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Reliquie PROG

Epopea del Prog italico: Le Orme, Latte e Miele, Locanda delle Fate

Di 19 Febbraio 202116 Commenti

LE ORME: "Collage" (Philips, 1971)

Se ripensiamo al fantasmagorico arcobaleno di colori musicali che idealmente congiungeva il tramonto degli anni ’60 con le prime luci del decennio a seguire, dobbiamo riconoscere a Le Orme un ruolo assai rappresentativo nell’accompagnare la nuova generazione rock italiana dai riflessi psichedelici del dopo-beat alle spinte innovative del progressive.
Nel 1967 celebrativo della “Summer Of Love”, il gruppo veneziano accedeva idealmente alla mitologia dell’epoca con il primo singolo “Fiori e colori”, che distillava gli aromi maliosi di una stagione irripetibile. La consacrazione giungeva nella popolare rassegna televisiva “Disco per l’Estate” 1968, dove Le Orme presentavano un altro originale contributo al pop-psichedelico tricolore, “Senti L’Estate Che Torna”, dal refrain che si stampava indelebile nella mente.
Nello stesso anno uscì anche il primo album “Ad Gloriam”, con una smagliante copertina, nella miglior tradizione pop-art, ma ancor più rivoluzionario nel cavalcare la cresta dell’onda “flower power” con un repertorio autoctono che si muoveva nella vivida atmosfera, spesso ingenua ma ricca di fermenti, della scena italiana di quel tempo.
“Ad Gloriam” è tuttora riconosciuto come il classico per eccellenza del rock lisergico sulle coste del Mediterraneo, e l’antologia “L’Aurora delle Orme”, uscita in esiguo numero di copie promozionali nel ’70, suggellava idealmente il primo capitolo di storia del quintetto.
Infatti, la formazione era allora costituita da: Aldo Tagliapietra (voce, basso e chitarra), Toni Pagliuca (tastiere), Miki Dei Rossi (batteria), Nino Smeraldi (chitarra) e Claudio Galieti (chitarra, basso). Ma proprio nel 1970, l’avanzare delle istanze progressive incrinerà le loro certezze, causando “divergenze musicali” fra Smeraldi, fedele ai principi del rock chitarristico, e Pagliuca, attratto dal modello triangolare imposto da Emerson, Lake & Palmer, esplosi al festival di Wight al quale Le Orme avevano assistito in pellegrinaggio artistico.
Forse in omaggio alla nuova tendenza, il tastierista ebbe la meglio ed al suo fianco rimanevano i soli Tagliapietra e Dei Rossi; comunque la si pensi, questa frattura consentirà alle Orme di inaugurare un ciclo di maggior successo, ma soprattutto di anticipare qualunque antagonista nel pubblicare il primo album di “pop romantico” / prog rock italiano, “Collage” (Philips, settembre 1971).
Un’opera ambiziosa nel nostro panorama discografico, come dimostra la produzione affidata ad una celebrità nazionale, l’onnipresente direttore d’orchestra e arrangiatore Gian Piero Reverberi, già in avanscoperta rock con i pionieri New Trolls di “Senza orario senza bandiera” (1968); inoltre il designer di copertina era l’autorevole Mario Convertino, che esporterà il suo talento collaborando con il leggendario studio Hypgnosis. Alquanto stravagante l’inconfondibile scatto fotografico, che ritrae i cadaverici musicisti dipinti di bianco aggirarsi in un cimitero, forse in ossequio alla moda del dark sound. Le note di presentazione sono infine affidate ad Enzo Caffarelli, principale recensore dell’influente rivista Ciao 2001. In apertura, lo strumentale “Collage” è un trionfante tributo alla contaminazione fra rock e musica classica propugnata da Keith Emerson, ma Pagliuca ravviva anche il retaggio culturale italiano, con un affascinante interludio al clavicembalo del compositore barocco Domenico Scarlatti.
Di tutt’altra specie “Era Inverno”, che esordisce con un’accattivante melodia acustica sottolineata dall’organo alla Stevie Winwood; la caratteristica voce di Aldo Tagliapietra racconta dell’infatuazione per una prostituta, che “risplendeva sulla neve”, concedendo la sua “finta gioia”. Prende poi il sopravvento un assalto strumentale dai tratti drammatici, che ricorda nettamente il solitario capolavoro dei Quatermass. “Cemento Armato” è un altro memorabile exploit; l’urlo di Aldo riecheggia nel silenzio che suggerisce un clima di angoscia metropolitana, poi stemperato dai fluidi fraseggi pianistici di Toni. Anche in questo caso, lo scenario cambia repentinamente sotto l’incalzante azione ritmica di Miki, e di nuovo sono le atmosfere apocalittiche dei Quatermass, oltre all’Hammond affine alle sonorità dei Nice nell’accoppiata vincente “America”/”Rondo”, ad ispirare le improvvisazioni del trio.

La seconda facciata è introdotta dall’organo epico di “Sguardo verso il cielo”, al servizio dell’ennesima melodia vincente, e fanno la loro comparsa anche breaks di stampo “Gypsy” (il classico 1970 degli Uriah Heep). “Evasione Totale” è un altro avventuroso strumentale, stavolta con slanci space-rock dagli echi Floydiani. Le fa seguito “Immagini”, pregna di romantico lirismo nel rapporto musica-testo. Infine, “Morte di un fiore” ribadisce la bravura delle Orme e l’intenso cantato di Aldo nel trattare con delicatezza elegiaca temi emotivamente “forti”, come in questo caso, il rinvenimento del corpo senza vita di una giovane hippie: la sezione di fiati, arrangiati da Reverberi, regala al finale un’enfasi lussureggiante da colonna sonora.
Da tutto ciò si evince il gran merito delle Orme nell’aver stabilito un punto d’incontro fra lezione rock d’avanguardia inglese e tradizione melodica italiana. Nasceva così la “canzone progressiva”, che sarà punto di forza dei migliori esponenti nostrani di quell’epoca. Al di là del diritto di primogenitura, nel suo 50° Anniversario, “Collage” é tramandato ai posteri fra le pietre miliari del rock italiano anni ’70. Il tridente veneziano conseguirà ulteriori riconoscimenti con i successivi ed importanti “Uomo di pezza” e “Felona e Sorona”, ma la freschezza espressiva delle Orme Mark II che irrompono nel nuovo decennio resta ineguagliabile.

LATTE E MIELE: “Passio Secundum Mattheum” (Polydor, 1972)

Genova non ha visto crescere solo rinomati cantautori (da Paoli a De André) ma è stata un centro nevralgico del nuovo rock italiano, dalla fine degli anni ’60 in poi, basti citare New Trolls, Garybaldi, i Delirium di Ivan Fossati, Nuova Idea, Jet. La storia dei Latte e Miele, gruppo di spicco del suggestivo panorama prog-romantico italiano, ha inizio nel 1971 proprio nella città ligure.
Al chitarrista Giancarlo Dellacasa, che già aveva suonato nell’album più coraggioso dei Giganti, “Terra in bocca, poesia di un delitto”, si univano due musicisti molto giovani e promettenti, il tastierista Oliviero Lacagnina, affascinato dalle prospettive di fusione fra rock e musica “colta” allora in auge, e l’impetuoso batterista, Alfio Vitanza.
Il trio provava insistentemente adattamenti moderni di composizioni classiche, e le prime registrazioni vennero proposte alle case discografiche, nella speranza di ottenere un contratto che giunse piuttosto rapidamente tramite Polydor, succursale della Phonogram. Nel 1972 i Latte e Miele erano già al lavoro per il debutto discografico; dopo essersi battezzati in omaggio ad una citazione biblica (…Mosé che parla della Terra Promessa), scelsero di esordire con una prova assolutamente impegnativa, mettendo in musica il Vangelo secondo San Matteo. Alle registrazioni dell’LP, avvenute a Milano in tempi stretti, ha partecipato il Coro Lirico della Scala, che conferiva agli stralci di rielaborazione della “Messa Requiem” di Bach un tono particolarmente austero e solenne; le ambizioni del gruppo ligure varcavano persino le soglie del Vaticano, dove venne rappresentata la “Passio Secundum Mattheum” nel gennaio 1973, al cospetto di Papa Paolo VI.
In un periodo contraddistinto da spiccati interessi socio-politici, la nostra critica non offrì al lavoro dei Latte e Miele il risalto che avrebbe meritato; invece la “Passione” è un autentico classico del prog italiano, sintomatico anche del risveglio giovanile nei confronti dei valori spirituali, da qualche tempo trascurati in ossequio a ideologie materialiste.
E’ un’opera sorprendentemente matura e convincente, ben mediata fra momenti recitativi dei passaggi evangelici ed affreschi musicali variegati; ad esempio, ne “I Testimoni (2a parte)”, la chitarra elettrica di Dellacasa appare in grande spolvero, su un tappeto di percussioni quasi latin-rock, mentre “Giuda” riecheggia la dinamica incalzante del musical “Jesus Christ Superstar”. Ne “Il Calvario”,  l’organo a canne di Lacagnina rasenta il plagio di “The Three Fates” (del suo principale ispiratore, Keith Emerson) ma il risultato è indubbiamente efficace.

“Passio Secundum Mattheum” è pertanto degno di misurarsi con un altro grande album italiano su etichetta Polydor dello stesso periodo, “YS” del Balletto di Bronzo.
Latte e Miele si esibirono ripetutamente nei festival rock nazionali, ed ebbero l’onore di suonare in apertura dei Van Der Graaf Generator, la straordinaria band di Peter Hammill, venerata in Italia prima che in patria!
Nel 1973 il trio realizzava il secondo album (concept) “Papillon”; un lavoro apprezzabile sebbene meno originale del predecessore, che concludeva il suo percorso più interessante. Anche per Latte e Miele, inevitabile l’opportunità di riunione nel nostalgico Terzo Millennio…

LOCANDA DELLE FATE: “Forse le lucciole non si amano più” (Polydor, 1977)

Se Le Orme spalancavano le porte all’epopea del prog italico, si può dire che Locanda delle Fate ne emanò con grande dignità gli ultimi bagliori, prima della caduta dell’impero.
Giusto riconoscere che l’arte è “senza tempo”, ma imporla al di fuori delle principali correnti di tendenza è impresa ardua, tanto più se di musica si tratta. Nel 1977, il punk rock aveva intonato provocatoriamente il de profundis sulle ambizioni del progressive, colpevoli di sonorità ampollose e demodè.
Eppure, proprio in quell’anno ed in Inghilterra, il ritorno dei criticatissimi EL&P di “Works Vol.I” vendeva molto di più dell’esordio dei Clash, acclamato da un diffuso settimanale britannico come “miglior album della storia del rock”…Certo, si tratterà dell’ultimo atto di forza prima del declino, ma dalle nostre parti, un’etichetta di rilievo, Polydor, credeva ancora nelle risorse del prog-rock, portando all’esordio Locanda delle Fate.
Merito del produttore Niko Papathanassiou, fratello del famoso Vangelis, fondatore degli Aphrodite’s Child e compositore di avvincenti colonne sonore (basti citare il capolavoro di Ridley Scott, “Blade Runner”). Fu lui ad affiancare nella prima esperienza discografica, “Forse le lucciole non si amano più”, l’opulenta formazione piemontese di ben sette musicisti.
L’evocativa illustrazione di copertina ed il nome del gruppo erano decisamente orientati a ritroso, secondo stilemi d’inizio seventies, sebbene “Locanda delle Fate” alludesse ad un ritrovo ben più triviale che ad una favola…Il loro stile di musica si presenta nella strumentale “A volte un istante di quiete”, che alterna fraseggi intricati e più distesi, disegnati da un pianoforte virtuosistico nella miglior tradizione del rock barocco e con vellutati interventi del flauto, memori dell’originale PFM o dell’era Gabriel dei primi Genesis. Nel successivo, sofisticato brano che intitola il disco, sale al proscenio la voce di Leonardo Sasso, che riecheggia l’attitudine operistica di Francesco Di Giacomo del Banco, affine anche per la contemporanea presenza di due tastieristi; le liriche stesse, con qualche spunto retorico e drammaturgico, sono degne della colta estetica musicale. “Profumo di colla bianca” conferma la varietà del loro rock sinfonico, con un appariscente crescendo chitarristico nel finale. L’album include ben due singoli, forse inusitati per un genere che necessitava dei tempi del long playing, ma “Sogno di Estunno”, con la sua vigorosa parte vocale, e la morbida melodia di “Non chiudere a chiave le stelle”, superano brillantemente l’esame di una maggior immediatezza espressiva.

Certo la Locanda non possedeva il dono dell’agevole fruibilità, almeno per chi non è solito frequentare siffatti, variopinti panorami musicali. Infine, “Vendesi saggezza” riporta in primo piano il temperamento sinfonico dell’estesa orchestrazione, concludendo nel breve volgere di quest’album la parabola di un gruppo dal tasso qualitativo decisamente elevato, ma di irrilevante fortuna commerciale. All’inizio degli anni ’80, ostili per il rock progressivo, le Fate spegneranno la loro luce, per poi riaccendersi nel 2010, a celebrazione di un passato da culto.

Le nuove ristampe Universal

Locanda delle Fate: “Forse le lucciole non si amano più”; Le Orme: “Collage”; Latte e Miele: “Passio Secundum Mattheum” costituiscono rispettivamente i Volumi 2, 3, 4 (differenti dall’ordine d’uscita degli originali) della nuova serie della Universal, “Prog Rock Italia”; ad inaugurarla (Vol.1) è stato “YS” del Balletto di Bronzo, ampiamente trattato sul nostro Blog. Le ristampe sono rimasterizzate dai nastri analogici originali, con doppia fascia “Obi” in stile nipponico su entrambe le facciate delle copertine apribili e fedeli agli artwork originali. Sull’Obi strip sono presentate in sintesi note illustrative delle opere.
Le tre versioni a 33 giri (esclusivamente in vinile) limitate e numerate, sono le seguenti:
– Vinile nero 180 gr. in 899 copie numerate
– Vinile colorato in 99 copie numerate
– Vinile Test Pressing in 30 copie
Per ulteriori ragguagli potete visitare il sito:
https://www.universalmusic.it/custom-shop/prog-rock-italia/
Di prossima pubblicazione, album di Sensations Fix, De De Lind, Saint Just.

16 Commenti

  • Gianluca CKM Covri ha detto:

    Ciao Beppe.
    Riflettevo sulla durata della stagione prog italiana. Dal 71 al 77. Mica male come lasso di tempo per un movimento musicale di una “piccola” nazione. Movimento che ha portato a mio parere delle assolute eccellenze. Un piccolo ricordo per quanto riguarda collage. Anche per me è stato il primo. Nel senso di primo disco prog Italiano, ne rimasi assistenza affascinato, oltre che dai pezzi, anche dalla voce davvero particolare di taglialapietra. Da allora ho cominciato la mia ricerca ed il mio interesse nel recupero dei big acts italiani, ma anche dei nomi meno conosciuti, come appunto era per me la locanda delle fate. E così da buon metallaro intransigente, la mia mente si è aperta un po’ di più. Alla prossima.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Gianluca, se ti può far piacere condivido totalmente quanto hai scritto. E volendo aggiungere qualcosa, se il prog-metal é tanto diffuso, probabilmente é perché i metallari sono diventati meno intransigenti e più aperti. Grazie

  • Giacobazzi ha detto:

    Oh, finalmente per Le Orme invece degli EL&P vedo utilizzare il termine di paragone giusto, vale a dire i Quatermass.
    Beppe Riva, la classe non è acqua!

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giacobazzi; penso che il progetto “triangolare” delle Orme fosse ispirato al modello dei Nice (mai dimenticarli!) e degli ELP, che i veneziani erano andati a vedere dal vivo in Inghilterra (ne parlarono in intervista su Ciao 2001). Poi però, alcune sezioni strumentali “apocalittiche” sono decisamente più vicine ai Quatermass. Grazie

  • LucaTex ha detto:

    Pietre miliari di un epopea che mai più si ripeterà. Fa tristezza oggi pensare che tutto questo è andato perduto nel disinteresse generale di una platea che non ha memoria 🙁 grande articolo come sempre! Thx Beppe!

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao! Questi gruppi sono stati fra i protagonisti di un’epoca durante la quale il rock “tricolore” osava avvicinarsi ai grandi modelli d’Oltremanica, con grande dignità artistica. Il fatto che nel 2021 siano oggetto di ristampe di prestigio, a mio avviso va segnalato ed è confortante, per chi li ha amati in passato, ma anche a beneficio di un potenziale, seppur limitato, nuovo pubblico. Grazie dell’apprezzamento.

  • Marco ha detto:

    Le nuove generazioni ignorano letteralmente la nostra storia musicale. Eppure, rispetto ai tempi nostri, documentarsi e approcciarsi all’ascolto è alla portata di tutti. Di quello straordinario movimento i miei preferiti sono i rovescio della medaglia e i museo rosenbach

    • Beppe Riva ha detto:

      Marco ciao, ovviamente ognuno è figlio del proprio tempo, e cresce influenzato dalle tendenze contemporanee. Talvolta solerti genitori insegnano ai figli la passione per la buona musica. Il Rovescio probabilmente ha rappresentato la più nota risposta italiana all’hard progressivo. “Zarathustra” del Museo è un tipico album “cult”, certamente più apprezzato a posteriori.

  • Leandro ha detto:

    Tre dischi importanti per tre momenti storici ben precisi: tutti uniti dalla volontà di osare come comune denominatore. Non so come usciremo da questo inarrestabile declino creativo che è poi declino sociale e umano. Ma se accadrà, sarà con quello stesso spirito con cui sono stati creati questi tre dischi. Ciao Beppe.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Leandro, la tua osservazione sul declino della nostra civiltà che riguarda sia aspetti sociali che artistici è purtroppo realistica. Un tempo le giovani generazioni credevano di poter cambiare il mondo. Oggi?

  • Roberto ha detto:

    Ciao Beppe, c’era una volta la musica italiana… Si potrebbe riassumere così l’articolo su questo trittico di band… Senza nulla togliere al cantautoriato d’autore dei grandi nomi fa tristezza vedere la nostra amata italietta dominata da talent e pseudoartisti spacciati per musicisti e cantanti… E pensare che per un periodo il progressive rock italico vantava nomi che potevano guardare in faccia molti dei gruppi esteri di ogni provenienza…
    Invece oggi quegli stessi gruppi li vedi esibirsi nei meandri più remoti dei paesini di provincia tacciati di revival di anni lontani..
    PFM, Banco, New Trolls e le stesse Le Orme si sono esibiti nelle feste locali del mio ex paesino ed ho potuto conoscere qualcuno di loro che nonostante tutto avevano ancora la passione e la voglia di diffondere la loro visione musicale… Grande rispetto per loro e grande musica senza tempo

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Roberto, sono d’accordo con te e preferisco non commentare lo “spaccio” di nuove promesse dei cosiddetti talent…Questi sono i tempi nuovi…Comunque se gli LP progressive sono riediti da una major con un programma ben preciso è un segnale positivo. Si tratta di patrimonio culturale e musicale da salvaguardare. Grazie

  • francesco angius ha detto:

    Incredibile !!! Due capolavori in un articolo solo !!!
    Collage e Forse le lucciole non si amano piu’ sono per me tra i tre dischi piu’ belli del prog e della musica italiana (insieme a YS del Balletto di Bronzo).
    Dischi inarrivabili e non piu’ ripetibili dagli stessi autori.
    Conosciuto Sasso a Porto Ercole dove gestiva un ristorante e io insegnavo a scuola e lo ho visto nella sua ultima tourne’ a Roma in un locale con 20 persone che rifacevano tutte le lucciole.
    Lo stesso vale per le Orme a Tarquinia davanti a un manipolo di persone.
    Che ricordi e che musicisti.
    Mi scuso di essermi andato sulla scia dei ricordi e dei sogni, ma la musica è anche questo!!!
    Bravissimo Beppe e grazie…

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Francesco, il Blog serve anche a raccogliere i vostri ricordi ed opinioni, che danno valore ai contenuti trattati. Non bisogna certo scusarsi per questo. Grazie

  • Paolo Rigoli ha detto:

    Fra i tre il gruppo che conosco meglio sono Le Orme, protagonisti di primo piano del cambiamento avvenuto in Italia tra la fine dei 60’s e l’inizio dei 70’s. Uno dei pochi gruppi, mi sento di dire, che ha saputo coniugare le novità del rock inglese con una vena melodica di grande impatto anche verso un pubblico meno avvezzo a musiche elaborate e brani concettuali. Non per niente certa critica oltranzista li snobbava un po’, sobillando anche una piccola parte del pubblico che talvolta durante i concerti fischiava i loro brani presenti nella hit parade. Quanti danni ha provocato quella visione politicizzata della realtà musicale?

    • Beppe Riva ha detto:

      Vero Paolo, negli anni ’70 la critica musicale era molto condizionata dall’ideologia, e la politica di allora non era affatto all’insegna del “cambio di bandiera” come succede oggi. Anche certa stampa specializzata (Gong, Muzak) bocciava ogni gruppo o artista che non fosse radical-chic o simbolo della controcultura. Eccessivo, come minimo. Chi era tacciato di “commercialità” diventava automaticamente uno schiavo del sistema. Si ricorreva anche a mezzucci per diffamare in Italia gruppi di valore, ad esempio appiccicando una certa etichetta ai fortissimi Blue Oyster Cult. Cessai subito di leggere queste riviste abbonandomi all’eccellente mensile francese Rock & Folk, dove venivano trattati con un’ottica più equilibrata vari generi, dai proggers agli Aerosmith, ed in seguito anche il punk (perchè no?). C’est la vie…grazie, ciao!

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