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ALBUM & CDC'era una volta HARD & HEAVY

RIVIEWS: Il Classic Rock, tradizionale/mutante, dei nostri giorni

Di 29 Aprile 2025Maggio 5th, 202522 Commenti

Nuova serie di Riviews con i miei album preferiti del mese di aprile e dell’imminente inizio di maggio. Certamente una delle uscite discografiche più importanti dell’anno inaugura il pentagono di recensioni (lascio alla vostra immaginazione indovinare l’argomento…) ma da tempo attendevo la circostanza propizia per scrivere un epitaffio alla memoria di Jack Russell, il grande e scellerato cantante dei Great White deceduto lo scorso agosto.
Mi ritrovo a considerare il comune denominatore dei dischi trattati, ed a mio avviso, tutti oggi possono esser raccolti nel ribollente calderone del classic rock ispirato agli anni ’80, come rivela il titolo, tradizionale e mutante; l’ho già affermato recentemente, si tratta di novità discografiche che mantengono vivo, magari ammodernandolo, lo spirito del rock di quell’epoca.
Il metal del terzo millennio ormai persegue altre direzioni, le nuove tendenze del rock alternativo a maggior ragione: giusto così ma non mi adeguo, non mi intrigano e già vantano schiere di “divulgatori”.
Bando alle ciance, saluto e ringrazio sinceramente chi mi legge, invitandovi a scoprire ciò che segue.

GHOST: "Skeletà" (Loma Vista)

Verosimilmente, nell’aprile 2013 – epoca di pubblicazione del secondo album dei Ghost, “Infestissuman” – la prolungata attesa del successore di “Opus Eponymous” (esordio del 2010) era limitata ad una cerchia ristretta di appassionati. Ricordo che io espressi il mio entusiasmo sul Blog di Tim Tirelli (autorevole esperto di Led Zeppelin) dunque, non il forum più idoneo al culto dell’allora Papa Emeritus II e del suo conclave di incappucciati.
Dodici anni dopo, il sesto “Skeletà” resta, per quanto mi riguarda, la novità discografica più attesa del 2025, ma la popolarità del gruppo svedese è ormai enorme, come nemmeno il più ispirato veggente avrebbe osato vaticinare. Il precedente “Impera” ha raggiunto per la prima volta il numero uno nella classifica di Billboard, stabilendo nel 2022 un record di vendite, ma il contagio ha ormai infestato il mondo intero.
Indubbiamente al successo commerciale hanno contribuito brillanti intuizioni di marketing: l’immagine teatrale in costante evoluzione, con il puntuale avvicendamento di ogni “pontefice” interpretato dal leader Tobias Forge ed il suo ministero di Ghouls senza nome, calati in un tenebroso ambiente pseudo-ecclesiastico; oppure l’espediente che ha coinvolto il pubblico nel singolo apripista “Satanized”, dove complice l’IA ogni fan può apparire “indemoniato” in un breve video-clip. In occasione di “Skeletà”, l’erede designato si chiama Papa V Perpetua, ed il look è più che mai appariscente, al pari di alcuni suoi musicisti/e mascherati da Belfagor, il “fantasma del Louvre” dell’omonimo film.
Andando oltre questi aspetti largamente pubblicizzati, l’autentico motivo d’attrattiva risiede nel fattore musicale: i Ghost non hanno mai riprodotto il loro show tale-quale nel corso degli album, riciclando uno schema prevedibile, ed in questo risiede la genialità della proposta di uno dei rari illuminati degli anni duemila, l’artefice Tobias Forge.

Con imprevedibile versatilità e senza tradire il proprio marchio di fabbrica, i Ghost hanno iniziato con il doom dalle sfumature retrò-psichedeliche di “Opus”, creando poi i Carmina Burana apocalittici di “Infestissuman”; hanno colorato il metal di spunti eclettici in “Meliora”, completando l’opera nel più maturo “Prequelle”, che già presagiva l’orientamento verso l’arena-rock mutante di “Impera”; non a caso quest’ultimo ha sbancato le classifiche, in America. Infatti il singolo “Spillways” era una sorte di reinvenzione contemporanea del rock-FM anni ’80. La voce di Forge si adatta idealmente ad ogni sua composizione, non raggiunge virtuosismi da tenore del metal (per fortuna) ma rende inconfondibile il proprio repertorio, in ogni dettaglio. L’indizio rivelatore circa il contenuto di “Skeletà” risiede in una recente dichiarazione del protagonista, dove svela che lui preferisce cantare come se fosse nel 1985, niente a che fare con il growl, esibito parsimoniosamente in passato, o con strofe ripetutamente urlate. Ed il nuovo stile dei Ghost, al di là delle tematiche più introspettive e dei “demoni interiori” vistosamente anticipati, vive di una formula non certo omologata: hard rock melodico a fosche tinte, che non tradisce la magia soprannaturale da sempre esibita. Va da sé che l’enorme fama conquistata alimenti anche una moltitudine di criticanti, eredi dei “puri metallari” degli anni ’80 che detestavano, contenti loro, Journey, Toto e Foreigner.
Il primo singolo di “Skeletà”, “Satanized”, è un evidente trait d’union con i codici più immediati della loro musica; comprende una citazione in latino del Nuovo Testamento, ossia la prima lettera di San Paolo ai Corinzi, secondo la quale il corpo degli uomini è tempio della Spirito Santo e non va profanato.

Nel video, evidentemente caricaturale, un frate confessa pratiche immorali, con susseguente “dannazione”. Meno prevedibile è semmai l’atto d’apertura, ossia “Peacefield”, che esordisce con un’eterea corale mistica ed un calibrato riff hard rock, ma sfocia in un refrain clamorosamente simile a quello di “Separate Ways”, dei Journey di “Frontiers”. Le analogie si limitano a questo, nulla di scandaloso se si pensa che storici fuoriclasse del rock come Led Zeppelin, EL&P e Deep Purple hanno ricevuto ammenda per plagi più evidenti. Il secondo singolo “Lachryma” esibisce un prologo di tastiere assolutamente AOR anni ’80 ed una strofa principale che altrettanto riecheggia il rock radiofonico, con magistrale innesto delle voci femminili (altra scelta esplicita di Forge), mentre il riff che la precede suona come una versione più leggera di “Cirice”.
“Guiding Lights” è una ballata avvincente come la classica “He Is”, vero e proprio AOR delle ombre… L’assolo di chitarra è super, niente di virtuosistico ma perfettamente calato nell’atmosfera del crescendo conclusivo, fino all’ultimo verso cantato “a cappella”. “De Profundis Borealis”, a dispetto dell’intro pianistica è il brano heavy più incalzante fino a questo punto… Dopo il preludio di tastiere alla Journey, “Cenotaph” accenna vagamente al riff di “Children Of The Grave”, forse in omaggio al concerto finale dei Sabbath, al quale Forge è invitato fra i numerosi special guests.
“Missilia Amori” è un mid-tempo tipicamente Ghostesque ma con arrangiamento assai curato; incanta maggiormente “Marks Of The Evil One”, irresistibile con quel tocco di classe delle tastiere che scandiscono un chorus superbo. Slanci sinfonici annunciano “Umbra”, un altro brano spettacolare che addirittura svela un finale prog-rock tutto da godere, con l’organo che rievoca barocchismi della colonna sonora di “Inferno” di Keith Emerson. Infine un’estesa ballata dal lirismo ferale ed epico, “Excelsis”.
Mi accorgo di giungere all’epilogo di “Skeletà” senza mai aver la tentazione di passare al brano successivo, come mi capita fin troppo spesso con materiale prevedibile. Anche per questo trovo irrinunciabile l’ultimo sermone dei Ghost.

GIANT: "Stand And Deliver" (Frontiers)

Per gli appassionati dell’arena rock, Giant non è certo un nome che necessita di presentazioni. Inoltre sul Blog me ne sono già occupato, celebrando il grande AOR di “fine ciclo” 1989, quando il quartetto di collaudati musicisti di studio (Dann e David Huff, Alan Pasqua e Mike Brignardello) esordirono con il classicissimo “Last Of The Runaways”.
Il fil rouge è stato riallacciato nel 2010 grazie al marchio Frontiers, che pubblicava il quinto album di studio “Shifting Time”; assenti le stelle Dann e Alan, resisteva comunque la sezione originale (Mike e David), affiancata dal chitarrista John Roth e dall’eccellente vocalist Kent Hilli, già affermato negli svedesi Perfect Plan e come solista; mi piace ricordare il suo EP di cover “Vital 4”, dove reinterpretava con audacia un brano immortale, “Can’t Turn It Off” di Michael Bolton (“Everybody’s Crazy” époque!). Kent ha confermato il suo arsenale vocale d’assalto nel brillante album dei Perfect Plan, “Heart Of A Lion” (2025) ed in tempi brevi si ripresenta con il nuovo Giant, “Stand And Deliver”, dove ritrova il suo ex-produttore di origine finlandese, Jimmy Westerlund, che ha sostituito Roth anche come chitarrista. In veste di co-produttore e tastierista collabora ancora l’ubiquo Alessandro Del Vecchio.
La copertina del sesto Giant sfoggia un erculeo titano, più idoneo a mio avviso ad illustrare un album di power metal, ma fatta questa eccezione, “Stand And Deliver” è un album eccellente per timpani avvezzi al classico AOR, probabilmente il loro migliore dai tempi di “Time To Burn”. Lo si evince subito dall’ispirato brano d’apertura, “It’s Not Right”: arrangiamento dagli orizzonti spaziosi, voce impeccabile, rock da grande arena degno degli originali Giant e dei Journey. Seguono i due singoli, già noti: bellissima “A Night To Remember”, con il prologo “atmosferico” di chitarra, affine a certi slanci di Dann Huff – che Westerlund a mio avviso rimpiazza meglio di Roth – ed un refrain difficile da dimenticare. Inoltre “Hold The Night” conferma la qualità di un’opera che ravviva i canoni e la qualità cristallina di produzione del rock melodico anni ’80. Nulla di rivoluzionario naturalmente, ma eseguito con classe; merita il sigillo d’approvazione l’innesto della chitarra di Westerlund, perfettamente calata nel nuovo contesto, oltre alla voce di Kent, indubbio protagonista. Fra le opzioni di questo stile di musica non può mancare la rituale power ballad, ecco dunque “It Ain’t Over Till It’s Over”, ammantata dalle tastiere sontuose di Del Vecchio, che ne è anche coautore, con un prezioso Westerlund alla chitarra acustica.

Ad incrementare il valore giungono anche contributi dal passato, come la collaborazione fra Dann Huff ed il compianto artista di Seattle, Mark Spiro, che hanno composto la toccante “Time To Call It Love”. Non solo, l’impulsiva “Holdin’ On For Dear Life” e la ballata spezzacuori “Paradise Found”, sono tratte da un demo del 1992 per l’album “Time To Burn” e composte da Dann insieme ad un altro maestro dell’AOR che ci ha lasciato prematuramente, Van Stephenson. Le primitive versioni erano presenti sulla compilation postuma dello stesso artista, “Same Pen Different Voices” (2CD, Melodic Rock Classics).
Consiglio vivamente “Stand And Deliver” ai fruitori di classic rock-eighties style. La sua pubblicazione in maggio è imminente, ma ho acquistato il CD già disponibile al Frontiers Festival, e non ho esitato a presentarvelo.

SMITH/KOTZEN: “White Light/White Noise” (BMG)

Quando pubblicarono nel 2021 l’omonimo album d’esordio, incalzato a breve dall’EP “Better Days”, la coalizione Smith/Kotzen ci sorprese…Nessun dubbio che si trattasse di chitarristi speciali, ma di differente età ed estrazione musicale. Adrian Smith, costituisce da lungo tempo una coppia d’assi con Dave Murray negli Iron Maiden, fra le più acclamate del pianeta. Nondimeno, ha spesso ricercato una propria via di fuga dal colosso Ironiano, prima con il progetto collaterale A.S.A.P. (riunendosi a compagni della precedente formazione Urchin), apprezzabilissima parentesi di peculiare hard rock melodico; poi si allontanò provvisoriamente dai Maiden intorno alla metà anni ’90, con la conseguente fondazione degli Psycho Motel, più incline verso sonorità di quel periodo.
Ritchie Kotzen non gode di una popolarità altrettanto estesa, ma vanta inattaccabile stima da parte di esperti e musicisti. Venne scoperto nei tardi anni ’80 dal titolare e talent-scout delle storiche compilation “U.S. Metal”, Mike Varney. Precedentemente, aveva inciso un album da culto del melodic rock con gli Arthur’s Museum (1987). Inaugurata la carriera solista sotto l’egida Shrapnel, veniva poi chiamato alla corte di formazioni di vistoso successo come Poison e Mr. Big. Più recentemente ha costituito il supergruppo Winery Dogs (con gli altri virtuosi Sheehan e Portnoy) e nel corso della sua carriera è stato protagonista di numerose collaborazioni rilevanti. Parallelamente, l’attività da solista dal 1989 ad oggi è stata costante, con l’ultimo apice l’anno scorso, l’album “Nomad”, per la stessa BMG che in aprile ha pubblicato il nuovo Smith/Kotzen, “White Light/White Noise”.
La combinazione dei due campioni, favorita dal fatto che gli Iron Maiden erano idoli dell’adolescente Ritchie, conferma l’anima hard rock screziata blues del duo, ma soprattutto che il virtuosismo individuale è alquanto depotenziato se mancano il calore ed il feeling della musica.
Smith & Kotzen mettono il loro talento di chitarristi (e cantanti) al servizio delle canzoni, e si tratta di un’interazione speciale, ancor più inattesa nelle parti e alternanze corali. Basta ascoltare “Darkside”, una ballata d’atmosfera con chitarra d’accompagnamento acustica e ritmica impeccabile, dove la commistione delle loro voci origina un refrain davvero focoso ed attraente. Il brano d’apertura, “Muddy Water”, evidenzia subito una solida base rock blues, e nello stile si potrebbe ipotizzare una moderna versione dei Cream.
Il primo singolo, “White Noise”, entusiasma per la magistrale sincronia fra la voce roca di Adrian ed il timbro più versatile, efficacissimo anche negli acuti, di Ritchie. Il mood potrebbe avvicinare certo stile grunge blueseggiante alla Alice In Chains.

Nella successiva e “seconda” title-track, Adrian canta nelle strofe come un redivivo Phyl Lynott, rievocando i Thin Lizzy…E con due chitarristi di questo calibro, il paragone non risulta affatto eccessivo. Anche “Blindsided” riecheggia l’hard rock americano infetto di blues dei gloriosi anni ’80 (Badlands, Great White, Tangier, a loro volta intrisi di influssi Free/Bad Company), mentre “Heavy Weather” si crogiola in un paludoso clima musicale “sudista”, ma inconfondibile e contagiosa è ancora la reciprocità delle due voci. Infine, “Beyond The Pale” è la prova di resistenza che suggella l’album con i suoi 7 minuti e mezzo: un drammatico slow crepuscolare con un folgorante finale dei duellanti “eroi dell’ascia”, titolo che i protagonisti possono a pieno diritto vantare. Al di là di qualsiasi settorializzazione, questo è il classic rock rivisitato con lodevole originalità d’approccio. Prendetene nota.

RUSSELL/GUNS: "Medusa" Record Store Day Edition (Frontiers)

Jack Russell nei Great White, 1984 (foto: PG Brunelli)

L’occasione si è finalmente presentata per ricordare uno dei protagonisti scomparsi del grande hard rock americano degli anni ’80.
Il 12 aprile, in occasione del Record Store Day, è stato riedito in vinile il testamento discografico di Jack Russell, che rimarrà nei annali come The Voice dei Great White, formazione essenziale di quel decennio. Non si tratta però dell’epilogo di tale, celebre avventura, ma dell’unico album realizzato in coppia con il chitarrista Tracii Guns, “Medusa”, uscito il 12 gennaio 2024 (Frontiers).
Per il cantante era l’attesa chance per rilanciarsi, anni dopo l’abbandono dei “suoi” Jack Russell’s Great White, già funestati dalla tragica vicenda dell’incendio nello Station Nightclub di West Warwick: durante un loro concerto nel 2003, morirono un centinaio di persone fra cui il chitarrista del gruppo, ed oltre duecento furono i feriti. Riconosciuti colpevoli di aver inscenato “fuochi d’artificio” nel locale chiuso, Russell ed il suo entourage furono condannati ad un risarcimento di un milione di dollari! Nel corso della sua vita, Jack ha flirtato con ogni genere di eccesso: droga, alcol, sesso, carcere, incidenti d’auto, con degenerative conseguenze sulla salute psico-fisica, da tempo in condizioni critiche: Jack personificava il drammatico simbolo di un’esistenza rock’n’roll vissuta oltre ogni limite; così la sua voce si è spenta il 7 agosto 2024.

Negli originali Great White invece, è stato un emblema di quello che oggi si può definire hard rock classico dalle radici blues, ma che all’epoca – quarant’anni fa! – quando tutto o quasi si etichettava come “metallo”, veniva appunto identificato con un termine spesso frainteso, il class-metal, che ne sottolineava la brillantezza esecutiva, ma senza fronzoli.
I Great White, già noti come Dante Fox, sono stati pionieri di quel suono sulla scena di L.A.; Jack divideva il proscenio con un’altra spiccata individualità, il chitarrista Mark Kendall.
Il loro mini-LP di debutto (Aegean, 1982), era prodotto da un precursore e maestro del rock duro californiano, Don Dokken; all’epoca di pubblicazione, scrissi che “accoppiava l’arrogante energia rock’n’roll dei Godz – ascoltate “On Your Knees” – e le finezze del sapiente gusto melodico-elettrico degli Starz” (entrambi i gruppi, miei idoli da qualche anno…).
Jack era profondamente influenzato da Robert Plant, e poteva urlarlo ai quattro venti, dimostrandosi discepolo di talento nei vari tributi del “Grande Squalo Bianco” ai Led Zeppelin. Ed in tema di brani originali, come dimenticare lo splendido slow-blues “House Of Broken Dreams”, con il binomio Russell e Kendall al top del loro gioco? Non solo, Jack riusciva a trasformare in un successo memorabile del gruppo la versione di “Once Bitten Twice Shy”, composta da un altro mostro sacro del rock inglese, Ian Hunter, post-Mott The Hoople. Quel fortunato titolo fu ripartito in due album, “Once Bitten” (1987) e “…Twice Shy” (1989): entrambi superarono il traguardo del disco di platino.
Negli anni ’90, il panorama rock californiano volgeva al tramonto, con esso i Great White. Le avventure da solista di Russell andavano di pari passo con il declino personale, fino al fuoco fatuo della collaborazione con Tracii Guns: notoriamente un’eminenza della street scene di Los Angeles, già membro fondatore dei Guns N’Roses e L.A. Guns, nonché parte attiva del gruppo all-star, Contraband (con Michael Schenker e musicisti di Shark Island, Ratt e Vixen); in seguito anche nei Sunbomb e Blackbird Angels.

Nell’album “Medusa”, destinato al ruolo di irripetibile solitario, Russell e Guns si ritrovano sul fronte comune dell’attuale hard rock-blues classico.
“Next In Line” era un’immediata conferma della matrice rock’n’roll sospinta anche dal piano scandito in fase ritmica e dall’organo Hammond. Subito dopo, l’altro singolo “Tell Me Why”, con Russell in ottima forma ed un riff che fonde chitarra ed organo alla maniera dei Deep Purple.
In “Coming Down” è ribadita l’eredità dei Great White negli slanci vocali e Tracii appare pungolato dal confronto con Kendall, anche nel viscerale assolo. “Where I Belong” è un corposo hard rock di stampo southern, poi “Living A Lie” è l’inevitabile power-ballad, accattivante ed arrangiata con savoir faire melodico; da sottolineare anche la pulizia del timbro vocale di Jack nel torrenziale crescendo verso il refrain e lo stesso Tracii si mette in luce con un assolo alla…Slash! La formula è doppiata anche negli squarci acustici e d’atmosfera, per nulla edulcorata, della title-track, “Medusa”. Infine, l’arrembante dinamica di “I Want You”.
Se fatale requiem doveva essere per il cantante, difficilmente l’avremmo auspicato più convincente di “Medusa”, che lo restituiva apparentemente immune dalle troppe vicissitudini e degno di un passato incancellabile.

HAREM SCAREM: “Chasing Euphoria” (Frontiers)

Ho già ripetutamente sottolineato l’importanza basilare della scena rock canadese, già influente negli anni ’70 con celebrità – a differenti livelli – quali Rush, Triumph, April Wine, Frank Marino, nonché con irripetibili gruppi da culto a nome Alpha Centauri, Moxy, Teaze, Tantrum, Zon etc.
Espandendosi lo scenario nel decennio successivo, è cresciuta esponenzialmente anche una nuova generazione dedita all’hard rock melodico di varia natura (non vado oltre nelle diramazioni stilistiche); infatti, tralasciando gli artisti più noti o già trattati sul blog, con un’immersione random nel mio archivio discografico ritrovo album eccellenti di Coney Hatch, Haywire, Prototype, Wrabit, Toronto, The Box, Haywire, Qwest, 451 Degrees, White Wolf, senza dimenticare chanteuses come Luba o Alannah Myles, che visse momenti di gloria internazionale.
Raccogliendo la scia dei tanti predecessori, Harem Scarem hanno avuto il merito di affermarsi andando oltre la rigogliosa fioritura del rock anni ’80, incuranti dei tempi di crisi. Infatti il loro primo album omonimo per la WEA è uscito nello stesso anno (1991) di “Nevermind” dei Nirvana, notoriamente l’opera che sancirà la svolta verso scenari musicali preclusi alle sonorità “super-prodotte” della decade precedente. Ma due anni dopo, il secondo “Mood Swings”, il più memorabile della loro discografia, ha fatto sperare gli appassionati che potesse esserci ancora futuro per il rock melodico. La storia ha sancito che il rilancio è improbo (ovviamente a livello di grande pubblico), ma il gruppo fondato nel 1987 dal chitarrista Pete Lesperance e dal cantante Harry Hess (entrambi dal passato heavy metal) ha proseguito negli anni con regolari proposte discografiche, se si eccettua una pausa a cavallo del nuovo millennio, quando si ribattezzarono Rubber. Nel 2013 hanno allestito anche un’operazione nostalgica, registrando ex novo, il loro disco più rappresentativo, “Mood Swings II”, per celebrarne il ventennale. Il 25 aprile, in attesa di apparire da headliners della terza giornata nel Frontiers Festival 2025, Harem Scarem si ripresentavano con il nuovo “Chasing Euphoria”, cinque anni dopo l’ultimo album di studio, “Change The World” del 2020.
Hess e Lesperance restano i capitani coraggiosi della truppa, che annovera il consolidato batterista Creighton Doane e curiosamente, l’originale batterista Darren Smith ai cori.

Il singolo “Chasing Euphoria” è l’ideale anteprima dell’album: eleganti fraseggi di chitarra hard rock ma non troppo, soprattutto arrangiamenti vocali da applausi nel contagioso refrain. “Better The Devil You Know” ne ribadisce le stesse qualità, si tratta di una tipica commistione hard-AOR lontana da certe svolte recenti del rock melodico, soprattutto svedese, che strizzano l’occhio sia al mainstream attuale di Foo Fighters etc., oppure alla tendenza urlata a tutto volume del power metal. Qui l’impatto è raffinato e mai frastornante, eventualmente più dinamico in brani come “Slow Burn”, A Failing Knife” e nella conclusiva “Wasted Years”. Potevamo aspettarci qualcosa di più caratteristico dalla vera e propria ballata, “World On Fire”, ma questi veterani sono responsabili di un album in linea con la loro storia e di piacevole ascolto.

22 Commenti

  • Paolo Migliardo ha detto:

    Ciao Beppe
    Ti scrivo dopo aver ascoltato Ghost,Giant ed Harem Scarem.
    Sono andato a leggere praticamente tutte le recensioni a loro riguardo e mi sono convinto che chi scrive sui vari blog specializzati,nella migliore delle ipotesi non sanno di cosa scrivono.
    Che si parli di rock melodico o hard o heavy metal.
    Ai Ghost,nel bel paese non viene perdonato il loro successo su scala mondiale e quindi giù con le accuse di commercializzazione..come se chi suonasse black metal,non facesse dischi per essere venduti…
    Chi non ha apprezzato l ultimo dei Giant,lamentandone la distanza dai primi, probabilmente non ha letto neanche le note del booklet dove Dan Huff aleggia costantemente.
    Te la faccio breve Beppe..
    Torna a scrivere più spesso,da capire se un acquisto è buy or die!!!
    Si che con Spotify ascolti le news in diretta o quasi,ma il tuo commento è sempre la garanzia migliore per tutti noi old school..

    • Beppe Riva ha detto:

      Gentile (e deciso) Paolo, le tue parole mi fanno indubbiamente piacere, ma sai che non giudico l’operato altrui, non vorrei che qualcuno mi ritenesse “invidioso”. Inutile aggiungere che sul piano dei contenuti musicali citati, la penso come te. Ancora scrivo per il piacere di espormi ed avere lettori che apprezzano. Compatibilmente con i miei inevitabili impegni, mi piacerebbe davvero scrivere di più. E’ vero, noi siamo “old school” e meno male…Molte grazie.

  • Antonella Rossetti ha detto:

    Caro Beppe, io di adoro e mi gusto tutti i tuoi articoli e commenti. Permettimi solo di dissentire sui GHOST. Non ne faccio una questione musicale ma di progetto e di contenuti. I GHOST sono blasfemi, e questo mi urta profondamente. Ho visto il video di “Mary on a Cross” e l’ho trovato indecente. Lunga vita all’AOR e al nostro buon vecchio Heavy Metal anni 80 che ci faceva divertire e che anche quando scadeva in provocazioni di dubbio gusto non arrivava mai a toccare il Cristo o la Madonna. Almeno il mio Metal e credo anche il tuo. Con stima e affetto, ma i GHOST non fanno per me.

    • Beppe Riva ha detto:

      Cara Antonella, puoi dissentire su ciò che vuoi, non solo sui Ghost. Io ho sempre cercato di ascoltare la musica senza preconcetti, tieni presente che ho avuto un’educazione cattolica e non la rinnego, semmai la discuto, ma è un argomento troppo importante per liquidarlo in un paio di battute in questa sede. Ai tempi di Metal Shock mi sono dedicato con molta attenzione al Christian AOR. Però trovo che i Ghost siano più teatrali che satanici, anche se in origine erano molto più espliciti nell’oltraggio anti-religioso. Il video fumettistico di “Mary On A Cross” è grottesco, caricaturale, non brutalmente blasfemo come certo black metal, però non voglio farti cambiare idea, è giusto che rispetti le tue convinzioni. Io ho sempre avuto una predilezione per il dark sound (non necessariamente metal), dai tempi dei Sabbath e dei Black Widow e negli anni ’80 mi pare di aver (molto) contribuito alla fama di un gruppo rilevante in quest’ottica, tuttora di successo. Trovo ad esempio più vergognoso l’approfittarsi di molti musicisti di altri aspetti della fama (non vado oltre, si può immaginare). In ogni caso sono contento se trovi interessanti i miei scritti, “perdonami” se mi elettrizzano i Ghost. Grazie del tuo parere, sempre ben accetto.

      • Antonella Rossetti ha detto:

        Carissimo Beppe, ai miei occhi TU sei l’Heavy Metal non altri. Io sono una tua fan. E aspetto sempre un tuo libro che dia ragione al nostro essere stati metallari e al nostro sconcerto di fronte ad “evoluzioni” che hanno completamente mutato le sonorità e l’immagine stessa del Metal. Oggi comprerò una rivista di settore con in copertina i GHOST. Ma per me il riferimento resti tu. Il mio commento esprimeva un certo disagio per un mondo musicale oggi decisamente appiattitosi sulla tematica anticristiana. Un appiattimento che ai tempi di Sabbath e Black Widow, che ovviamente ho, ma anche dei Mercyful Fate non c’era. Ti prego di scrivere questo libro che dia ragione al “nostro” Metal. Solo TU puoi farlo e lo DEVI fare! Un abbraccio!!

        • Beppe Riva ha detto:

          Gentile Antonella, non sopravvalutarmi. In passato sono stato parte attiva di vari libri, erano altri tempi; oggi sono semplicemente un veterano che scrive su un blog condiviso con un vecchio amico per passione (zero titoli, o meglio…introiti). Però mi piace, quando ho tempo. Dubito che con la saturazione di pubblicazioni nel campo del rock attuale, ci siano editori disposti ad un’adeguata promozione per un lavoro del sottoscritto, senza la quale non si va da nessuna parte. Ho comunque dei validi contatti e se si finalizzasse qualcosa lo farò sapere senz’altro ai miei affezionati lettori (del Blog) che sempre ringrazio del supporto. Anche a te vanno i miei special thanks, se ti fa piacere.

  • Fulvio ha detto:

    Ciao Beppe,
    Grazie per il sempre gradito e ricco carnet di “Riviews”.
    Smith Kotzen è un grandissimo disco di hard blues che mi ha piacevolmente stupito.
    Non è scontato che le collaborazioni tra “big” forniscano sempre il risultato sperato ma in questo caso la formula è azzeccata e vincente.
    Ghost: non hanno mai più di tanto catturato la mia attenzione e questo senza apparenti motivi fondamentali…redarguito per l’ennesima volta da mio figlio ho approcciato questo nuovo lavoro potendo affermare due cose: sicuramente è il loro lavoro che più mi aggrada (probabilmente per le sue coordinate stilistiche) e altrettanto sicuramente non mi fa impazzire la voce di Tobias Forge (gusti personali, ovviamente).
    Harem Scarem: sono un assoluto fan della musica “made in Canada” (Rush in primis) e, con l’unico scopo di avvalorare la tesi, mi permetto di aggiungere Saga, Honeymoon Suite, Devin Townsend, Glass Tiger e Loverboy alla lista dei gruppii “canuck” da te citati (ce ne sarebbero ovviamente altri…).
    Chasing Euphoria è un disco gradevole, inutile cercare le vette compositive dei due primi lavori che non torneranno più: comunque si ascolta con piacere ed ha un livello medio dei brani piuttosto buono.
    Giant: attendo ovviamente l’uscita per l’ascolto.
    Sono scettico (o forse prevenuto) sul “post Dan Huff & Alan Pasqua”.
    I cambi di cantante e/o l’assenza delle menti compositive mi destabilizzano un po’ (idem posso dire degli House of Lords post Giuffria) ed inoltre non mi fa impazzire il concetto di cantanti, pur bravissimi, che prestano l’opera simultaneamente in gruppi diversi e con simili coordinate stilistiche.
    Devo comunque dire che i singoli apripista sono buoni e questo aumenta il livello di fiducia…staremo a sentire.
    Russell – Guns: adoro i Great White, meno gli L.A. Guns…questo lavoro non l’ho per ora ascoltato, forse lo farò ma per ora non mi pronuncio…

    Grazie dell’attenzione e alla prossima,
    Un saluto

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Fulvio, anche le tue opinioni sono puntuali ed evidentemente schiette. Vero, non sempre le collaborazioni fra celebrità sono ben riuscite, ma anch’io trovo che Smith e Kotzen si integrino brillantemente, pur con caratteristiche differenti; e meno male, così le rispettive personalità non si sovrappongono in termini scontati. Sui Ghost ho poco da aggiungere. Si sa, hanno molti “oppositori”, ma mi fa sorridere che alcuni fenomeni social li mettano alla berlina usando un termine che va molto di moda: “divisivi”! Scusate, ma io negli anni ’70 ero pienamente nell’età della ragione, e sapete come erano “divisivi” i Sabbath o gli EL&P? Perché invece negli anni ’80 gli appassionati del thrash metal apprezzavano anche il cosiddetto hair metal o viceversa? Suvvia! Motivate il perché i Ghost non vi piacciono e spiegate cosa invece c’è in giro che vi entusiasma! Ovviamente l’appunto non è rivolto a te, che come chiunque sei libero (sulla base dell’esperienza maturata) di scegliere cosa ascoltare, ma a certi specialisti in sentenze. Certo, la scena canadese è stata (molto) e resta interessante, i nomi di valore sono numerosi, ho evitato di citarne alcuni già trattati sul blog (Loverboy, Refugee, Orphan etc.) ma ce ne sono tanti altri. Per quanto riguarda i Giant ti capisco, ma tre brani sono stati scritti da Dann Huff ai tempi…Il cantante è lodevole, vero è che troppi scambi di personale fra gruppi diversi non è una prassi che apprezzo a mia volta. Gli House Of Lords con Mangold (un gran tastierista storico) sono un ottimo team, ma Giuffria ne era il leader indiscusso e si sentiva, eccome. Grazie a te!

  • Maurizio ha detto:

    Come sempre ottime indicazioni per gli ascolti. Ho sempre seguito i Great White e l’uscita del lavoro di commiato di Russel mi intriga molto, vista anche la partecipazione di Tracii, e vedrò di reperirlo, così come ho fatto per la Night Flight Orchestra nella scorsa Riviews, anche se la coppia di Aeromantic non mi aveva folgorato più di tanto. Parlando di Rock mutante vengo da un terremotante concerto di un gruppo che festeggiava il 50° di attività nelle varie formazioni, i Riot (V), e nonostante la grandezza dello show sono uscito dal locale inviperito per aver visto un live act di tale livello, infarcito di classici immortali (perfino Restless Breed !!!) in un locale di capienza poche centinaia di persone, di cui gran parte mie coetanee (sigh!). Quanto è stato ingiusto il fato in tutta la storia di Reale & C…come lo fu anche per gli Angel e tanti altri QUASI famosi. Visti emeriti carciofi zampettare in autotune con di fronte migliaia di pecore belanti in estasi c’è da fare un ragionamento approfondito sulla cultura musicale odierna e lo stato del rock, come già fate Voi con grande competenza. Però Thor ci ha fatto capire che è vivo e combatte.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Maurizio, è un destino piuttosto diffuso che formazioni da noi considerate “epiche” nei loro anni di maggior gloria (ad esempio, non dimentichiamo che gli Angel negli anni 70 avevano uno show d’avanguardia, che purtroppo non ho mai visto), si riducano poi, anche nel caso dei Riot citati, ad esibirsi in piccoli club. L’emozione per il fan c’è sempre, ma ovviamente spiace. Purtroppo bisogna rassegnarsi al fatto che gli “emeriti” di successo riempiano gli stadi, tant’è che artisti di maggior spessore (ci piacciano o meno) combinano con loro degli ignobili “featuring” per condividerne i dividendi commerciali. Si, ci riflettiamo da anni, ma le nuove generazioni abbracciano queste proposte, non ci resta che “difendere” le nostre convinzioni. Grazie, alla prossima.

  • Lorenzo ha detto:

    Buongiorno Beppe.
    Grazie per queste recensioni che illuminano il mondo della critica musicale di settore, e che attendo sempre con grande piacere ed impazienza, e che hanno il potere di riportare me e credo anche tantissimi altri ascoltatori ed appassionati ad un periodo che abbiamo tanto amato e che oggi ricordiamo con inevitabile nostalgia; ovvero gli anni pre-internet, delle riviste cartacee sfogliate, l’attesa dell’uscita dei dischi senza anteprime on line. In tutto ciò sei stato irripetibile cantore che accompagnava (e fortunatamente accompagna ancora) l’ascolto dei dischi stessi, e per quanto mi riguarda nessuno potrà mai eguagliare la tua prosa.
    Venendo agli ascolti di questa “puntata”, sono già in possesso da una settimana del nuovo Ghost e non ha deluso le mie aspettative; sono lieto che tu lo abbia trovato pienamente all’altezza della loro ormai planetaria fama. Leggo in giro pareri contrastanti e devo dire generalmente poco entusiasti, tra le recensioni in italiano.
    Temo che ai Ghost non perdonino il successo che stanno avendo, anche in relazione al fatto che hanno parzialmente abbandonato il metal, spostando la barra musicale verso un particolare melange di rock melodico e atmosfere umbratili alle quali mi pare che anche tu faccia riferimento.
    Accolgo con piacere il ritorno di un nome storico come i Giant, anche se alle mie orecchie rimane solo il nome o poco più; Giant per me vuol dire Dann Huff e quei due dischi pazzeschi e inarrivabili (Last of the Runaways e Time to Burn), di conseguenza non sono in grado di associare quel nome ad altri musicisti. Limite mio, con il quale mi scontro regolarmente quando si parla di monicker storici dell’ AOR.
    Ho un ricordo contrastato dell’esordio Smith/Kotzen; mi aspettavo (per nessun motivo particolare) una reprise di ASAP e mi ritrovai un solista di Kotzen con qualche timido intervento di Adrian Smith. Motivo per cui rimasi deluso. Non ho invece ascoltato nulla dell’ultimo disco e approfondirò. Farò lo stesso con Harem Scarem, di cui amo molto i primi due dischi, che uscirono fuori tempo massimo all’inizio degli anni 90, e che furono conforto per tanti ascoltatori rimasti orfani di un intero genere praticamente dalla sera alla mattina.
    Tra l’altro sono una live band strepitosa.
    Giusto il tributo a Jack Russel, frontman di una band che sostanzialmente non ha mai sbagliato un disco fino a Psycho City compreso, vale a dire l’ultimo disco uscito con il supporto di una major (giusto per ribadire che questo genere di proposta ha bisogno di produzioni deluxe per rifulgere a dovere).
    Robert Plant è sempre stato molto critico (se non apertamente scontroso) con le band e di conseguenza con i cantanti che cercavano di imbrigliare e riproporre il sound dei Led Zeppelin. Pensiamo alle periodiche schermaglie con David Coverdale che risalgono agli anni 70.
    Nel caso dei Great White e di Jack Russel in particolare, ricordo invece che Plant stesso lo definì “molto bravo”…un apprezzamento che immagino Jack si sia a suo tempo appuntato come una preziosa stelletta.
    Grazie ancora per questi scritti.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Lorenzo, anche da parte tua un excursus molto completo sulle ultime Riviews presentate. Sui Ghost, al di là del metal che pesa più o meno (una diatriba questa che va avanti da decenni) posso dirti quanto segue: parli dello scarso entusiasmo dei siti/riviste italiane a riguardo? Bene, se nel 1979, quando c’erano solo riviste cartacee (ed io mi “esercitavo” da qualche anno per interesse personale), iniziai a scrivere, se mi fossi preoccupato di ciò che veniva apprezzato dalla stampa italiana, non avrei battuto i tasti della macchina da scrivere. Importante è andar avanti con le proprie idee e saperle esprimere. A proposito dei Giant, ci sono composizioni di Dann Huff, ovviamente registrate dal nuovo gruppo, che vale la pena ascoltare. Che Plant non abbia stroncato il suo emulo Jack Russell è stato davvero un evento! RIP, Jack…Grazie a te per l’approfondito intervento.

  • Giuseppe ha detto:

    Grande Beppe, aspettavo ansiosamente la tua recensione sul nuovo Ghost con cui mi trovo abbastanza d’accordo, anche se un po’ mi manca la “spinta” di brani tipo Con Clavi Con Dio, Year Zero o la stessa Rats … bellissima Marks Of The Evil One, spero sia eseguita dal vivo domenica al Forum … comunque mi aspetto che tutto l’album cresca nella mia considerazione con i ripetuti ascolti … sul resto mi hanno favorevolmente colpito sia i Giant che Smith/Kotzen, credo che darò una chance a entrambi i dischi … chiudo con una nota personale di rammarico legata al mancato appuntamento con lo show di Michael Schenker a Milano, che avviene mentre scrivo il giorno prima del mio arrivo… davvero un peccato, no?

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Giuseppe, tutti i gruppi importanti hanno realizzato “classici” che ci restano dentro; quando i Deep Purple escono periodicamente con nuovi album, non è che non ci tornino in mente “Speed King”, “Child In Time” o “Highway Star”, impossibile! Nondimeno, si può apprezzare il nuovo materiale, quando è valido, per differenti caratteristiche. Ripetere ad nauseam lo stesso disco sarebbe tedioso…I migliori sanno sempre reinventarsi, poi ognuno ha le proprie preferenze. Purtroppo non riesco più ad essere assiduo ai concerti, perdersi Michael Schenker spiace, come no? Grazie del commento.

  • Paolo Mon ha detto:

    Caro Beppe,
    queste tue chicche sulle produzioni odierne sono una boccata di ossigeno necessaria.
    Recensioni che riescono a far ascoltare il disco anche a chi il disco ancora non l’ha ascoltato.
    Sui Ghost, con me, non fai molta fatica, visto che spendo i miei soldi per loro sin dal debutto e francamente se ora sono meno oscuri degli esordi me ne frega una cosa giusta.
    Sino a quando ci offrono musica per la quale vale la pena spendere i propri soldi, avrò sempre tempo e danaro per loro.
    Smith/Kotzen…
    Uhm…
    L’esordio mi era piaciuto tantissimo ai primi ascolti anche se devo ammettere che l’entusiasmo man mano era un pò calato anche se ritengo Scars un capolavoro straordinario.
    Io adoro l’hard rock, quello fumante, lavico, torrenziale, eppure non sono mai entrato in sintonia con Kotzen.
    Chitarrista straordinario, cantante fuori parametro, ma ho sempre avuto la sensazione che i suoi assoli non c’entrassero mai o quasi mai una fava con il pezzo; come se non riuscisse a dominare la sua natura di shredder.
    Il brano ha una struttura classicamente hard rock blues?
    Perché infilarci un assolo al limite della fusion con 100 note al secondo?
    In poche parole, trovo molto più a suo agio e centrato Smith, il che è paradossale.
    E visto che mi ho appena dichiarato amore all’hard rock ovviamente i Great White li conosco, li apprezzo, e me li godo in lungo e in largo.
    Ma ero dubbioso sul progetto con Tracii Guns.
    Letta la recensione, è partito l’ascolto.
    Faccio ammenda e domani procedo con l’ordine.
    Tutto torna come all’inizio del post: c’è bisogno delle tue chicche.
    Degli Harem Scarem ho alcune cose e li ho sempre apprezzati.
    I Giant non riescono a solleticarmi.
    Ho l’esordio e mi è bastato.
    Non nascondo che mi piacerebbe che questa tua rubrica diventasse un appuntamento fisso perché la curiosità non è ancora finita, ma c’è bisogno di stimoli.
    Grazie
    PS: leggeremo a breve qualcosa del tuo collega di Blog? Le sue dritte sugli album live sono state le letture più interessanti degli ultimi anni.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Paolo, i lettori più assidui sono prevalentemente, e mi fa piacere, ben collaudati da ascolti di lunga data; per esempio la tua digressione su Kotzen ben riflette il tuo punto di vista, ed io non contesto mai opinioni fondate. Posso essere in disaccordo, ma se un artista pur bravo non convince, succede (capita a me per molti nomi famosi). Poi se mi dici che le mie sono “recensioni che riescono a far ascoltare il disco a chi il disco non l’ha ancora ascoltato…” eeehhh solletichi la mia vanità, che comunque non raggiunge i vertici delle “penne” che vanno per la maggiore! Sto cercando, anche se impegnativo (e lo vedi dalla cronologia delle pubblicazioni) di rendere le Riviews una rubrica dalla scadenza accettabile, ci tengo però a dar spazio anche ad altro. Farò del mio meglio e ti ringrazio davvero della stima.
      Nota importante: E’ evidente che Giancarlo manchi da tempo sul Blog, l’ho sollecitato più volte perché RATB è nato per noi due (anzi, tre, il regista dietro le quinte che non c’è più). E’ assente per cause di forza maggiore ma spero che anche la tua osservazione, che certo gli trasferirò, serva a motivarlo.

  • francesco angius ha detto:

    Ciao Beppe ho già da un po’ ascoltato l’opera di SMITH/KOTZEN e l’ho trovata ottima, niente di nuovo (ma chi lo cerca visti i chiari li luna) ma rock blues a alto voltaggio ben suonato, ben cantato e vario. Mi era piaciuto anche il primo Lp (come sono antico!) , ma questo è forse più centrato e a fuoco.
    Medusa di Russel/Guns lo avevo sentito appena uscito e anche per quello le sensazioni erano state buone. Mi dispiace della sua dipartita perchè ho tutti i dischi dei Great White che comprai su tuo suggerimento (vedi riviste) e sono stati una bella scoperta dell’epoca.
    Purtroppo faccio fatica a ascoltare i Ghost (sono forse un po’ limitato!!!).
    I giant li cerco subito.
    Grazie delle recensioni
    A presto.
    (I complimenti non te li faccio più, sono scontati….)

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Francesco, sono d’accordo, anch’io apprezzo maggiormente il nuovo Smith/Kotzen. I Great White e Jack sono stati un pezzo di storia dell’hard rock anni ’80 e per questo ti consiglio di ascoltare anche “Skeletà”, che potrebbe dare nuovo impulso alla grande tradizione AOR di quel decennio. Se poi non ti piace, amen! Dei Giant ho appena inserito il nuovo singolo, uscito da meno di un’ora: notevole! Grazie per esser sempre “sintonizzato”!

  • Alessio ha detto:

    Grazie per la recensione track-by-track dei Ghost, Beppe, in effetti la stavo aspettando e non hai tradito le mie attese. Non ho ancora ascoltato l’album, ma la voglia è salita. Sulla popolarità del gruppo, boh…, io ho sempre la percezione che si tratti di musica di nicchia, strettamente per appassionati, al di là dei dati di vendita: se chiedo in giro nessuno li conosce, almeno nel mio angolo di mondo. Che ne dici degli ultimi lavori di Palace e Streetlight?

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessio, verosimilmente in Italia Ghost sono ancora un gruppo di nicchia, verificheremo domenica al Forum se dopo il film, è aumentato anche il pubblico al concerto. In America, Svezia ma anche nella stessa Inghilterra il fenomeno è di primo piano. Per quanto riguarda Palace e Streetlight, non mi piace stilare giudizi sommari: certo si collocano con competenza nel filone retro-AOR;non li trovo particolarmente “caratteristici” ma si ascoltano volentieri. Grazie di esserti esposto.

  • Alessandro Ariatti ha detto:

    Ciao Beppe. Condivido assolutamente il tuo lusinghiero giudizio nei confronti dei Ghost, ed il nuovo album accende a mio parere entusiasmi 80’s fin troppo sopiti da troppi anni di suoni standardizzati. Così come avevano fatto i due precedenti Prequelle ed Impera, che hai giustamente definito FM/AOR mutante. Mi fa piacere pure il recupero di Medusa, non solo per l’omaggio al grande Jack, ma anche perché si tratta di un buon album. Devo ancora ascoltare Giant e Harem Scarem, ma sono già nel “mirino”.

    • Beppe Riva ha detto:

      Ciao Alessandro, da sempre proliferano polemiche sulla musica rock buona e meno buona. Credo che poi il tempo faccia giustizia e dimostri ciò che ha lasciato un segno oppure no. Della qualità delle composizioni, gravemente carenti in tante formazioni che vanno per la maggiore, i Ghost hanno fatto uno dei loro punti di forza. Ovviamente lo spettacolo teatrale ha molto contribuito al loro successo. Un “ricordo” di Russell mi era stato sollecitato, questa ristampa è servita allo scopo. Tante grazie.

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