se poi mi fai venire voglia di mettermi alla ricerca di quanto nominato con relativo esborso di pecunia a ripetizione 🙂 .
Ciao Beppe e Buon 2023!!
Ciao Mimmo, importante per me è che l’articolo piaccia ai lettori, poi sugli acquisti lascio alla discrezione di ognuno di voi! Vero, negli anni ’80 il fenomeno delle gimmick-covers ha decisamente rallentato, infatti ho voluto solo accennarne. Di quel decennio ho scritto in varie altre occasioni. Più che opportuna la citazione dei Twisted Sister, e credo tu sia fra i pochi, forse, che ricordano quella copertina dei Blackjack! Grazie ed anche a te, sinceri auguri per il 2023.
Ciao Beppe il fascino del vinile non tramonterà mai nel cuore degli appassionati della vecchia generazione,i ricordi si perdono nel vicolo della mia città dove esisteva un negozietto che trattava usato di tutti i generi ma prevalentemente il rock in tutte le sue diramazioni e trovavo nomi che tu spesso hai trattato in passato ed anche recentemente (sicuramente i nomi che hai trattato lo scorso blog)e naturalmente edizioni particolari e rarità.
Duole constatare che ormai il vinile è appannaggio solo di collezionisti e fortunatamente le varie fiere del disco ne mantengono viva la passione mentre le varie riedizioni recenti in varia grammatura sono assurdamente costose pur trattando di titoli stranoti…
Spezzo una lancia anche per i picture disc e i bootleg che qualche volta presentavano anch’essi confezioni particolari ,infine cito con piacere di essere possessore del vinile in cuoio dei Motorhead che menzioni regalatami in occasione delle festività natalizie dei miei metallici 13 anni e porgo i migliori auguri di nuovo anno a te e tutti quelli che seguono il blog
Ciao Roberto, le tue considerazioni ritengo possano essere sottoscritte da molti fans di vecchia data. D’accordo le Fiere del disco, ma spesso le valutazioni delle rarità in vinile sono pompate ben oltre quelle oggettive di mercato,quindi le mosse speculative non sono un’esclusiva delle costose ristampe in vinile 180 gr., Picture disc o vinile a colori. Se qualcuno invece è costretto a vendere, difficilmente gli sarà riconosciuta una cifra corretta. Movimenti mercantili a parte, teniamoci stretti i nostri amati pezzi di valore e tanti auguri a te! Grazie
Ciao Beppe, una meraviglia questo articolo e queste copertine, degli album che hai descritto ho purtroppo solo le ristampe in cd, alcune però pregevoli, specialmente quelle dei Dr.Z, e degli Spring album e copertine stupendi.
Tra gli anni ’60 e ’70 c’è stato un periodo di creatività incredibile che ha segnato un epoca, e che ci ha lasciato opere d’arte musicali, copertine comprese, un conubbio perfetto che non finisce mai di sorprendere, anche grazie ai tuoi brillanti articoli.
Ciao Marcello, ti ringrazio tanto di questo gratificante commento prima di Capodanno! E’ giusto che la tua meraviglia sia innanzitutto rivolta ad un periodo irripetibile della musica rock, e del suo speciale rapporto con altre arti espressive. Se si riesce a rivivere qualcosa di quei tempi attraverso ciò che ho scritto, per me è un successo. Tanti auguri di buon 2023!
Caro Beppe, oggi si parla tanto di multimediale, ma per chi ha vissuto l’epoca d’oro del rock il concetto era ben noto. Musica, testi, arti grafiche e l’esperienza dei concerti con scenografie, costumi, etc. Amare un gruppo significava abbracciarne anche i contenuti collaterali alla musica. Bell’articolo con un’altrettanto bella scelta di gimmick covers. L’unico difetto di quei capolavori era la fragilità di quei risvolti, di quegli intagli, di quei materiali che spesso si rovinavano anche prestando attenzione. Concludo augurandoti un buon 2023!
Ciao Paolo, è vero, quelle copertine sarebbero state sempre da riporre accuratamente in adeguate buste di plastica, perché bastava poco per usurarle (specie se sagomate), magari infilandole in mezzo alle altre. Poi certo, sul discorso “retrospettivo” degli effetti collaterali artistici legati alla musica rock non puoi che trovarmi d’accordo.
Grazie, auguro anche a te un felice anno nuovo.
Buongiorno Beppe.
Per motivi anagrafici ho la casa piena di CD, di conseguenza ho subito poco il fascino delle copertine dei vinili.
Solo recentemente ne ho comprato uno ( a prezzo non popolare), molto bello sia musicalmente che a livello di grafica, di una band italiana che apprezzo molto e che avevo già su supporto fisico digitale…non faccio il nome della band stessa perché non è il caso, ma ammetto che il vinile è un compendio suggestivo.
Interessante notare come tante persone, con la riscoperta dei vinili si siano ritrovate in casa un mezzo tesoro, ed altre si siano adeguatamente disperate dopo avere mandato in discarica le loro opulente collezioni di disconi neri…ma d’altronde è difficile fare certe previsioni.
Certo le stampe originali che citi devono avere raggiunto quotazioni realmente importanti.
Sottolineerei tra i tanti artefici di cover, il grande Markus Keef, che hai effettivamente omaggiato più volte nel tuo pezzo, senza dubbio un artista.
Certo Lorenzo, per me Keef (vero nome Keith Macmillan) è un mito: basta ricordare l’iconica copertina del debutto dei Black Sabbath. Il fenomeno che citi (eliminare il vinile per gettarsi sul CD) è avvenuto soprattutto nell’inoltrarsi degli anni ’80, quando il 33 giri sembrava destinato a sparire dal mercato. Poi c’è stato un pronto recupero. Occorre comunque distinguere; come saprai c’è molto vinile “commerciale” che non ha più acquisito alcun valore significativo. Ciao e grazie dell’intervento.
Ciao Beppe,
Che bell’articolo! Da fan della musica “solida” ho sempre apprezzato anche il contenitore: le gimmick covers sono probabilmente l’apice creativo ma anche un semplice artwork fatto come si deve è in grado di dare delle soddisfazioni. Sono inorridito dalla maggior parte delle copertine odierne composte con l’uso della computer grafica senza un minimo di creatività e di buon gusto: un buon artwork potrebbe incentivare l’acquisto del supporto solido che non mi risulta essere al giorno d’oggi così ambito…sinceramente non capisco.
Molte delle cover citate nel tuo articolo non le conoscevo ed è stato bello, ancora una volta, imparare qualcosa.
Non posseggo granché: solo L.Z. III in CD Deluxe del 2014 che replica l’artwork originale e Spring in CD della Akarma. Sempre della Akarma ho il CD dei Bodkin: l’artwork sei pannelli a croce non è quello originale ma è secondo me un buon lavoro.
Colgo l’occasione per augurare Buone Feste di Fine Anno a te, Giancarlo ed a chiunque leggerà queste righe.
Un saluto
Ciao Fulvio, in un Blog del nostro stampo, bisogna immaginare dei contenuti che possano incuriosire i lettori andando un pò oltre ciò che è ampiamente trattato sul Web. Può funzionare, infatti tu non ti dichiari un collezionista di gimmick covers, però l’articolo ti ha suscitato interesse. Per me è un feedback molto positivo. I Bodkin li ho trattati sul Blog fra le rarità dispendiose dell’era Prog, citando quell’edizione dell’Akarma, che ha fatto ottime cose anche in fatto di copertine. Ad esempio un suo “protetto”, il chitarrista rock-blues Scott Finch, è uscito a suo tempo per la divisione Horizons dell’Akarma con “The Velvet Groove” dalla superba copertina in velluto rosso. Tanti auguri a te.
Ciao Beppe. Eh, i formati LP erano anche un modo per sfogare la creatività in questo senso. Bravissimi artisti che si sbizzarrivano nei modi più disparati per valorizzare questo o quel 33 giri. Poi è arrivato il cd con le sue copertine tascabili, mentre adesso stiamo addirittura ai contenuti “eterei”. Il mondo andrà anche avanti, ma io preferisco tornare indietro. O perlomeno non seguirlo. Buon anno!
Ciao Alessandro, si, la tendenza delle nuove generazioni è verso la musica “impalpabile” da ascoltare senza contenitori che catturino l’attenzione, però è pur vero che c’è un ritorno perentorio agli LP in vinile colorato, ai box in edizione super deluxe. Il problema è che soprattutto nell’ultimo caso, si tratta di mosse speculative che non contribuiscono ad avvicinare un nuovo pubblico, ma guadagnano sulla nostalgia di appassionati spesso non giovani e abbastanza benestanti da poterseli permettere. Un tempo, si poteva comprare allo stesso prezzo un album con copertina normale o più complessa, che costituiva un incentivo all’acquisto nella massa di rimarchevoli uscite. Grazie e buon anno a te.