Quando Dio annunciò: “Che sia il Rock!” e l’ottavo fu il giorno della sua creazione (dai vangeli apocrifi di AC/DC e Kiss), impose la chitarra come strumento sovrano del nascente genere musicale; così un manipolo di apostoli dal gran fervore creativo – Hendrix, Clapton, Beck, Page, Blackmore – ed altri magistrali cesellatori di riffs – Richards, Iommi… – illuminarono le scene, diffondendo il verbo elettrico ad ogni latitudine.
Marchiarono di suoni fiammeggianti un’indimenticabile epopea, dagli anni ’60 in poi, ma all’alba del nuovo Millennio, le “macchine” prenderanno il sopravvento; computer e marchingegni elettronici generano tutta un’altra musica, avviando il rock sulla china della decadenza.
La scomparsa di Edward Van Halen, annientato da un tumore alla gola a 65 anni, può davvero far pensare all’inesorabile, triste epilogo di un’era… In pieno uragano punk, il chitarrista originario di Amsterdam raccolse il testimone dei maestri che l’hanno preceduto, incarnando & rilanciando l’inattaccabile carisma del musicista di classe superiore, quando la qualità sembrava sorpassata dal ritorno all’attitudine minimalista e selvaggia del rock & roll.
A Pasadena, California, aveva fondato i Van Halen con il fratello Alex alla batteria, Michael Anthony al basso e rappresentando sul fronte del palco un travolgente dualismo con lo spericolato cantante David Lee Roth. L’epocale, eponimo album d’esordio (Warner Brothers,1978), da molti considerato il più grande debutto hard rock di tutti i tempi, fece di Eddie l’archetipo principale del guitar hero in proiezione anni ’80.
I saliscendi acrobatici sulla tastiera della chitarra da lui stesso assemblata, la cascata di note luminose dei suoi assolo (la sbalorditiva “Eruption”), ed i riffs cromati ma implacabili, persino intimidatori (“Runnin’ With The Devil”!) si fondevano nell’immaginario collettivo con la sua figura ricca di colore, la solare presenza scenica, ed il sorriso spesso dipinto sulle labbra, quasi a compiacersi dei suoi virtuosismi strumentali. Era nato così l’indiscusso innovatore del rock duro che avrebbe dominato in America negli Eighties; la carica di sonorità scintillanti, la vocazione ottimistica e spettacolare del suono di quel decennio, non poteva che rispecchiarsi in Eddie Van Halen, il modello di riferimento. Hard’n’heavy, certamente, ma anche rock e pop a 360°, se un’icona universale come Michael Jackson ha deciso di regalarsi un “cameo” del chitarrista – l’assolo dall’inconfondibile marchio di fabbrica – nella sua “Beat It”.
Senza Van Halen, probabilmente non avremmo goduto della stella Randy Rhoads, spenta da un destino crudele, e nemmeno di tanti solisti funambolici di stampo metal, a cui ad esempio la Shrapnel ha offerto varie opportunità di sfoggiare la propria tecnica…Esibizioni invero non sempre graditissime, ma questo non si può imputare a Messer Van Halen, perché grandi capiscuola annoverano legioni di proseliti, ma non tutti ovviamente dal tocco eccelso.
Detto dell’unicità di Eddie come chitarrista – e non mi addentro in dettagli tecnici che non mi competono – va aggiunto che la sua genialità artistica si dimostrava anche nell’uso delle tastiere, fattore non trascurabile per un fuoriclasse delle sei corde…Infatti, suo era l’irresistibile arrangiamento dell’hit assoluta del gruppo, “Jump”, apripista dell’album “1984”. Era la dimostrazione, legittimata da un enorme chitarrista, che difficilmente il rock melodico degli anni ’80 poteva prescindere dalle tastiere, sdoganando così l’ondata AOR della seconda metà del decennio.
Ed un altro classico dalla stessa impronta, non altrettanto rinomato ma di gran livello, era “When It’s Love”, punta di diamante dell’album “OU812” (1988), anch’essa levigata da un elegante riff di tastiere e chitarra.
Ben prima, era avvenuta la conferma della centralità di Eddie nel progetto Van Halen; nel 1985, l’istrionico David Lee Roth, con fama di inarrivabile showman, aveva lanciato la sua sfida al gruppo d’origine, inaugurando una rutilante carriera solista. La perdita di un personaggio di tale visibilità poteva esser fatale per qualsiasi band, ma non per Van Halen. Il suo pur glorioso sostituto, Sammy Hagar, veniva nominato suscitando qualche perplessità, ma i “Van Hagar” continuarono a vendere. Come prima, più di prima…con quattro album consecutivi al primo posto della classifica di Billboard!
Eddie aveva vinto anche la sua battaglia personale con il dimissionario “Diamond” Dave: il faro abbagliante del quartetto era sempre lui.
Ed i sovrani dell’hard rock californiano restavano i suoi Van Halen, fino all’inizio degli anni ’90, prima resistendo all’ondata hair metal, poi cedendo il passo all’imperversare dei Guns N’Roses, arginati solo dalle follie del loro leader. Anche nel periodo di maggior fulgore, i VH avevano patito qualche episodio sottotono, specialmente il quinto album “Diver Down”, e dopo il rinnovato successo con Hagar, anche per loro era iniziato il declino.
L’ultima traccia discografica in studio, “A Different Kind Of Truth” del 2012, una festa per i nostalgici che vi ritrovavano David Lee Roth, era tutto fuorché memorabile.
Intanto Eddie subiva la dipendenza da sostanze stupefacenti ed alcol, forse per lenire le piaghe di un’infanzia difficile, quando fu vittima di intolleranze razziali in Olanda (essendo di madre indonesiana), che l’hanno prostrato fino all’insorgere della malattia letale.
Ma questo non intacca il profilo storico dell’eroico Edward Van Halen, chitarrista fra i più influenti di sempre…Sull’onda emotiva dell’ennesimo caso di “mortalità” nella vita terrena di una leggenda del rock, ho scritto di getto questo omaggio, che è solo una goccia nell’oceano delle commemorazioni già tributate alla sua statura artistica. Concedetemi dunque un richiamo al passato; il primo pezzo che elaborai per Rockerilla, compreso il disegno che lo annunciava, era dedicato proprio ai Van Halen, ed apparve sul mensile nel 1979. Ve lo ripropongo con tutte le criticità del caso, dall’emozione dell’”esordio” a concetti ormai archeologici, unitamente ad una più matura recensione di “OU812”, album del mese su Metal Shock n° 25-26, luglio 1988.
Addio, Signore delle chitarre…
Che tristezza se ne è andata via una parte della mia gioventù. Eddie R.I.P. continuerò sempre ad ascoltare la tua musica….
Come tutti noi Tex. Inevitabilmente, Eddie VH è stato celebrato ovunque, anche da chi di solito trascura il rock.
Ciao Beppe e Giancarlo. Proprio alcuni giorni fa dopo aver ascoltato pezzi dei VH, la prima cosa che dissi ad un gruppo di amici fu una parola molto semplice, ma che credo rappresenti bene quello che provo quando sento la chitarra di Eddie : gioia. Ecco, nei suoi riff, nei suoi assoli e nel modo di stare on stage, solo quel sostantivo: gioia.
Ne parlavo giusto 2 giorni fa con un gruppo di amici, dopo aver sentito pezzi dei VH. La cosa, la prima cosa che mi viene in mente ascoltando la sua chitarra e le sue canzoni è un unico sostantivo che ben lo rappresenta, a mio parere: gioia. Semplicemente gioia.
Nella vita, Re Edoardo ha dovuto battersi contro i fantasmi del passato, ma quando suonava sapeva trasmettere solo energia contagiosa e positiva. Ciao Gianluca
Ricordo impeccabile e splendido.
Grazie
Ciao Matteo, ti ringrazio
Grazie Beppe Riva , per il ricordo di Eddie !!
Grazie a te, Domenico. Il parere dei lettori è sempre gradito.
Il primo disco rimane come uno degli album fondamentali della storia dell’intero mondo rock.
E’ veramente sconvolgente e affascinante, ricco di melodia ma allo stesso tempo anche duro come un diamente.
L’ho amato alla follia e ancora oggi suona che è una meraviglia.
Tecnicamente è rimasto grandissimo anche nel proseguo della carriera, anche se le successive uscite sono state on po’ meno eclatanti, ma ugualmente valide.
Personalmente , per quello che conta, mi ha emozionato come pochi e ho seguito la sua carriera fino alla fine nella speranza ce la facesse e producesse altra musica che malgrado il passare degli anni rimaneva sempre attuale .
Suonalo ancora ( il primo lp) Sam….
Ciao Francesco, spesso gli album d’esordio hanno in sé una magia irripetibile, a maggior ragione se si parla di un debutto celebrato come quello dei Van Halen. Personalmente ho una spiccata predilezione per la scintilla e la freschezza espressiva delle opere prime, non solo nel mondo hard & heavy. Grazie del contributo.
Se l’obiettivo di un musicista è di trasmettere emozioni, con me eddie van Halen ci è riuscito alla grande. La cassetta che mi comprai all’uscita dell’immortale 1984 l’ho smagnetizzata a forza di ascoltarla. E dopo 36 anni trovo il disco ancora di una freschezza disarmante. Il riff di hot for teacher ancora mette i brividi, Jump Eddie, jump.
Marco, hai ufficialmente inaugurato il “1984” Fan Club. Ciao!
Una perdita enorme, era in assoluto il mio musicista preferito. non solo un virtuoso, secondo me non c’entrava niente coi “Guitar Hero” che uscirono negli anni successivi, quelli che facevano gli album strumentali per far vedere la loro tecnica (ma anche qui ci sarebbero da aprire delle parentesi, anche tra di loro bisognerebbe fare delle distinzioni), lui era uno scrittore di brani, di riff, di accompagnamenti che erano sempre costruiti per sorreggere le parti vocali. ovviamente non mancavano le dimostrazioni di tecnica, ma non erano fini a se stesse, sempre in funzione del brano. all’occorrenza sapeva ben dosare la melodia. in più ha portato un’immensa innovazione nell’uso degli effetti, degli amplificatori, della chitarra come strumento. di solito i marchi fanno le chitarre signature, ma su dei modelli standard. lui si era fatto la sua chitarra, ed era la sua, anche lei è diventata un’icona. non era solo un chitarrista metal, ma spaziava tra i generi. inoltre un gusto nel fare le cover, ribaltandole, rendendole personali ed originali. potrei scrivere per ore analizzando brano per brano. per me è il più grande di tutti, il più influente, il più innovatore, il più divertente, il più tutto. addio Eddie, la tua musica resta a testimoniare la tua grandezza. Un plauso a Beppe x l’articolo e per le recensioni, quante band ho scoperto grazie a Rockerilla Prima e Metal Shock poi. grazie
Grazie Dave, il tuo commento è davvero appassionato e giustamente non si può ridurre in poche cartelle la portata di un artista come Eddie. La definizione di “Guitar Hero” dal mio punto di vista va attribuita a musicisti completi e seminali, non certo a pallide imitazioni capaci solo di tecnicismo fine a sè stesso. Ma è inevitabile che i grandi influenzino anche seguaci minori; impossibile negare che ad esempio i Sabbath abbiano originato una moltitudine di gruppi stoner/doom, molti dei quali monocordi o che non hanno retto il passare del tempo. Invece l’opera di artisti leggendari vivrà per sempre nell’immaginario collettivo. Ciao
Parole sagge Beppe, è proprio la fine di un epoca ormai lontana dove il Rock era fatto di personalità distinte che facevano discutere in virtù di qualità evidenti… Oggi trovare un nuovo Ozzy, Alice, Lemmy o Eddie è impensabile tanto inflazionato è il mondo musicale quanto carente di personaggi di spicco.. Lui ha rappresentato d’accordo il suo essere chitarrista in toto strabiliando il mondo con la sua tecnica ma anche ad essere musicista in relazione alla capacità compositiva assecondando il suo estro alla scrittura di grandi canzoni con il resto della band, cosa quasi dimenticata dalla maggior parte dei guitar virtuosi che probabilmente saranno anche più bravi tecnicamente ma che non avranno mai il suo tocco, il suo cuore, la sua unicità.. Rest in peace Eddie ❤️
Roberto, temo di si, che sia l’ennesimo segnale della fine di un’era irripetibile. Non saprei dire quali e quanti cosiddetti “chitarristi virtuosi” siano tecnicamente migliori di Eddie, ma i loro dischi non avranno mai un impatto globale paragonabile all’esordio dei Van Halen, né eserciteranno una piccola percentuale della sua influenza. Servono qualità compositiva, sentimento, carisma. Grazie e a risentirci
Quando si parla di arte, nel suo senso più ampio e da ‘non addetto ai lavori’, l’elemento principale che ci viene trasmesso e, possono essere le pennellate colorate di un quadro o delle note magistralmente eseguite, sono le Emozioni.
Ricordo ancora quando da ragazzino, poco più che dodicenne, nel lontano 1984 rimasi ammaliato da Jump. Pezzo unico, magico che qualora fosse riascoltato in qualsiasi momento sarebbe (è e lo sarà sempre) in grado di trasmettermi sensazioni uniche. Sicuramente non è l’esecuzione chitarristica più importante di Eddie, basti pensare a Eruption e quello che generò negli anni successivi su migliaia di chitarristi, ma mio il cuore batte forte.
In una famosa intervista Eddie rilasciò queste parole ‘‘… non so nulla di scale o teorie musicali…. non voglio essere visto come la chitarra più veloce della città, pronta per distruggere ogni concorrente…. quello che so è che una chitarra rock o blues dovrebbe essere melodia, velocità e gusto… ma più importante di ogni altra cosa è che deve trasmettere emozioni… voglio solo che la mia chitarra suoni per far sentire la gente felice, o triste, o magari eccitarla…’
Non mi interessa sapere se erano meglio i VH con Roth o Hagar alla voce , l’unica cosa certa è che quel suono era magico e unico.
Grazie Eddie per le Emozioni che continuerai a farmi provare.
Ciao Luca, lo stralcio di intervista che riporti è illuminante: inutile essere “la chitarra più veloce del West…” se non sai trasmettere feeling né comporre. Eddie lo sapeva bene, e le sue parole sono un valore aggiunto al nostro tributo. Grazie per l’intervento