FATALE 1970, TRIBUTO AD UN’ANNATA MIRACOLOSA
Nei tortuosi meandri della memoria risiede abbondanza di particolari per illustrare gli incontri con la musica preferita; senz’altro ricordo perfettamente quel “fatal 1970”, così determinante per la deflagrazione dello scenario hard rock e progressive, che si espandeva con effetti pirotecnici dall’Inghilterra sull’intero continente europeo.
Nella mia adolescenziale incoscienza, trascuravo che nell’aprile dello stesso anno si erano sciolti i Beatles, gli ambasciatori della rivoluzionaria cultura pop… Ma iniziando il Liceo, ero rimasto fulminato dalle trame più segrete e dalle rinnovate ambizioni della “musica Underground”: ogni pomeriggio mi mettevo in ascolto di Per Voi Giovani, programma radiofonico nazionale condotto da future celebrità della stampa specializzata come Massarini e Fegiz, con la supervisione del compianto Paolo Giaccio.
Bastava sintonizzarsi su quelle frequenze per scoprire dischi fondamentali che in quella memorabile annata uscivano a ritmo incessante: LP che cito in ordine sparso di Black Sabbath, Led Zeppelin, Deep Purple, Uriah Heep, The Nice, King Crimson, Jethro Tull, Pink Floyd, Traffic, Genesis, Van Der Graaf, Gentle Giant e dei miei diletti Emerson, Lake & Palmer. Tutti artisti di indiscutibile levatura, che hanno lasciato tracce profonde ed influenzato l’avvenire del rock, indipendentemente dai livelli ben differenti di successo.
Accanto ai classici di questi riconosciuti eroi, ce n’erano altrettanti da culto che per me, per tanti appassionati, avevano un valore personale talvolta superiore. Ecco dunque, sempre targati 1970, altri esemplari di specie rara, “incroci” meno propagandati fra heavy e prog: la magia occulta dell’esordio dei Black Widow, “Sacrifice”, le tempestose onde di musica pesante del secondo High Tide, la fusione ciclonica di tastiere e chitarra a tutto volume di “Death Walks Behind You” degli Atomic Rooster.
THE QUATERMASS XPERIMENT
Infine, ma non certo per importanza, l’opus eponymous dei Quatermass, un “solitario” e fondamentale 33 giri che identifica come pochi altri l’era progressive. Lo stesso si può dire dell’iconica immagine di copertina, dove preistorici pteranodonti volteggiano fra grattacieli simmetrici, proiettati verso il cielo: geniale invenzione di Storm Thorgerson (studio Hipgnosis) che mesi dopo incornicerà il ben più celebre “Atom Heart Mother” dei Pink Floyd.
Grazie alla radio ho conosciuto la portentosa “Up On The Ground”, strutturata su un riff incalzante d’organo che poi lascia spazio all’improvvisazione (il modello imposto dagli EL&P nella più concisa “Knife Edge”) ma con un dinamismo ed un duro impatto sonico, degno dei Deep Purple di “In Rock”.
D’accordo, i Nice di Emerson ed i Purple di Jon Lord l’avevano sperimentato in passato, ma non in questa forma “definitiva”. “Quatermass” usciva per la Harvest in maggio, il mese successivo sarebbe stata la volta di “In Rock” e per l’omonimo “EL&P” avremmo atteso fine novembre. A suo modo, il trio costituito a Londra aveva prefigurato la versione modernista dei supergruppi citati!
John “Gus” Gustafson si era guadagnato la reputazione di bassista secondo solo a Paul McCartney sulla scena di Liverpool, avendo suonato negli anni ’60 con Cass & The Casanovas, The Big Three e The Merseybeats; come cantante aveva ben figurato nel cast dell’originale “Jesus Christ Superstar” (MCA, 1970), dove si era distinto lo stesso Ian Gillan.
A sua volta, Mick Underwood era un collaudato batterista; giovanissimo, aveva conosciuto Ritchie Blackmore nei Dominators, affiancandolo di nuovo negli Outlaws. Mick fece parte degli Herd prima dell’arrivo di Peter Frampton, e quandò si unì agli Episode Six, fu lui a consigliare Gillan a Blackmore, in cerca del cantante ideale per i Deep Purple.
Ma la vera stella nascente era John “Pete” Robinson, reduce da studi classici alla Royal Academy Of Music, apprendistato ideale per un virtuoso tastierista della nascente scena prog, che già si era messo in gioco nel gruppo di Chris Farlowe. Anche lui aveva suonato in “Jesus Christ Superstar”.
Gustafson, Underwood e Robinson si erano ritrovati nella line-up “terminale” degli Episode Six; la fine era infatti decretata dalla partenza di Gillan e di Roger Glover alla volta del quintetto di “In Rock”.
L’assetto triangolare e la nuova direzione musicale inducono nel settembre 1969 la metamorfosi a nome Quatermass (scienziato protagonista di un famoso ciclo fantascientifico della Hammer, la compagnia di produzione degli horror britannici). Il primo della serie si chiamava The Quatermass Xperiment, ed anche il trio, cogliendo in pieno lo spirito innovativo dell’epoca, puntava ad attuare il proprio “esperimento”: forgiare un sound dominato dalle tastiere in quanto Robinson si dichiarava ispirato dai Nice, ma con la forza d’urto del rock duro. Di fatto un power trio senza chitarre, come scrivevo su Rockerilla n.44, Aprile 1984 (nella mia prima serie di recensioni su classici LP del passato), qui allegata.
Vennero scritturati dall’A.I.R. London di George Martin, proprio il mentore dei Beatles, che gli assegnò il produttore svedese Anders Henriksson e l’ingegnere del suono Jeff Jarratt, ai quali molto si deve dell’impressionante suono dell’album, registrato negli studi di Abbey Road (ed in parte negli Advision).
LA SEQUENZA DEI BRANI
Ad Abbey Road, sede degli uffici di Martin, i Quatermass incontrarono i Pink Floyd, impegnati nella creazione di “Atom Heart Mother”, e scoprendo un imponente Moog già utilizzato dai Beatles, il solo Pete Robinson diede vita al soffuso, fugace preludio strumentale “Entropy”, inghiottito dalla spirale che accende il martellante hard rock di “Black Sheep Of The Family”; la voce di Gus detta il ritmo ed alle sue spalle l’organo Hammond di Robinson si agita febbrilmente; se in un capitolo a parte vi riferiamo di precedenti versioni, si può ben capire perché Ritchie Blackmore impugnò quest’ultima, lanciandola come pietra dello scandalo contro l’unità dei Deep Purple Mark II…Al rifiuto dei compagni di inciderla, il collerico chitarrista se ne andò ed i suoi Rainbow la ripresentarono sull’album d’esordio (1975).
Dopo un solenne prologo alla Nice, “Post War Saturday Echo” si risolve in un blues visionario, fantascientifico come avrebbero potuto risolverlo i Pink Floyd; l’atmosfera apocalittica è fomentata da Gustafson, che canta “The city is a ravin’ neon nightmare, Freudian symbols lay my soul bare…” e la sua voce è avvolta da un’eco che sembra allontanarla su un livello distante, quasi ultraterreno.
E’ poi la volta della pastorale “Good Lord Knows”, una delicata melodia misticheggiante disegnata dal clavicembalo di Robinson, che si evolve in un crescendo di strumenti ad arco ed è suggellata dal delicato arpeggio di Steve Hammond alla 12 corde.
Il clima di quiete è spezzato dall’irruzione di “Up On The Ground” di cui si è già parlato in apertura…L’impeto dei musicisti è sbalorditivo: Gus canta con la sua più aggressiva enfasi rock, il lavoro al basso è virtuosistico e gli stacchi e riprese del drumming di Underwood sollecitano la furiosa dinamica del brano, dimostrando perché Gillan lo sceglierà facilmente come motore ritmico della sua banda.
In apertura di seconda facciata, “Gemini” è un altro vertice heavy-prog dalla ritmica dirompente; si adagia nella rarefatta atmosfera delle tastiere per poi riprendere il suo assalto pressante con scale frenetiche, impreziosite da fraseggi di piano à la Vincent Crane; Pete completa l’opera con un assolo di organo Hammond autenticamente selvaggio…In questa specialità, a mio avviso è stato l’unico in grado di rivaleggiare con Keith Emerson. Solo in Italia “Gemini” é uscita come facciata A di un 45 giri, con “Black Sheep” sul retro (’71).
Dopodiché giungono le composizioni più dilatate e sperimentali: la prima é “Make Up Your Mind”, che ammalia con l’aspetto seducente di una melodia ad ampio respiro, ma improvvisamente svela un lato incubico, e le tastiere spalancano un vortice verso il terrore nello spazio profondo; sono convinto che queste sonorità influenzeranno l’ambientazione dark di una delle più grandi opere del progressive italiano, “YS” del Balletto di Bronzo (1972). Nella ristampa Esoteric questa lunga porzione strumentale, che esalta anche l’effetto “cavernoso” del basso, viene ribattezzata “What Was That”, ma noi restiamo fedeli alla stesura originale, che si ricompone con le stesse armonie vocali che l’hanno introdotta.
L’album si chiude con un’oscura pièce sinfonica, “Laughin’ Tackle”, animata dal tocco prog-jazz di Robinson, che è autore dell’arrangiamento orchestrale di ben 31 strumenti ad arco e a corde, diretti dal prestigioso Paul Buckmaster. Qui si chiude il cerchio (di vinile) e si può ben dire che con questo brano, il trio avrebbe realizzato un’ideale colonna sonora per i film di Quatermass! Il suggello finale spetterà alla breve “Entropy (Reprise)”, intonata da un’angelica voce femminile.
LA FINE DEL SOGNO, LE STRADE SEPARATE
In Inghilterra il disco fu accolto molto positivamente: il Melody Maker lo additò ad eccezionale esempio del livello di sofisticazione e libertà raggiunto dal rock di quell’epoca, ed anche la rivista concorrente Disc And Music Echo si allineò sulle stesse posizioni, parlando dei Quatermass come musicisti preparati, “furiosamente eccitanti”, di elevata integrità ed originalità.
Nonostante ciò, furono rarissime le loro apparizioni dal vivo in Gran Bretagna: da ricordare un concerto a Liverpool come supporto dei Deep Purple. Più soddisfacenti i tour in Svezia e soprattutto in Germania, un paese prodigo di attenzioni per gruppi inglesi sottovalutati in patria. Lì affiancarono gli Uriah Heep, che presentavano l’album d’esordio “Very ‘eavy very ‘umble” (vedi poster).
Quatermass si imbarcarono anche verso gli Stati Uniti, riscuotendo altri elogi: Cash Box, antagonista del più famoso Billboard, scrisse di un album da ascoltare dall’inizio alla fine, fra i migliori dell’anno. Nondimeno, L.A. Free Press lo caldeggiò come un disco unico per inventiva ed in anticipo rispetto ai tempi.
Si esibirono anche in locali famosi: al Fillmore East (New York), Fillmore West (San Francisco) ed a fine anno al Whisky A Go Go di Los Angeles. Come mi rivelò Mick Underwood nell’81 (a Milano con la Gillan Band) problemi manageriali portarono al fallimento del gruppo, che pochi mesi dopo era praticamente costretto a sciogliersi. Lo split ufficiale avvenne nell’aprile 1971.
Pete Robinson andò a coltivare le proprie ambizioni nei Come To The Edge di Stomu Yamash’ta, senza però lasciar tracce, suonò nell’omonimo album di Zakarrias (un cult su Deram, 1971); poi si convertì apertamente al jazz-rock, con Suntreader e nei Brand X di Phil Collins, dove coglie il maggior successo. Uno “stregone delle tastiere” di quel livello era in grado di fare letteralmente ciò che voleva, lo conferma il suo enorme lavoro da session-man negli anni 70 e 80, fra gli altri con Yvonne Elliman, Shawn Phillips, Carly Simon, Clapton e con lo stesso Collins solista.
John Gustafson raggiunse gli ex-Atomic Rooster, John DuCann e Paul Hammond, in un supergruppo hard rock dai natali piuttosto travagliati. La formazione embrionale si chiamava Daemon (un CD postumo per collezionisti su Kissing Spell, “The Entrance To Hell”) poi Bullet, e con il nome definitivo Hard Stuff incisero due album per la Purple Records (1972/73): “Bulletproof”, un classico per conoscitori, vale più del successivo “Bolex Dementia”.
Inevitabilmente, Gus sarà a sua volta un ricercato session-man (Kevin Ayers, Shawn Phillips, Ian Hunter, Steve Hackett, Rick Wakeman…) e farà parte degli svedesi Baltik, dei Roxy Music e della band di Gillan. Nel ’75 aveva registrato un album solo palesemente funky, “Goose Grease”, rimasto inedito fino al CD su Angel Air del 1997. Disgraziatamente, Gustafson si è spento nel settembre 2014, all’età di 72 anni.
Intenso anche il futuro di Mick Underwood: dopo il breve flirt con i Peace di Paul Rodgers nel ’71, interrotto dalla riunione dei Free, il batterista inciderà con Sammy, Strapps e notoriamente, Gillan.
Nel 1997 apparve sul mercato un illusorio “Quatermass II: The Long Road”; Underwood lo allestì insieme a Nicky Simper, ex bassista dei Deep Purple e dei Warhorse, con ospite Don Airey, tastierista che non necessita di presentazioni. Edito da Thunderbird/RPM, includeva anche due composizioni di Gustafson, ma nulla aveva da spartire con il progetto originale; si trattava di hard per FM di buona fattura. A posteriori il batterista, ancora attivo con i suoi Glory Road, ammise che la scelta del nome fu un passo falso.
All’epoca di QII, la RPM annunciò anche un Live del trio originale, forse una registrazione di Radio Luxembourg, che non venne più pubblicato. E’ reperibile un bootleg su doppio CD, “Monster In Paradise”, mentre in rete si può ascoltare il concerto denominato “A Phantom Pteranodon (Live in Berlin, March 4th, 1971)” dalla resa sonora inadeguata ad una pubblicazione ufficiale.
La saga dei superbi Quatermass, estinti come i rettili volanti che li identificarono, finisce qui.
STEVE HAMMOND, L’“ENIGMATICO” QUARTO MEMBRO
Sicuramente quell’isolato LP non avrebbe avuto lo stesso valore senza il contributo, generalmente trascurato, di Steve Hammond, chitarrista e compositore trasferitosi dal Canada a Londra in cerca di gloria, nella prima metà degli anni ’60.
Hammond aveva stretto amicizia con Blue Weaver (futuro tastierista di Amen Corner e Strawbs) nella band di Tawny Read, poi era riuscito a pubblicare due singoli da solista per la Pye, “World Is Wrapped Around My Neck”, ambientato nella corrente mod (1966) e l’anno dopo “I Think We’re Alone Now”, entrambi finiti nel calderone del gran fermento pop.
Un deciso passo in avanti lo compie nel ’68, scrivendo un singolo per Chris Farlowe, “Dawn”, che apparirà anche nell’album “The Last Goodbye” (Immediate, 1969).
Steve aveva già conosciuto Pete Robinson nei Thunderbirds del futuro cantante dei Colosseum; inoltre suoneranno insieme nell’album di Chris Farlowe with The Hill, “From Here To Mama Rosa” (Polydor, 1970) dove Hammond fa la parte del leone in sede compositiva. Sicuramente entrambi figurano fra i musicisti dell’album di Mick Farren dei Deviants, “Mona” (1969) e in “Get Rolling” di Chris Barber, pubblicato più avanti, nel ’71: stavolta c’è la firma di Hammond sulla title-track.
Queste comuni esperienze hanno verosimilmente convinto Robinson a coinvolgere Hammond nella stesura del repertorio dei Quatermass, ma senza inserirlo in formazione, perché il modello perseguito era quello dei Nice, con totale libertà per le tastiere. I tre brani di Hammond, “Black Sheep Of The Family”, “Gemini” e “Make Up Your Mind” sono comunque di grande rilievo e nei primi due l’artista canadese vi contribuisce ai cori, suonando invece la chitarra acustica in “Good Lord Knows”.
Prima di uscire come singolo d’esordio del trio, “Black Sheep Of The Family” era già apparsa con titolo abbreviato (“Black Sheep”) sul citato LP degli Hill e come facciata B del singolo “Highway” dei Fat Mattress di Noel Redding (uscito nel settembre 1970, il mese che diede i natali ai Quatermass!).
Hammond si era unito a loro poco prima che l’ex bassista di Hendrix, lasciasse per formare i Road.
Curiosamente, il doppio CD alla carriera dei Fat Mattress, Anthology (2000, Castle) verrà intitolata proprio “Black Sheep Of The Family”, e ne include l’interessante versione prettamente acustica, con punteggiature acid rock della chitarra.
“Gemini” era invece apparsa nell’album di Eric Burdon con i (New) Animals a fine corsa, “Love Is” (MGM 1968): l’interpretazione del cantante non tradisce la sua straordinaria fama ed anche le oniriche allucinazioni strumentali di stampo psichedelico rendono la prolungata cover degna di nota.
“Make Up Your Mind”, il terzo contributo di Hammond, risulta invece esclusivamente sull’album dei Quatermass.
La carriera del chitarrista di gentile aspetto, che vediamo raffigurato nella foto mentre suona il banjo, proseguirà senza particolari fortune ma con continuità negli anni a venire, fino al trasferimento in California, nel 1989. Purtroppo sarà anche la sua destinazione finale…
Si tratta di uno di quei personaggi schivi, marginali, che hanno contribuito ad erigere le solide fondamenta del rock passando quasi inosservati, ma come avrete appurato, con un curriculum davvero consistente. A maggior ragione merita di essere ricordato.
UN MUCCHIO DI…RISTAMPE
Iniziamo col segnalare che già nel lontano 1975, la Harvest aveva riedito il 33 giri nella serie Heritage, divenuto di interesse collezionistico per l’illustrazione a colori della copertina, completamente differente.
Con il boom delle ristampe di rock classico all’inizio degli anni 90, la regina incontrastata in quel periodo era l’etichetta tedesca Repertoire, che nel 1990 ha licenziato per la prima volta su CD l’album dei Quatermass, con due brani aggiuntivi, “One Blind Mice”/”Punting”, ossia gli inediti del singolo pubblicato solo in Germania nel 1971, prima dello scioglimento. Vale soprattutto la trascinante prima facciata, unico lascito delle incompiute sessioni per il secondo album.
La Repertoire pubblicò contemporaneamente una fedele riproduzione in vinile dell’originale 33 giri, con copertina apribile e busta interna valorizzata dalle foto del trio, ma senza tracce bonus.
Nel 1996 ancora gli specialisti di Amburgo pubblicano una perfezionata versione CD, stavolta con modifiche grafiche dello stesso Storm Thorgerson. L’elenco dei brani è inalterato, il restyling più appariscente riguarda il libretto interno: sorprendentemente propone vari scatti fotografici molto simili agli impianti chimici della copertina di “Ammonia Avenue”, album dell’84 di Alan Parsons. Le immagini rendono a tratti scarsamente decifrabili i testi dei brani e le esaurienti note di copertina dell’illustre Chris Welch.
La stessa Repertoire ha seguito la moda giapponese delle repliche card-sleeve miniaturizzate, con una serie di riedizioni a tiratura limitata, fra le quali nel 2007 l’inevitabile “Quatermass”: stavolta liriche e biografia erano ben leggibili nell’inserto.
Le ristampe tedesche, come riconosciuto dallo stesso Pete Robinson, erano tratte dai nastri originali, che malauguratamente andarono persi.
Nel 2001 anche la tentacolare Akarma di La Spezia aveva pubblicato “Quatermass”, sia nel formato doppio LP (ampliato per l’inclusione del singolo “One Blind Mice”/ ”Pounding”), sia nella versione CD con copertina in cartoncino (ne scrissi su Rockerilla n.256-Dicembre 2001).
A tutt’oggi, la riedizione definitiva dell’album è opera di una delle migliori etichette specializzate, l’inglese Esoteric Recordings del gruppo Cherry Red.
Nel 2013, licenziava ufficialmente una deluxe expanded edition restaurata dallo stesso Pete Robinson nel suo studio di L.A., che ne realizzava così la versione tecnologicamente più avanzata. Il CD+DVD (5.1 surround) si riconosce poichè sulla copertina digipak, il pteranodonte in primo piano è colorato di verde…Rispetto alle precedenti, ci sono anche le novità di una prova di studio inedita del ’70, “Afraid Not”, e di una medley registrata dal vivo in Svezia nel ’74, “Blugaloo/Broken Chords/Scales”: Gus e Pete erano in tour nel gruppo di Shawn Phillips, ed il cantante americano li invitò ad esibirsi a nome Quatermass in un intervallo del suo concerto. Si tratta oggettivamente di curiosità per completisti, accessori di una raccolta di per sé esaustiva, grazie alle ricche informazioni griffate dal tastierista e al DVD con una serie di fotografie dalla band, che non ha mai goduto di troppa esposizione.
Chiudiamo con una doverosa escursione sul mercato nipponico, sempre prodigo di gustose amenità da collezione; nel 2019 la Belle Antique ha pubblicato un pregevole SHM-CD con replica della copertina cartacea in miniatura. Vi è incluso tutto il materiale riportato alla luce da Esoteric.
Il ciclo può così dirsi completo…Un album solitario, ma nessuna ricerca di musica rock dei Seventies dovrebbe ignorarlo!
N.E.W.S. : Posticipata dal 22/5 al 19 giugno una nuova edizione 33 giri dell’LP 180 grammi “audiophile vinyl” con copertina apribile come l’originale su MUSIC ON VINYL.
Ciao Beppe, non posso aggiungere niente che non hai chiaramente evidenziato. I Quatermass sono straordinari, fuori da i canoni della sua uscita, a cominciare dalla bellissima copertina . Belli, belli, belli. Mi ha fatto saltare sulla sedia la foto che hai inserito della tournee’ con gli Uriah Heep, a veder la data penso che fosse la torunee’ di very heavy…very umble, o gia’ quella che presentavano Salisbury. Ma te lo immagini che concerto, dischi che adoro, due band eccezionali , due tastiere da orgasmo. Quanto sarebbe bello un bootleg del concerto delle due band. Chiudo con Evviva i Quetermass !!!!
Eh si Giorgio, che concerto Quatermass-Uriah Heep di quell’epoca…e meno male che c’è qualcuno che si emoziona ripensandoci! Un saluto e grazie a te.
Verissimo Beppe. Quell’album è realmente straordinario, d’altra parte anche giganti come Ritchie Blackmore, seppur in altri contesti come i Rainbow, ne certificarono il valore assoluto, tributandoli con la cover di Black Sheep.
Quando parlo dei Quatermass, il nome del grande Blackmore è un veicolo ideale per suscitare attenzione, ma non ne avrebbero bisogno perché il loro “solitario” è una pietra preziosa della corona progressive. Ciao Alessandro
Carissimo Beppe, parlare di gruppi meno noti e celebrati è da un lato una scelta coraggiosa, che ti fa onore, dall’altro quasi una necessità per distinguere i propri scritti dai fiumi di articoli dedicati alle superstars del rock (anche se poi sono certo che riusciresti anche in quel caso ad emergere nel grande marasma del web). I Quatermass, in particolare, dovrebbero piacere e incuriosire gli amanti del rock dei 70’s e non solo, per l’alto valore intrinseco della loro musica e per i collegamenti con altre band molto amate. Sono certo che chi non li conosce e si imbatte in queste pagine verrà spinto dalle tue lucide e al tempo stesso appassionate parole ad approfondirne la conoscenza. Il tuo articolo è veramente bellissimo ed esaustivo, aggiungo solo che anche Le Orme hanno citato i Quatermass, insieme a Nice, ELP, Traffic e Procol Harum, come una tra le più importanti influenze sul sound dei loro primi dischi. Welcome back!
Caro Paolo, sinceramente nemmeno speravo che il flashback sui Quatermass suscitasse tanta attenzione, anche se ho fatto del mio meglio per rendere omaggio alla loro storia. Riconosco di non aver grandi motivazioni nel parlare di celebrità, con le dovute eccezioni. Ritengo molto utile per chi legge il Blog, che i commenti apportino qualcosa di personale…La tua osservazione su Le Orme, un gruppo che talvolta ha ricevuto critiche ingenerose nonostante l’indubbia caratura artistica, è assai puntuale. Soprattutto in “Collage” l’influenza dei Quatermass è netta. Ti ringrazio e spero troverai anche in futuro in questa sede materiale di tuo gradimento.
Articolo monumentale, molto dettagliato sugli artisti e sulle loro inter-relazioni e perfettamente descrittivo dei singoli brani (leggerli qui è come sentirli contemporaneamente) di questo mitico album.
Grande tributo a questo gruppo e agli altri del periodo che seppur facenti parte dei cosiddetti dinosauri (in questo caso vedi anche copertina….) saranno sì estinti, ma non scompariranno mai.
Grazie mitico Beppe.
Grazie a te Civi, che ben conosco come grande appassionato e collezionista dei Deep Purple. Ho sempre pensato che fosse importante evocare l’Impero “Porpora” per dare risalto anche ad una related-band come Quatermass. Tante volte i fans sono stimolati ad ascoltare gruppi che suscitano l’attenzione dei propri favoriti, ed è indubbio che Ritchie Blackmore abbia voluto registrare “Black Sheep Of The Family”, ascoltando la versione del trio su Harvest. Per fortuna siamo sempre in molti a pensare che gruppi leggendari non saranno mai dimenticati. Nonostante lo scarso successo riscosso…
Ciao Beppe, grazie alla dritta del mio caro amico Ale Massara, la tua rentree editoriale, seppur su su un algido ed inespressivo display piuttosto che sulla vituperata e svilita carta ( sign of the times!), mi dà l’opportunità di poter finalmente interagire con te. In genere, sono alquanto riluttante a collegarmi con questi “diari online” , spesso presieduti da fantomatici personaggi, che ben poco o nulla hanno da aggiungere alla nostra modesta cultura musicale; però (ri)percorrere le (e di Giancarlo, of course) tue metalliche digressioni, nonostante trattarsi di argomenti già sviscerati per i tuoi fedeli lettori nel corso dei decenni scorsi, risulta sempre appagante. In verità, a differenza di oggi, alla fine dei seventies, non era affatto semplice catturare news e nuove release da recensire essendo spesso frutto di estenuanti ricerche non sempre verificabili. Un grazie va ovviamente anche alla redazione di Rockerilla per aver avuto l’ardire e la lungimiranza di concedere spazio, seppur esiguo, ad un genere avversato e vilipeso dalla quasi totalità delle testate nazionali che ben conoscete. Però una buona vettura deve essere affidata ad un grande pilota per esser competitiva con i suoi antagonisti: Dossier HM ha praticamente battuto con largo anticipo le consorelle britanniche(Kerrang in primis), senza averne gli stessi mezzi, e spalancato le porte alla nascente editoria metallara: dalle fanzine( come la “nostra” Metallo) ai più rinomati e patinati magazines nostrani che ben presto hanno fiutato il lucroso business. Ah, per restare in tema della rubrica, un piccolo cenno personale riguardo ai Quartemass che acquistai esclusivamente( da buon fan profondamente porporato) per aver tra le sue fila il futuro ex Gillan, Mick Underwood, oltre che ad aver nella sua track list quella ” Black sheep of the family” considerata, si narra, esser seme della discordia nonché causa della dipartita del Man in Black dai suoi Purple. Per concludere, mi aggrada riallacciarmi alla tua metafora al termine della recensione del primo dei Leppard( Rockerilla aprile 80), ove dando risalto all’ultima follia della British Invasion, inneggiavi al “ritorno delle lunghe e sporche criniere scompigliate dal vento”!!! Ecco, oggi magari le criniere saranno dimezzate e brizzolate(nella migliore delle ipotesi!), la musica non cambierà o sconvolgerà più le umane menti come si preconizzava negli anni andati ma tali flashback renderanno sempre godibile l’incedere verso la “long way to the rock”!!! Un in bocca al lupo da un amico (ad honorem, mi permetto) della tua stessa fede calcistica e passione bonelliana. PS Riguardo alla richiesta espressa dall’amico Alessandro, conservo come reliquia tutte le pagine rilegate del Dossier HM, sebbene ingiallite e consunte per le frequenti consultazioni in netta antitesi con l’altro blocco delle pagine recuperate da Ciao 2001 perfettamente intonso e patinato!!!
Ciao “Prince”, che Ale Massara ne abbia parlato agli amici mi inorgoglisce; che tornino a leggerci appassionati come te, che ricordano tanto del nostro passato mi fa altrettanto piacere. E’ vero che non appaio da tanto tempo sulla carta stampata; non ho idea di quanto durerà questa nuova avventura, ma è altrettanto vero che sul Web, in uno spazio mio, di Giancarlo e Ruggero, posso scrivere ciò che voglio, mentre sulle riviste non potrei fare ciò che mi passa per la testa, come in realtà facevo ai tempi (bei tempi) che rammenti, su Rockerilla e Metal Shock. Ci sarebbero ovvi condizionamenti, non sto a dilungarmi. Per quanto riguarda i Quatermass, d’accordo, è un argomento che ho già trattato, ma assolutamente mai a questo livello di approfondimento, compatibilmente alla dimensione che ho ritenuto opportuna e alle mie possibilità. Continua a seguirci, spero troverai altro di tuo gradimento. Grazie sinceramente di cotanto commento, “Prince”…
In persona! In molti ci siamo “formati” leggendoti inizialmente dalle pagine di Rockerilla all’inizio degli anni ottanta e continuare a leggerti è un vero e proprio regalo. Bello anche rivedere dopo tanti anni i tuoi vecchi scritti. Perchè non li raccogli tutti in un volume?
Per me è un autentico regalo che tu non abbia dimenticato quegli anni e quegli scritti, che vedrò di riproporre qui nelle occasioni pertinenti. Per quanto riguarda un volume che li raccolga, mi cogli impreparato…Un grande saluto e a presto!
Ciao Beppe,
Scopro solo oggi il vostro blog. Complimenti, in pochi scrivono di rock con competenza e lucidità come voi. Non desistete.
Volevo solo segnalare ai vostri lettori che una versione limitata dell’album dei Quatermass è già uscita qualche mese fa su Music On Vinyl. 1000 copie numerate in vinile argento con splendida copertina apribile!
A presto
Alessandro
Alessandro ma sei proprio tu? Il Presidente della Universal che conoscevo da tanti anni, anche come responsabile dell’agenzia Spingo? In tal caso non possiamo che sentirci onorati dal tuo commento. Come forse avrai visto, ho aggiornato proprio oggi l’articolo sui Quatermass con la prossima reissue su Music On Vinyl, ma non mi era giunta notizia di quella, senz’altro di pregio, che hai appena segnalato…Speriamo che tu abbia voglia di continuare a leggerci. Personalmente mi hai piacevolmente sorpreso, comunque il Blog esiste solo dal 29 aprile, quindi da poco più di una settimana. Grazie!
Sono nato in quell’anno ma questo non è stato un buon motivo per vivere affondo questo gran disco! Articolo enciclopedico di gran spessore! Aggiungo una mia considerazione personale, i Quatermass sono stati probabilmente più creativi dei contemporanei ELP (paragonando due band trio senza chitarra) eppure non hanno avuto un centesimo del riconoscimento di quest’ultimi in tempo reale, onore postumo certo ma ancora oggi sono certo molti non conoscono il reale valore di questo disco.
Luca Tex, tante grazie per l’apprezzamento! L’esimio enciclopedista Cesare Rizzi, in “Progressive & Underground” (Giunti) la pensa come te sul paragone ELP-Quatermass. Personalmente adoro i Quatermass e ho reso loro il miglior tributo che potessi, ma gli ELP sono stati enormi, hanno fatto album-capolavoro in serie, lottando come pochi altri contro una critica STUCCHEVOLE, ed in realtà hanno cambiato la percezione del Progressive presso il pubblico di massa; hanno trainato il fenomeno prima di Yes e Genesis, che poi si sarebbero stabilizzati come superstars mentre gli ELP (mio malgrado) si avviavano verso una sorte funesta. Lo stesso, magnifico Robinson si è detto ispirato dai Nice e da Emerson. In ogni caso, le opinioni di chi ama il rock di un certo tipo e l’ha vissuto intensamente, sono sempre bene accette! Ciao
che ti devo dire …Beppe ??? sei una garanzia ambulante , da sempre.
il pezzo è galattico e gli approfondimenti di questo tipo non solo sono necessari a stimolare l’ascolto e il riascolto di tutto ciò che viene indicato con rinnovato stupore e interesse… ma è altresì certo che NON esistano disamine pari a questa. sul medesimo argomento…
Magari qualcosa gli si avvicina.
Ma così completa giammai.
il tuo allievo dell’ultimo banco.
Mox Cristadoro è l’autore di due rilevanti saggi editi da Tsunami, ossia “I 100 Migliori Dischi del Progressive Italiano” e “Route 69, il 1969 a 33 giri”, che consiglio caldamente. E’ anche uno spiritosone, come si evince dalla “firma” al commento. Di quanto ha scritto lo ringrazio, onorato…!
Complimenti Beppe, gran bell’articolo completo e interessante sui Q, ed inoltre ben strutturato con “il post” e la parte discograficollezionistica. Dubito in Italia si sia mai scritto così tanto, bene e a fondo su questo supertrio poco noto ai più ma leggendario… Alla prossima! Max
Beh, caro Max, questo è il commento che chi scrive sognerebbe sempre di ricevere! Anche perchè l’articolo mi ha impegnato parecchio e se avessi voluto approfondire “related bands” che conosco benissimo come Hard Stuff, Gillan e gli stessi Quatermass II “AOReggianti” l’articolo sarebbe stato ancor più kilometrico. Ma questa non è carta stampata dove uno mette il segnalibro e riprende a leggere quando gli pare, pertanto più di cosi mi pareva eccessivo. Certo, sarebbe più facile trattare nomi che riscuotono maggiori consensi, ma non è il mio scopo. Tante grazie!
Nel 1970 avevo 9 anni… con le mie sorelle gemelle quindicenni ascoltavamo ‘per voi giovani’ con un radio registratore… ricordo tanti brani storici di quell’annata grandiosa che mi ha fatto innamorare del rock…. e ricordo benissimo la fantastica ‘up on the ground’ perché a loro due non piaceva granché mentre io la adoravo…evidentemente se a 9 anni preferivo un brano del genere alla pur fantastica ‘Brown sugar ‘ vuol dire che avevo già innato un gusto sofiisticato…. Anni dopo mi andai a ricercare l’album, e scoprii che era bellissimo tutto. Grazie complimenti per il pezzo e per il blog
Roberto, ogni tanto si scoprono radici comuni. Mi hai fatto ricordare che anch’io ascoltavo “Per Voi Giovani” con un radio-registratore National Panasonic, appena me lo regalarono. Il primo brano che registrai fu certamente “Laundromat” di Rory Gallagher. Certo, “Brown Sugar” era e rimane un fantastico brano di rock’n’roll, giustamente amato da tutti. Giova però ricordare anche lavori affascinanti e meno celebrati.
È davvero una sorpresa fantastica questa possibilità di tornare a leggerti. Quelle 4 pagine (talvolta, quando eravamo fortunati, qualcuna di piú) di Rockerilla sono state la mia vera formazione. Poi Hard’n’Heavy, Metal Shock, certo. Ma quelle 4 pagine quando ancora non si sapeva come procurarsi una fanzine a te in parte ispirata come fu “Fireball”…
Bentornato.
Ricordo a suo tempo di aver ricevuto la fanzine “Fireball”, ed altre come “Metal City Rocker” e “Godzilla”. In quest’ultima se non sbaglio militava un personaggio, attualmente in una posizione di vertice nell’industria discografica italiana. Grazie Luca per il tuo intervento.