Se la nostra generazione ha vissuto la musica più importante, è anche quella che è costretta a piangere le perdite dei suoi autori.
Scrivere di musica non necessariamente è una critica o un approfondimento, anzi. Molto spesso, per quello che mi riguarda è sostanzialmente una riflessione su ciò che ci circonda e il cui spunto proviene da una passione, un amore sfrenato. Date le circostanze, una delle riflessioni più banali e comuni con i miei coetanei è basata sulla nostra fortuna di aver vissuto in prima persona quei mutamenti artistici e culturali che hanno segnato la mia generazione. Da un punto di vista una fortuna esser stati circondati da correnti musicali e creazioni assolutamente irripetibili, da movimenti culturali che non avrebbero potuto trovare altra collocazione temporale, impreziosita da fantasie e picchi di bellezza che – non lo dico con falso senso di superiorità, ma con la morte nel cuore – le generazioni a venire non potranno nemmeno sperare di riprodurre. Le motivazioni sono logiche e ahimé inevitabili ed è un dolore essere costretti a pensare che se quello di meraviglioso è stato creato non verrà divulgato e capito, andrà perduta irrimediabilmente una fetta enorme di Storia che ci ha formato e fatto crescere nell’animo e nella personalità e che tanto bene farebbe a chi oggi cerca senza trovarli esempi da seguire.
E’ purtroppo anche altrettanto vero che la nostra è la generazione fortunata che, invecchiando, è destinata a vedersi strappare dagli occhi i propri pezzi, giorno dopo giorno. Siamo esattamente come il personaggio di una vecchia canzone di Gaber, Quello che perde i pezzi, dove i pezzi del corpo che sparivano rappresentavano l’impotenza di reagire davanti alla massificazione del pensiero. Noi, al contrario, stiamo assistendo impotenti e sofferenti alla scomparsa degli eroi che ci hanno aperto la mente e scaldato il cuore fin dalla pubertà : uno stillicidio di ricordi che svaniscono senza poter far altro che lagnarsene e non dimenticare. Anche se, con un po’ di coraggio e voglia, vedremo a breve che c’è ancora una speranza nella sopravvivenza futura di quei segnali.
Sulla strage dei nostri amici, perché tali erano anche senza averli avuti mai a cena, la lista è infinita e comunque la si esponga sarà sempre parziale; non solo perché di parte, ma anche perché ci sfuggirà sempre l’artista che noi abbiamo apprezzato ma che non ha mai stimolato il redattore di turno. Doug Ingle, ad esempio, fondatore degli Iron Butterfly, avrà lasciato orfani i milioni di appassionati che non dimenticheranno mai la sua In-a-gadda-da-vida ma non avrà trovato spazio se confrontato con i giusti peana rivolti all’immenso John Mayall, padrino del blues elettrico inglese e pigmalione di centinaia di musicisti che hanno invaso, letteralmente, gli scaffali delle nostre case e che magari molti non avrebbero mai collegato alla storia di quel musicista.
Quando stavo in Inghilterra, con un budget sempre striminzito, mi ero innamorato di un libro che si chiamava Rock Family Trees; ce n’erano di diversi tipi, tutti bellissimi, tutti essenziali per risalire alla genealogia di migliaia di gruppi, tutti fondamentali per focalizzare intere ere musicali di difficile comprensione. Ricordo che entravo in una libreria vicino a Trafalgar, mi prendevo un tè e sbirciavo con lussuria quei costosissimi libri che non avrei neppure saputo come riportare in Italia se non con un borsone dedicato. Ecco, quando cascai dentro a John Mayall le pagine e lui dedicate si aprivano a fisarmonica in un elenco che per essere ricostruito nel relativo vinile avrebbe necessitato di centinaia di dischi e dozzine di gruppi. E stiamo parlando di due vite fa.
Oggi avete Google a disposizione. Digitate : musicisti che hanno suonato con John Mayall e limitatevi a quello per capire di cosa stiamo parlando. Ingle, che con quel brano è entrato nella leggenda e per molti motivi, è una formichina al confronto. Ma anche Phil Lesh, bassista dei Grateful Dead se n’è andato per un tumore, sottovoce e senza grandi articoli ma chi ha amato forse la più grande band americana di sempre ha avuto un sussulto, dato che lui, membro fondatore, aveva indirizzato e condotto per mano il gruppo senza scivolare negli eccessi di Captain Trips o della schiera di tastieristi che, per un motivo o quell’altro, si era trasformata in una misteriosa scia di sangue. Lesh non solo era un immenso virtuoso, ma anche un perno del suono di un gruppo che chi non ha ancora imparato ad amare non sa di star perdendo una fetta immensa della attuale scena “americana” che tanto va di moda.
E’ scomparso Duane Eddy, ma chi si rende conto che lui sia stato uno dei primi eroi della chitarra del rock and roll americano ? E’ morto Johnny Neel, ma quanti lo hanno mai ascoltato ? Però molti conoscono ed hanno rimpianto Paul di Anno, prima voce degli Iron Maiden, malato da tempo e reputato da tanti il migliore per quel gruppo. E’ morto Nick Gravenites ma per lui vale la medesima domanda fatta per Neel… e la colpa è di chi non sa cosa abbiamo perso… Però molti hanno letto la notizia della scomparsa di Quincy Jones. Grande e popolare. Forse quanto Kris Kristofferson, noto anche come attore, ma ottimo cantautore ed autore di melodie che tanti non sanno neppure fossero state composte da lui. Di Tony Klarkin, di Jack Russell, di Mike Pinera, di Tom Fowler, chi ricorda di aver letto una riga ?
Una manciata di giorni or sono è scomparso Pete Sinfield. Il nome sarà caro agli appassionati di King Crimson, prevalentemente, e di E.L. & P per cui ha scritto testi. Sinfield non era solo un poeta, era anche un autore che riusciva a indirizzare il suono del gruppo per cui collaborava. Autore anche di un disco interessante, è forse insieme a Robert Hunter un raro esempio di scrittore con vena musicale : cantava.
E’comprensibile, si tratta della vita, dell’età, delle malattie, dei risultati di vite spericolate, non c’è nulla da stupirsi se non maledire il corso dell’esistenza che davvero ci mette sempre più frequentemente davanti a mancanze che possiamo solo lenire andando con cura a recuperare le tracce di bellezza che abbiamo accumulato in casa. Riascoltare chi se ne va è un modo per onorarlo, per continuare a farlo vivere, per smuovere quelle molecole d’aria con la sua arte.
Ed ora le soluzioni alla passione che scompare : l’unica, sotto diverse forme , non può che essere il passaparola, la divulgazione, la perpetrazione di ciò che si è amato e si può insegnare a non dimenticare. Ho per caso avuto modo di cadere dentro a modi diversi di onorare un’Arte, la più importante e comune al mondo. Voglio parlarvene.
Questa estate se n’è andato un amico. Siamo andati a salutarlo lamentandoci che lui, accumulatore seriale di musica ed appassionato di molti generi, fosse stato accompagnato l’ultimo giorno senza musica, senza la sua musica. Per circostanze sfortunate Stefano, Steve, aveva perso negli ultimi anni, mobilità e voglia di resistere. Fuori della chiesa un’amica aveva appoggiato alla sua dimora finale il cellulare che suonava Freebird : Steve era finalmente libero. Pochi giorni fa un altro amico mi chiama. Gabriele, il nipote, vuole onorare lo zio chiamando gli amici con cui condivideva la passione per la musica. L’offerta era chiara : venite qui a casa, scegliete quello che volete e portatevi un ricordo a casa. Un modo per ascoltare bellezza insieme a lui. Il tutto impreziosito da un’idea semplice ma toccante : un bollino adesivo con il viso di Steve da apporre a ogni disco scelto. Per non dimenticarlo. Ecco : tramandare la musica , la nostra musica, è un problema che ci dovremmo e dovremo porre. Ognuno di noi lascerà molto che non può portarsi dietro. Pensiamo al migliore degli usi possibili.
Un altro caso occasionale. La figlia di un amico mi chiede consulenza su una tesina che deve preparare. Si tratta di Highway 61 Revisited di Dylan; lei studia storia medievale, ma il professore ha dato un disco ad ogni alunno per approfondire le radici di una musica che da quella cultura in qualche modo deriva. Ne parliamo e le faccio notare che tramite Google qualsiasi nota è alla portata di chiunque; meglio approfondire temi spinosi che circondano il personaggio, il suo approccio all’arte, la portata della medesima. Le parlo della fidanzata, della moglie, di quel suono iniziale di batteria che cambiò il corso della musica popolare acustica, di Newport. Poi vengo a sapere che il professore è un amico, appassionatissimo di musica e che è lui l’artefice di una operazione che scelgo di vedere, per la mia prima volta, in un’aula universitaria di Pisa : lui si chiama Carlo Alberto Banti. Un’aula nutrita, con un docente preparato e lucido, e ragazzi che ascoltano e pongono domande alla fine delle esposizioni : alcune interessanti, altre più ingenue, ma il risultato è sorprendente. Non solo per gli argomenti trattati, Woody Guthrie e Bob Dylan, ma per il piacere di scoprire che nei vent’anni di questo mondo in decadenza si può ancora ascoltare e discutere di una cultura che non deve scomparire. E l’unica cosa che riesco a dire è che avrei tanto aver avuto un docente come lui ai miei tempi. Quei ragazzi sono fortunati. Spero che se ne rendano conto.
La terza ed ultima sorpresa è una operazione che mi fa conoscere il mio amico Maurizio Bettelli, musicista : una raccolta di brani immortali del…più grande cantante di armonie al mondo, David Crosby… interpretate e riunite da musicisti italiani insieme a un paio degli originali del giro di Crosby come Jeff Pevar e James Raymond. Premetto : non mi sono mai né commosso né sbilanciato con conterranei che sfidano la sorte confrontandosi con musiche che appartengono a un mondo lontano. Stavolta devo fare tanto di cappello a chi ha suonato, interpretato, messo insieme Long Time Gone un tributo a un personaggio fondamentale di quella scena, ma lo ha fatto con un gusto ed una passione interpretativa che non può che essere lodata. Il suono è perfetto, per incominciare, e già questa è cosa rara dalle nostre parti, ma lo stupore sta nel gusto con cui suoni jazzati e atmosfere di confine impreziosiscono le varie interpretazioni tutte e sottolineo tutte di grande livello. Un’opera rara frutto sì di grande passione ma anche di grande esperienza. Non è un disco che si improvvisa : dovete ascoltarlo, dovete averlo.
Anche perché è anche così che non ci si dimentica di grandissime canzoni : ascoltandole in versioni luminosamente inattese, delicate ed azzeccate, personalissime. Molto bello. Non mi permetto di citare nessuno degli interpreti perché in buona fede i risultati sono tutti di alto livello. Cercate Maurizio su facebook per farvi dare le dritte per recuperarlo.
Noi stiamo perdendo i pezzi ma forse riusciremo a seminare tracce affinché chi ha molto più tempo di noi li raccolga. E ne faccia buon uso.
Come sempre, mi lasci qualcosa da ascoltare e qualcosa su cui riflettere. Sono contento di averti conosciuto, sia pure attraverso quel “giornaletto”, come lo chiami tu, di quel genere che mi ha sempre riempito il cuore.
E sono contento di averti potuto conoscere personalmente.
Grazie sempre delle tue riflessioni. E ti aspetto nella mia terra, questo lo sai 🙂
In un ambiente dive la regola è mostrare i muscoli è sempre bene volare basso 😄 stai bene caro Egidio.
Grazie per queste appassionate preziose testimonianze, la musica mi ha cullato, confortato , insegnato e donato emozioni indimenticabili, sono immensamente contento di quanto sono riuscito a passare a mio figlio e di quanto da solo ha appreso a lezione dal compianto Maurizio. Sono felice che esistano persone come te, la musica bisogno di testimoni e divulgatori grazie
Bruno… vecchio ragazzo… la Musica ha bisogno di chiunque l’abbia amata al punto di volerla tramandare. Sperando di vederla suscitare le stesse emozioni che abbiamo provato noi.
Purtroppo ai giovani d’oggi la “nostra” musica non interessa affatto.
Troppo impegnativa per loro, come leggere un intero libro.
É stato un periodo grandioso, ma purtroppo irripetibile e vive solo tra noi.
I tempi sono cambiati:
Nota che il blues e il jazz sono quasi esclusivamente eseguiti da bianchi per bianchi.
Sono quasi trent’anni che non esce più n gruppo di qualità e che sia ANCHE famoso.
Facciamocene una ragione:
Siamo una razza in via di estinzione.
E anche i musicisti visto che i giovani la musica non la vogliono pagare.
Spero sinceramrnte che tu ti stia sbagliando. Io credo che i Beatles, giusto per fare un nome a caso, saranno amati tra cento anni. Verificherò da lassù 😄
Che dire? Come sempre coinvolgente col tuo sguardo sul passato musicale che ci appartiene. Commovente anche il ricordo dell’amico Steve del quale custodisco oltre alla bellissima amicizia (con lui e Chris vidi i Pearl Jam a Trieste), un cd punk 🙂 regalatomi poco prima che se ne tornasse in Toscana dopo essere stato In Friuli. Grazie Giancarlo.
Ricordo la foto che mi inviaste… accidenti a voi 😄… e maledetta la sorte che ci ha tolto troppo presto un amico. Grazie a te Teresio.