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ALBUM & CDC'era una volta HARD & HEAVY

Scorpions: “Rock Believer”, il pungiglione colpisce ancora

Di 27 Febbraio 202214 Commenti

La storia infinita

Il tempo fugge inesorabile ed il Valhalla degli eroi del rock con i quali siamo cresciuti è ormai densamente popolato. Le cronache s’infittiscono di commossi necrologi e nei primi due mesi dell’anno sono scomparsi altri valorosi artisti. Giancarlo ha recentemente commemorato Ian Mc Donald, ma prima di lui si sono spenti gli ultra-settantenni Burke Shelley, leader dei gallesi Budgie, già soggetto di retrospettiva sul Blog, ed il ben più celebre Meat Loaf; pochi giorni fa ci ha lasciato il cantante e pianista dei Procol Harum, Gary Brooker, interprete di uno dei più famosi singoli di sempre, “A Whiter Shade Of Pale”.
Fortunatamente persiste anche una tendenza opposta, quella degli Over 70 che non demordono, come i due principali responsabili della pluridecorata “acciaieria” teutonica Scorpions, il chitarrista Rudolf Schenker ed il vocalist Klaus Meine; sono loro gli inossidabili protagonisti che hanno traghettato la più importante formazione hard’n’heavy dell’Europa continentale dal primo album “Lonesome Crow”, uscito nel febbraio 1972, al nuovo album di studio “Rock Believer”, dunque un 50° Anniversario di piena azione discografica, nonostante gli annunci di ritiro da tempo paventati.

I classici Scorpions: Francis Buchholz, Rudolf Schenker, Klaus Meine, Matthias Jabs. Herman Rarebell

Anche per gli Scorpions è stata lunga la marcia per arrivare al vertice, dalle origini ad Hannover verso la metà dei sixties e dopo anni d’attesa il debut-album in epoca favorevole ai corrieri cosmici del Krautrock, uscito per un’etichetta nota in quei circoli, Brain. Nelle loro file l’enfant prodige della chitarra elettrica, Michael Schenker, fratello minore di Rudolf, subito rapito dagli UFO. Il suo sostituto contribuirà però ad innalzare le quotazioni degli Scorpions; si tratta di Ulrich Roth, solista di estrazione hendrixiana, dagli slanci eclettici tipici delle lune creative anni ’70. Lo stile del quintetto acquisisce un’identità sempre più heavy giungendo ad una prima pietra miliare, il quarto album “Virgin Killer” (1976) nonché seconda esperienza di studio diretta da Dieter Dierks, produttore che accrescerà la fama legandosi alla sua creatura di maggior successo. Nonostante la censurabile (e censurata) immagine che inaugura una nomea controversa delle copertine degli Scorpions, “Virgin Killer” mette a fuoco l’irruenza del gruppo, spronata dall’inconfondibile voce nasale di Klaus, che episodicamente si apre in elettrizzanti ballate (qui un meraviglioso archetipo, “In Your Park”).
Il passo successivo è un memorabile doppio album dal vivo, “Tokyo Tapes” (1978), che consolida la leggenda dei “Live” registrati nel Paese del Sol Levante instaurata da “Made In Japan” dei Purple, precedendo di pochi mesi il boom commerciale di “At Budokan” dei Cheap Trick. Rappresenta il canto del cigno di Uli Roth, che va alla ricerca di maggior libertà d’improvvisazione strumentale con i suoi Electric Sun.
Anziché determinare una crisi, la sua dipartita si rivela di buon auspicio per gli Scorpions; trasferiti dalla RCA alla EMI-Harvest, debuttano per la nuova etichetta con “Lovedrive” (1979).

Si avvalgono temporaneamente del contributo di Michael Schenker, ma soprattutto arruolano il nuovo chitarrista Matthias Jabs, futuro cardine della formazione, insieme a Klaus e Rudy fino ai giorni nostri. Il suo stile è decisamente più in linea con i tempi che annunciano l’imminente esplosione heavy metal e concorre alla formulazione di quelli che sono tuttora considerati  i “classici Scorpions” (con l’ormai stabile sezione ritmica Francis Buchholz/Herman Rarebell) tramandati da evergreen come “Loving You Sunday Morning”, “Another Piece Of Meat” e la coinvolgente magia melodica di “Holiday”. La discussa copertina reca comunque la prestigiosa firma di Hipgnosis ed è provocatoriamente eletta “migliore dell’anno” da Playboy.
“Lovedrive” irrompe nelle classifiche americane, certamente influenzando l’hard rock d’oltreoceano e “Animal Magnetism” ne doppia le mosse. Ma l’ascesa del gruppo resta in stand-by quando vengono diagnosticati noduli alle corde vocali di Klaus Meine, costretto ad un delicato intervento chirurgico, al punto che l’allora sconosciuto Don Dokken lo sostituisce nelle sessioni di registrazione del nuovo album, pronto a rimpiazzarlo definitivamente. Meine ed i suoi tornano invece in gran forma incrementando il loro successo con l’album “Blackout” (1982), una pietra miliare fra le incendiarie pozioni hard e metal degli anni ’80. Anche l’iconica copertina dell’artista viennese Gottfried Helnwein (che anni dopo firmerà immagini shock per altri tedeschi di fama, Rammstein) contribuisce a rappresentare la dirompente, energica “follia” di brani come la title-track, “Can’t Live Without You” e “Dynamite”. L’ascesa degli Scorpions giunge allo zenit con il successivo “Love At First Sting” (1984); alla carica di “Blackout” si aggiunge un tocco di savoir faire commerciale che si accosta ancor meglio alle nuove tendenze hard rock U.S.A. e non senza ispirarle!
I nuovi manifesti si chiamano “Bad Boys Running Wild” e “Rock You Like A Hurricane” ma è l’epocale ballata “Still Loving You” ad intenerire i cuori dei rockers sentimentali.
Alla svolta di metà anni ’80 è il momento di una trionfale celebrazione dal vivo, il doppio “World Wide Live”, poi bisognerà attendere a lungo perché gli Scorpions si ripresentino, alla moda hair metal, in “Savage Amusement” (1988).
E’ l’indizio di un nuovo cambiamento; il quintetto lascia per la prima volta la comfort zone tedesca e la guida di Dierks, firmando per la PolyGram e trasferendosi a Los Angeles per registrare il nuovo debutto su etichetta Mercury, “Crazy World” (1990), presso gli studi del produttore Keith Olsen. Le tracce heavy sono ancor più levigate e non ai massimi livelli, ma in compenso le ballate sono davvero auree; “Winds Of Change” è la loro più grande hit storica, resa inconfondibile dal melodioso fischiettare di Klaus, ed il lirismo pseudo-sinfonico di “Send Me An Angel” non è da meno.
Raggiunti i traguardi più ambiziosi, gli Scorpions denunciano un appagamento “creativo” e pur restando una grande attrazione in concerto a livello mondiale, tutt’altro che sterilizzati della rivoluzione grunge anni ’90, la loro vena compositiva apparirà progressivamente in ribasso.

Scorpions 1972 con Michael Schenker (al centro)

Don Dokken, potenziale sostituto di K. Meine in “Blackout”

Copertina di Metal Shock, epoca “Crazy World” (1990)

"Rock Believer", una professione di fede

Scorpions 2022: Matthias Jabs, Mikkey Dee, Klaus Meine, Pavel Maciwoda, Rudolf Schenker

Il 19° album di studio degli Scorpions esce puntualmente a sette anni di distanza dal precedente “Return To Forever”, ma si tratta di una scelta forzata dalla pandemia, che ha tardato il loro come-back sul mercato discografico impedendo anche programmi di registrazione lontani dalla base operativa di Hannover. Accanto agli immarcescibili Schenker, Meine, Jabs e al bassista polacco Pawel Maciwoda, in “Rock Believer” appare per la prima volta un batterista ben noto, Mikkey Dee (ex Motörhead), che sostituisce il silurato James Kottak.
Oggettivamente non sono ipotizzabili sbalorditive sorprese da un nuovo album degli Scorpions, com’era prevedibile a suo tempo per l’incensato “Power Up” degli AC/DC; si può invece rilevare lo “stato di forma” di un’autentica istituzione del rock. In quest’ottica il primo singolo “Peacemaker”, anticipato nello scorso novembre, è stato una prova incoraggiante. Incalzato da una potente, corposa sezione ritmica e dalle note alte agonizzanti della solista, Meine inneggia ad un “Peacemaker” (…bury the undertaker!) che metta fine alle processioni mortali del Covid-19, riportando un clima di pace nel mondo, ma certo non poteva immaginare che la barbara invasione dell’Ucraina avrebbe vanificato qualsiasi messaggio positivo…
Il battesimo dell’album avviene invece a sirene spiegate e sul ritmo martellante di “Gas In The Tank”, accompagnato da un impeccabile riff di hard rock melodico, e l’invito Play It Louder! è decisamente più disimpegnato ed escapista, esorta il gruppo ed il suo pubblico a ritrovare l’energia perduta.

Il dinamismo travolgente di “Roots In My Boots”, è chiaramente un ritorno alle radici dell’epoca aurea anni ’80, “Blackout” e successori, con assolo breve ma folgorante di Jabs.
Se da un lato “Knock’Em Dead”, sembra manipolare il riff di “Bad Boys Running Wild”, dall’altro riscopre la foga irriverente del primigenio rock’n’roll, ancor più esplicita nello sprint di “When I Lay My Bones”…Che Mikkey Dee abbia svelato ai germanici la formula dell’impeto senza fronzoli del gruppo che l’ha reso famoso? Senza dubbio una rinvigorente iniezione d’adrenalina, ma ci fa piacere ritrovare il tipico hard melodico nell’anthem “Rock Believer”, nel quale gli Scorpions invitano i “fedeli” del rock a riunirsi sotto la sua bandiera. Un appello alla “resistenza” nei confronti delle tendenze attuali che anelerebbero a cancellare la ricca storia del nostro genere musicale preferito, che raccogliamo con piacere.
Il riff maestoso di “Shining Of Your Soul” sembra avvalorare ancora una volta l’atmosfera eroica del rock duro, pur con un caratteristico “staccato” reggae ad accompagnare il cantato, e cori suggestivi nel finale.

Il mid-tempo ipnotico di “Seventh Sun”, completa la successione di singoli sull’album (“Rock Believer, “Shining Of Your Soul”, oltre a “Peacemaker” di cui si è già detto) riallacciandosi ad un minaccioso classico del passato, “China White”. L’immaginifico assolo di Jabs sorprende con slanci “spaziali” quasi-Floydiani!
“Call Of The Wild” è un episodio roccioso ma d’atmosfera, specie nelle aperture melodiche del chorus; cattura l’attenzione soprattutto il crescendo finale alla Lynyrd Skynyrd (!), che ancora una volta sottolinea la vitalità debordante del 66enne Matthias Jabs, pilastro ormai irrinunciabile del quintetto.
Fra i tanti colpi di coda dello Scorpione, manca ormai solo una specialità dove i tedeschi sono stati maestri assoluti, quella delle Gold Ballads, a suo tempo giustamente celebrata nell’omonima antologia…Stavolta tocca a “When You Know (Where You Come From)” aggiungere una nuova gemma alla corona regale; ad essa Klaus conferisce una peculiare enfasi emozionale e struggente, dimostrando che negli anni nulla ha perso delle sue virtù espressive. Quanto gli Scorpions credano nei loro fascinosi momenti di pace lo dimostra la doppia versione (elettrica – con video fresco di diffusione – ed acustica) del brano, ma non è necessario scegliere…
Può bastare, a voi la scoperta dei brani rimanenti e delle offerte dell’ormai immancabile edizione Deluxe.
Concludo affermando che “Rock Believer”, il primo album degli Scorpions per il marchio storico Vertigo, è una rentrée in forze, largamente superiore a momenti critici come “Pure Instinct” (soprattutto) e “Unbreakable”; si candida ad essere l’album più efficace di questa fondamentale formazione dai tempi di “Crazy World”.

14 Commenti

  • Marmar ha detto:

    Ciao Beppe, forse esagero, ma per me gli Scorpions sono quelli con Uli John Roth e di quei album fenomenali quali ” Fly to the Rainbow”, ” In Trance”, “Taken by Force” e “Virgin Killer”, completati da quello che giudico uno dei più bei live della storia del Rock ( se la gioca con “Made in Japan”), ovvero “Tokyo Tapes” ( sempre sia lodato!). Gli Scorpions post “T.T.” e post Roth hanno cambiato coordinate stilistiche, pur rimanendo subito riconoscibili grazie alla stupenda voce di Maine, e hanno prodotto indubbiamente grandi album: “Lovedrive” è ottimo, anche se l’ha principalmente scritto Micheal Schenker, che a quel tempo era così fatto che manco se n’è ricordato (l’ha fatto decenni dopo, giusto per litigare col fratellone), “Animal Magnetism” è discreto, ” Blackout” e “Love a first Sting” sono i disconi del giusto successo planetario. Ma se prendo il tanto osannato “World Wide Live” e lo metto vicino al sopracitato predecessore dico subito che c’è un abisso artistico a favore del primo e sul fatto che il secondo ha venduto molto più non me ne frega nulla. Visti ai tempi del tour del buon, se pur troppo cromato e soprattutto atteso ( 4 anni ai quei tempi erano qualcosa di inaudito) “Savage Amusement” li voglio ricordare così; poi si sono un po’ (anzi parecchio) persi, anche se con “Sting in the Tail” sono tornati a livelli dignitosi. Non so, ho comunque tutti i loro album ma questo ancora no, devo ancora ascoltarne una canzone ma prima o poi lo prenderò, perché è giusto in memoria dei bei tempi. Ah, ultima personale annotazione: a suo tempo io baldo metallaro, regalai alla mia futura dolce metà, ancora musicalmente acerba “Gold Ballads” e feci chiaramente centro…. Da questo punto di vista sono stati dei gran maestri, e non è un pensiero soggettivo. Saluti e W i Tedesconi!

    • Beppe Riva ha detto:

      Sai Marco, noi possiamo legittimamente esprimere preferenze sulle formazioni che si sono avvicendate negli anni, e non mi permetto certo di discutere gli Scorpions di Uli John Roth ed il loro miglior live, “Tokyo Tapes”; spesso però la storia esprime verdetti differenziati. E’ innegabile che le maggiori fortune degli Scorpions siano successive alla dipartita di Roth, mentre i Deep Purple hanno attraversato i decenni senza quasi risentire degli importanti avvicendamenti di line-up, e gli AC/DC hanno avuto un vero proprio boom commerciale dopo la scomparsa dell'”insostituibile” Bon Scott. Gli stessi Sabbath hanno realizzato almeno un classicone, “Heaven & Hell”, senza Ozzy ma “con Dio”! Tutto ciò dimostra, e sono solo pochi esempi, che non necessariamente la miglior formazione possibile può esser considerata tale senza esitazioni. Ovviamente è solo la mia opinione, ed ognuno di noi ha i propri favoriti. Ciao, grazie.

  • angius francesco ha detto:

    Salve, dopo molto tempo sono riuscito a gustarmi questo nuovo disco degli Scorpions e devo dire che l’ho apprezzato moltissimo.
    Duro, orecchiabile e suonato e cantato con grandissima classe e mestiere ( che non guasta!). Non sfigura assolutamente nella loro migliore produzione e testimonia che avrebbero ancora tanta bella musica da produrre. Speriamo non diano seguito alle voci che li vogliono al passo d’addio. Non so come tengano il palco oggi, ma questo non cambia la bellezza di un’opera meravigliosa della loro senilità !!! (Anche io voglio invecchiare così, generando qualcosa di bello !!! )
    Saluti Beppe

    • Beppe Riva ha detto:

      Bene Francesco. È opinione diffusa che i “vecchi leoni” siano ancora capaci di colpi piuttosto letali, quindi è giusto che i fans di vecchia data apprezzino. Non è una regola generale, ma spesso succede. Infatti una carriera longeva e importante non si costruisce sul nulla. Grazie dell’opinione, buona giornata.

  • Roberto Torasso ha detto:

    Ciao Beppe mi fa piacere leggere un tuo scritto su quello che era nei miei adolescenziali anni ottanta metallici la mia band preferita, ovviamente i bei tempi sono passati anche per loro e qualitativamente la loro musica è andata in ribasso e di pari passo il mio entusiasmo tanto che i ultimi album li conosco marginalmente e quello che ho ascoltato non mi ha invogliato a rinnovare il mio amore per questo gruppo.
    Tanto meno i primi estratti da questo nuovo prodotto mi hanno fatto fare salti dalla sedia in primis”Peacemaker”che francamente ho trovato molto anonimo…
    È effettivamente ironico poi che se ne escano con argomentazioni simili visto gli ultimi sviluppi della guerra proprio loro che avevano fatto da ambasciatori della pace nella stessa Russia accolti addirittura dal presidente Gorbachev… Sarebbe bello che la musica abbatta barriere tra i popoli.. Rock’n’roll gonna save the world cantavano i Y&T…. Comunque mi fido sempre delle tue valutazioni che sono sempre competenti e condivisibili, credo che darò una chance agli arzilli teutonici… Saluti

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Rob, il Moskow Music Peace Festival del 1989 è stato un evento storico dove i gruppi hard’n’heavy si sono resi protagonisti di una manifestazione di grande risonanza, nonostante inevitabili contraddizioni e retroscena, alle spalle del “mito”. Che ormai tutto sia stato vanificato dai tragici eventi attuali, non toglie nulla ai lodevoli intenti espressi anche da “Peacemaker” degli Scorpions. Nei confronti dei grandi veterani che producono nuovi dischi c’è sempre un diffuso contrasto fra scettici e benevoli. Anche in questi commenti emergono opinioni discordi. Quello che ho risposto a Fulvio vale anche per te: tutti liberi di esprimere il proprio parere, con le ovvie motivazioni. Grazie

  • Paolo Migliardo ha detto:

    Ciao Beppe,come al solito hai colto nel segno.
    Questo Rock Believer è un grande album e non bisogna avere il timore di dirlo.
    Lasciamo stare i confronti sterili e banali.
    Siamo nel 2022 e non nel 1985.
    L energia,la classe ed il feeling solo pochi e rari fuoriclasse li mantengono cosi a lungo inalterati come gli Scorpions.
    Altrettanto vero è che la stampa di settore è sempre stata più bonaria con Motorhead ,Ac/dc e Saxon,autori di uscite decisamente ordinarie, che nei confronti di Scorpions ed Iron ed esempio.
    Concludo con il solito invito a vedere più spesso i tuoi scritti illuminati..

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Paolo, non posso che ringraziarti della fiducia. La stampa ha sempre avuto i propri “prediletti”, diciamo pure che tutti li abbiamo, poi cerco di fare il possibile per “oggettivizzare” il tutto; non è detto che ci riesca. Ciò che infastidisce è quando l’atteggiamento “bonario” è dettato da fini di convenienza (commerciale, oppure per non scontentare il pubblico più inflessibile verso i suoi idoli). A risentirci!

  • Fulvio ha detto:

    Ciao Beppe
    Scorpions ovviamente uno dei miei principali riferimenti negli anni ’80.
    La parte del tuo articolo che sposo di più
    però è “Raggiunti i traguardi più ambiziosi, gli Scorpions denunciano un appagamento “creativo” e pur restando una grande attrazione in concerto a livello mondiale,… la loro vena compositiva apparirà progressivamente in ribasso.”
    È proprio così e secondo me è tuttora così.
    L’ultimo loro album che possiedo è “Face the Heat” che, sempre a mio avviso, è già in netta flessione rispetto al precedente “Crazy World”.
    Il nuovo album l’ho sentito: molto mestiere (e ci mancherebbe) ma nessun pezzo che riesca a catturarmi ed a farmi premere nuovamente play.
    Forse è il confronto con il passato che non regge (e che forse è un confronto ingiusto ed impietoso), o forse sono io che sono cambiato rispetto al passato e trovo più difficile entusiasmarmi.
    In definitiva, grandissimo rispetto per la carriera e per i 70 anni di età portati così alla grande però il disco non mi convince…ho gradito di più “Carpe Diem” degli altrettanto inossidabili Saxon.
    Un saluto

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fulvio, il confronto fra passato e presente dei grandi veterani del rock è sempre complicato. Vogliamo forse sostenere che gli ultimi Deep Purple o AC/DC siano all’altezza dei loro “classiconi” (termine caro all’amico Garavelli che ci ospita nel suo programma “Linea Rock”)? Anch’io tendo a sottovalutare i lavori più recenti, ma quando mi metto seriamente ad ascoltarli, come nel caso di questo “Rock Believer”, riesco a coglierne i pregi (al di là dei pregiudizi, anche miei). Dire che non ci sono canzoni che invogliano ad essere riascoltate mi sembra eccessivamente severo, ma accetto il tuo punto di vista. Per esempio, facendo un affronto (si fa per dire, naturalmente) ad un altro amico, Steven Rich di Truemetal, trovo decisamente più “scontati” gli attuali (e va bene, inossidabili…) Saxon, nonostante gli elogi che ricevono. Penso che tutti i gusti (fondati) siano gusti, li rispetto ma pretendo altrettanto. Grazie dell’opinione.

  • Lorenzo ha detto:

    Ciao Beppe.
    Gli Scorpions sono probabilmente l’unico caso in cui un gruppo rock (o non rock…) tedesco abbia indicato la via agli americani, difatti tuto il cosiddetto class metal tanto in voga negli Stati Uniti negli eighties, deriva da loro.
    Si può discutere eventualmente sulla pronuncia inglese di Klaus Meine, soprattutto agli esordi, che per i miei gusti rapresenta un pò più di un dettaglio (problema enorme anche delle band italiane), ma col tempo Klaus stesso è migliorato.
    Non c’è molto altro da dire, se non celebrare ancora una volta, come hai efficacemente fatto tu, una istituzione dell’hard rock, anche perchè l’età non è più dalla loro parte, e gli eredi scarseggiano, anzi non ci sono proprio.
    Purtroppo non ho ancora ascoltato il disco intero per gli ormai cronici problemi di rifornimento degli store fisici, perlomeno dove l’ho ordinato io non è ancora arrivato (a Bologna, non chissà dove), stesso problema co Star One di Lucassen.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo, se penso alla classica “Loving You Sunday Morning” ed in generale a “Lovedrive” (come ho scritto) credo che l’influenza degli Scorpions sull’hard melodico americano degli ’80 sia sensibile, ma è altrettanto vero che questo genere esisteva negli USA prima del successo e della “svolta” degli Scorpions con l’album citato. Comunque il fatto che Don Dokken sia “andato a scuola” da loro e dal produttore Dierks, imponendosi successivamente con uno dei migliori gruppi in grado di combinare aggressione e melodia, è illuminante. Grazie…

  • Luca ha detto:

    Scorpions, parlare di loro è qualcosa di particolare per me. Ho un debole pazzesco per loro, per i loro album, per i loro live. Anche nei momenti meno positivi della loro carriera sono sempre riusciti a trasmettermi qualcosa di unico … e poi quando Si parla di Blackout, di Love at … si descrive l’essenza della musica rock, la sua bellezza. W gli SCORPIONI
    Grazie Beppe

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Luca, l’importanza dei tedeschi è indiscutibile, ti racconto solo un aneddoto: nella storica International Encyclopedia Of HR & HM di Jasper/Oliver (prima edizione 1983), un punto di riferimento assoluto al di là delle inevitabili imperfezioni (che tutti hanno, anche i presuntuosi che amano sottolineare i refusi altrui), fra i gruppi più famosi erano citati Whitesnake, Kiss, Motorhead etc. e con loro Scorpions e pure MSG. E’ detto tutto…Grazie!

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