Black Widow 1970: da sx a dx (in alto) Clive Jones, Clive Box, Kip Trevor, Zoot Taylor – (in basso) Jim Gannon, Bob Bond
"Sabbat Days - The Complete Anhology 1969-1972"
Non ho mai nascosto la mia antica e duratura ammirazione per l’opera dei Black Widow, il gruppo che vanta il diritto di primogenitura fra i seguaci dell’occulto generati dal crepuscolo degli anni ’60 in poi, nel Regno Unito.
La pubblicazione postuma (nel 1998) di “Return To The Sabbat”, l’originale versione di “Sacrifice” registrata nel novembre 1969 con la cantante dei Pesky Gee!, Kay Garrett – a fianco di Kip Trevor – ha accertato quale fosse storicamente il primo gruppo britannico del cosiddetto dark sound; in quell’epoca, si stava propagando nella scena underground del Regno Unito una fascinazione verso i rituali esoterici e la “magia nera”, testimoniati dalle reliquie discografiche di Horse, Saturnalia, Human Beast, Dr.Z, Zior, Monument, naturalmente Black Sabbath (che si dissociarono in tutta fretta), persino Alex Sanders – il più famoso stregone inglese che collaborò con gli stessi Widow – ed episodicamente numerosi altri: Van Der Graaf, Audience, Warhorse, anche il veterano Graham Bond con i suoi Magick.
La pubblicità negativa suscitata dalla rappresentazione scenica del primo album del sestetto di Leicester, “Sacrifice” (marzo 1970, spesso confuso dai potenziali acquirenti con l’esordio dei Sabbath, del mese precedente!) e gli echi dei titoli sensazionalistici (“Black Widow’s ‘magic’ is not just a gimmick”, “Black Widow brings the devil in you!” etc.), suscitarono un’onda di discredito: dal monito inquisitorio che censurava “lo spettro della magia nera come il più disturbante trend mai apparso nella musica pop” fino alla paradossale, generica condanna che li liquidava “copia minore dei Black Sabbath”, infondata soprattutto per la netta distinzione delle rispettive proposte musicali.
E’ significativo come l’atteggiamento degli inglesi nei confronti del retaggio musicale dei Black Widow sia nel tempo cambiato. Infatti si può apprezzare la loro eredità artistica, manifestazione estremamente ispirata di “attrattiva per l’occulto”, svincolandola da qualsiasi rapporto con il satanismo, come per altri versi hanno fatto storia grandi film horror, da “Rosemary’s Baby” di Roman Polanski a “Dracula” di Francis Ford Coppola. Sono convinto che Black Widow, per quanto sventurati, raggiunsero nei loro momenti magici, un livello creativo tale da ergerli, fra i grandi protagonisti del rock progressivo. Esorto i numerosi lettori dei “Racconti dalla Cripta…”, che ringrazio, ad approfondirne la conoscenza per la varietà di stili esibita.
Il box set di 6 CD “Sabbat Days – The Complete Anthology 1969-1972” (Grapefruit/Audioglobe) è effettivamente la loro più esaustiva raccolta mai assemblata, compresi inediti/rarità già noti ai collezionisti del gruppo. Evidentemente escluso l’album della rifondazione “Sleeping With Demons” (del 2011, purtroppo deludente), con i soli Clive Jones e Geoff Griffith fra i membri storici e comparse sia di Tony Martin (ex Black Sabbath) sia di Kay Garrett (Pesky Gee!) come spunti di rilievo.
Assai interessante il libretto incluso nel box di ben 40 pagine, che comprende un saggio di David Wells sulla storia del gruppo e ricca documentazione fotografica. E’ reperibile online ad un prezzo decisamente contenuto, non oltre i 50 euro.
Passiamo dunque in rassegna la successione cronologica dei contenuti musicali.
CD 1: PESKY GEE!: "Exclamation Mark"
Osservando nel booklet le innocue pose fotografiche della prima formazione dei Pesky Gee!, sembrerebbe del tutto inverosimile che si tratti del nucleo embrionale dei Black Widow, destinati a suscitare scalpore con i loro incantesimi occultisti! Ma gli eventi si succedevano molto rapidamente in quegli anni di rivoluzioni rock, e le immagini dell’originale line-up di sette elementi sembra preistorica anche paragonata ai musicisti della Vedova Nera…
Il gruppo nacque a Leicester nel 1966, influenzato dalla musica soul. Infatti, accanto alla leggendaria Kay Garrett c’era un cantante di colore, Basil Francis, e solo tre membri del primo organico proseguiranno fino alla registrazione dell’epocale “Sacrifice”: Clive Jones (sax e flauto), l’unico presente in tutte le ramificazioni di quell’albero genealogico, e la sezione ritmica composta da Bob Bond (basso) e Clive Box (batteria). Il nome Pesky Gee! fu suggerito dal loro agente, lo stesso di un’altra band locale, Broodley Hoo, che aveva un brano così intitolato nel suo repertorio.
Nel 1967, il ventenne Kip Trevor (voce) sostituiva Francis accanto alla Garrett, ed è indice del nuovo orientamento “progressivo” perseguito, che recepisce nella sua miscellanea stilistica elementi rock, blues, psichedelia e jazz. Verso la fine del ’68 Pesky Gee! entrano in contatto con Patrick Meehan Jr.: il produttore e impresario londinese – si occuperà anche dei Black Sabbath – assicura loro il contratto con la Pye, e nel marzo 1969 esce il singolo d’esordio, “Where Is My Mind” (mirabilia acid-rock forgiata dai Vanilla Fudge)/”A Place Of Heartbreak”. Prima dell’incisione dell’album, fanno il loro ingresso in formazione due membri dei menzionati Broodley Hoo: Jim Gannon (chitarra) e Jess “Zoot” Taylor (tastiere).
Non si può dire che la casa discografica garantisse al gruppo un trattamento di favore: l’LP venne registrato di notte in sole quattro ore; inoltre il produttore è frainteso nello specificare che il nome Pesky Gee era seguito dal punto esclamativo… Si ritrovò invece in copertina “Exclamation Mark” (!) come titolo dell’album, uscito nel giugno 1969. Infine, la Pye si sbarazzò di loro dopo i primi bilanci negativi di vendita.
In cerca di miglior sorte, la formazione cominciò ad appassionarsi di oscurità gotiche, ribattezzandosi Black Widow ed ideando uno spettacolo di “magia nera” attorno al concept di “Sacrifice”, secondo un’intuizione di Clive Box. L’originale versione dell’album destinato a sinistra fama nella definitiva stesura per CBS, è registrato dalla stessa line-up di “Exclamation Mark” nei D.T. Studios di Kettering, novembre 1969.
Non è di dominio pubblico che si tratterebbe degli stessi studi dove avvenne l’incisione di un’opera chimerica: “Nostradamus” dei Dodo Resurrection, invenzione giornalistica partorita dal regno delle tenebre. Probabilmente, il numero civico di quella sala di registrazione era 666!
Il “solitario” dei Pesky Gee! E’ una bellissima collezione di cover ante-litteram… L’iniziale “Another Country” anticipa più di qualsiasi altra gli spunti progressive dei futuri Black Widow: la voce del grande incantatore Kip Trevor già si erge con il suo timbro esoterico sul riff sospinto dal sassofono, e c’è spazio per assoli d’organo e chitarra d’indiscutibile effetto. “Season Of The Witch” (di Donovan) porta sugli scudi la magnetica voce soul di Kay Garrett, giustamente paragonata a Julie Driscoll e capace di confrontarsi anche con un classico come “Piece Of My Heart”, già interpretato da Janis Joplin.
Pesky Gee! si svelano quegli avventurosi musicisti che saranno consacrati in “Sacrifice”, al di là delle tematiche sataniche, e la sofisticata rilettura di “Where Is My Mind” (già primo singolo) ne è conferma. E’ soprattutto Clive Jones a svettare quale strumentista, guidando con il suo sax anche la danza di “Dharma For One” (Jethro Tull). Inoltre, davvero splendida “Peace Of Mind” (Family), dove Trevor si supera nel confronto con un vocalist di assoluto prestigio quale Roger Chapman.
L’epilogo è affidato all’inno degli Steppenwolf, “Born To Be Wild”, nel quale Zoot Taylor si produce in vibranti fraseggi d’organo Hammond, di inequivocabile stampo Emersoniano. Difficilmente un album di cover risulterà negli anni a seguire altrettanto riuscito, acquisendo valore da pregiato pezzo collezionistico, come il singolo che l’ha anticipato.
Le tracce bonus del CD 1 sono due pezzi scritti da Jones per l’album-solo di Kay Garrett, registrato nel ’71 con i musicisti dei Black Widow e tuttora inedito. “Madman’s Song” era eseguita live da loro stessi con Clive nel ruolo di cantante; per sua ammissione era influenzata dal “folle stile” del Crazy World Of Arthur Brown. In “Devil’s Liar”, Kay sembra danzare in un cerchio di fuoco, rievocando le stregonerie di “Sacrifice”: entrambe erano incluse nell’antologia “Come To The Sabbat” ed in “See’s The Light Of The Day”. In quest’ultima pubblicazione del 2012 (anche in edizione limitata 2 LP più 10 pollici) era presente il terzo inedito di Kay qui proposto, la citata “Madman’s Song”.
CD 2: BLACK WIDOW: "Return To The Sabbat"
CD 3: BLACK WIDOW: "Sacrifice"
Ma la metamorfosi stile Hammer Horror dei Pesky Gee! in Black Widow era ormai alle porte, portando in dote un incoraggiante contratto con la CBS. Davvero non ho mai capito perché “Sacrifice” sia lungi dall’essere riconosciuto fra le meraviglie assolute del rock, non solo per cultori heavy-prog…Forse per il suo elevato gradiente demonologico?
“Sacrifice” fu il frutto di un’irripetibile alchimia, dal carattere unico, subdolo ed ammaliatore come la seduzione di un peccato lussurioso. All’epoca scrisse il critico Mauro Radice: “La visualizzazione di un sacrificio rituale di sangue può dirsi riuscita fra gli episodi di un rock pregevole, arricchito da mille spunti creativi propri di ogni strumento”.
Nemmeno i Black Widow riuscirono, negli album successivi, a ripetere la formula di questo magico LP, ma sul finire del 1998 riappariva addirittura la sua versione originale, concepita dagli ex-Pesky Gee! ormai orientati verso il Roccult, come scrisse il grande Chris Welch; la line-up era la stessa con la cantante Kay Garrett (poi dimissionaria per matrimonio) al fianco dell’immancabile Kip Trevor. Anche la successione dei titoli di “Return to the Sabbat” – così battezzato a posteriori – è analoga al definitivo concept-album, “Sacrifice”, ma i differenti arrangiamenti e l’interazione fra le due voci soliste lo illuminano di luce propria, in una dimensione misteriosa tutta da scoprire.
Non è eresia affermare che l’impareggiabile regia del chitarrista Jim Gannon, creatore di tutto il repertorio, sia paragonabile al ruolo esercitato dal demiurgo Robert Fripp nei primi King Crimson, e neppure che alcun brani meno eclatanti, come “Seduction” e “Attack Of The Demon”, siano probabilmente meglio focalizzati in questa loro prima rappresentazione.
Tali considerazioni in vista del 55° anniversario del “Sacrifice” ufficiale, nulla tolgono al suo fascino. Giunse rapidamente al 32° posto della classifica inglese degli LP – arrestandosi lì per esaurimento della tiratura iniziale! – e ben ricordo lo shock che esercitò su di me il primo ascolto dell’organo mistico e lugubre in apertura di “In Ancient Days”. Sicuramente fu un modello che ispirò altri inquietanti manifesti rock: abbiamo trattato recentemente “Witch Burning” dei Salem Mass che ne è credibile, significativa derivazione. Altri vertici dell’album furono naturalmente l’inconfondibile anthem tribal-satanico “Come To The Sabbat” (divulgato anche da un celebre doppio LP di artisti vari CBS, “Fill Your Head To Rock”), l’infido, opprimente clima di “Conjuration” e la travolgente jam finale di “Sacrifice” – la title-track – che esibisce il talento individuale dei musicisti, liberi di improvvisare, come posseduti da qualche malvagia entità.
La fama iniziale consentì ai Widow di apparire in agosto al festival dell’Isola di Wight, ma rinunciando al controverso show.
Per i loro fedeli, “Sacrifice” rappresentò la scoperta del tesoro di Tutankhamon in chiave musicale, ma non mi dilungo oltre perché a questo capolavoro assoluto del dark-progressive è già stato dedicato un articolo la notte di Halloween 2020 sul Blog, che approfondiva la tre versioni del gruppo storico, edite in tempi diversi. Inoltre davo ampio risalto agli aspetti scenici del loro concerto, tramandati a noi dal favoloso DVD di cui accenno in seguito. Vi invito dunque a leggerlo per completezza d’informazione. Citavo anche una quarta “revisione”, apparsa nel box set della Repertoire (2014), con interludi strumentali registrati ex novo da Clive Jones (deceduto nello stesso anno) e Geoff Griffith, fra un brano e l’altro dell’album.
“Sabbat Days” contempla interamente la trilogia di “Sacrifice”, ossia “Return To Sabbat” (su CD2), l’album d’esordio per la CBS (CD 3) e la versione dal vivo – solo audio, di grande effetto – del CD/DVD “Demons Of The Night Gather To See Black Widow live” (spettacolo televisivo registrato nel 1970 e mai andato in onda al Beat Club, uscito solo nel 2007) equamente suddiviso sui CD 3 e 4. Le altre bonus sono una versione acustica di “Mary Clark” (CD 2, apparsa sulla già citata collezione “See’s The Light Of The Day”) ed il più comune adattamento da singolo di “Come To The Sabbat”.
CD 4: BLACK WIDOW: "Black Widow"
Con la realizzazione dell’album d’esordio “Sacrifice”, i Black Widow si erano imposti come la più credibile alternativa ai Black Sabbath, sulla cresta dell’”onda occulta” emersa dall’underground inglese, che restaurava in musica rock le fantasie gotiche così radicate nella tradizione popolare anglosassone.
Ma lo scalpore suscitato dalle censurate rappresentazioni live, che seguivano un preciso copione rituale, non portò fortuna al sestetto di Leicester: travolto dall’ostilità dei media e sistematicamente ignorato o denigrato dalla critica inglese, fu costretto a rinunciare ad un tour americano, annullato in seguito al clamore mediatico degli omicidi di Charles Manson.
Così venne minata la convinzione dei musicisti nella “musica come strumento per promuovere l’interesse pubblico nell’occulto”, ed il previsto, nuovo concept sulle arti segrete non fu mai finalizzato su vinile. Notevole confusione regna sulla leggenda del successore di “Sacrifice”: anche la registrazione originale del secondo “Black Widow”, sparì nel nulla, compreso il titolo provvisorio “Maybe Now”. Inoltre, il produttore e manager Patrick Meehan Jr., insisteva per prendere le distanze dall’immagine di black magic group che precludeva ai Black Widow i favori di un pubblico più vasto. Secondo fonti attendibili, Clive Jones (sax e flauto) ed il batterista Clive Box, che suggerì la svolta “satanica” dopo l’esperienza con i Pesky Gee! erano contrari ad abiurare l’identità del gruppo; ma in un’intervista dell’84, anche il vocalist Kip Trevor aveva dichiarato la sua predilezione per gli originali Widow.
Comunque venne sostituita la pesante e caratteristica sezione ritmica di “Sacrifice”: il bassista Bob Bond subito dopo la registrazione del debut-album – rimpiazzato da Geoff Griffith – ed in seguito Romeo Challenger, batterista di colore e futuro Showaddywaddy, avvicendava Clive Box. Confermato invece il sodalizio in sala di registrazione fra Meehan e l’ingegnere del suono Roy Thomas Baker, destinato a ben altro successo come produttore storico dei Queen! Il nuovo album, pubblicato in Inghilterra nel dicembre 1970, era semplicemente omonimo, quasi a voler significare una nuova e meno oltraggiosa partenza. L’uscita quasi coincideva con il famigerato incendio del Casinò di Montreux immortalato da “Smoke On The Water”…Circa una settimana prima, i Black Widow vi avevano registrato un album dal vivo, ma i nastri erano andati distrutti nel rogo, quasi una maledizione soprannaturale per gli infedeli! Il gruppo era ben noto nell’Europa continentale, dove l’atteggiamento del pubblico e della stampa musicale era assai più favorevole: “Black Widow” fu addirittura recensito in Italia con quel fantomatico titolo, “Maybe Now”.
Il disco si muoveva lungo le coordinate di un rock progressivo più accessibile, riducendo le fantasie occulte a dispetto di una copertina ancora gravida di sinistri presagi, basti osservare all’interno le “icone” quasi sepolcrali dei musicisti… Se gli spiriti non aleggiano più intorno alla musica dei Black Widow, il secondo lavoro resta eccellente, molto superiore ad altre reliquie di un’epoca rock senza uguali, e nessuna traccia vi appare superflua.
“Tears And Wine” riporta alla mente fregi di “Exclamation Mark”, l’album della loro prima incarnazione Pesky Gee! Kip Trevor è sempre dotato di inconfondibile timbro vocale, e gli assoli del chitarrista Jim Gannon e di Zoot Taylor all’organo Hammond, confermano la piena competitività di questi musicisti nell’arena progressive.
I fraseggi acustici sorvolati dal flauto in “The Gypsy” sono degni del paragone con i Jethro Tull, mentre “When My Mind Was Young” imposta armonie vocali d’effetto alla maniera di Yes e CSN&Y; scritto da Gannon insieme al nuovo venuto Griffith, questo brano rappresenta idealmente il passaggio di consegne fra il più prolifico compositore dei primi Widow ed il bassista, che ne raccoglierà l’eredità nel terzo album. “The Journey” e “Poser” sono altri esempi della caratteristica linea heavy-prog della rinnovata formazione, che non disdegna coloriture funky e divagazioni sul tema come il febbrile assolo di flauto di Clive Jones (in “Poser”) ispirato al maestro Roland Kirk. Se questi episodi evidenziano affinità stilistiche con altri campioni dell’epoca, Atomic Rooster e Warhorse, è ancora Jim Gannon a firmare le ultime meraviglie prima della separazione. “Mary Clark” è la tragica storia di una prostituta caratterizzata dall’eccezionale interpretazione di Kip Trevor e da un’atmosfera ricca di pathos, poi l’album finisce in gloria nel clima onirico di “Legend Of Creation”, risolto da intense improvvisazioni strumentali jazzate di chitarra solista ed organo, quest’ultimo in vena d’emulazione Emersoniana.
“Black Widow” è opera stimabile di un gruppo leggendario, un gradino al di sotto di “Sacrifice”, ma da rivalutare fra le avventurose proposte del rock d’inizio Seventies.
Oltre al secondo album ufficiale, “Sabbat Days” annovera sul CD 4 una versione alternativa di “Mary Clark”, tratta dalla raccolta della CBS “Rockbusters” – 1970, unica superstite della prima registrazione di “B.W. II” – oltre al completamento dell’apparizione live al programma tedesco Beat Club del maggio 1970.
CD 5: BLACK WIDOW: "III"
Il capitolo finale, “Black Widow III” (gennaio 1972), è generalmente considerato il meno convincente dell’originale trilogia CBS; nonostante ciò, la suite “The Battle”, che inaugura la prima facciata ed è suddivisa in tre movimenti secondo i canoni del rock progressivo, valeva da sola l’acquisto del disco.
Si tratta di un’epica composizione di Geoff Griffith, il bassista che si era imposto come principale autore del repertorio in seguito alla dipartita di Jim Gannon. Resta indimenticabile l’emozionale interpretazione di Kip Trevor e la mutevolezza delle atmosfere musicali, dalle soffuse sonorità pennellate dal flauto di Clive Jones all’esplosivo crescendo conclusivo illuminato dalla chitarra di John Culley, il reduce dai Cressida di “Asylum” impegnato nell’ingrato compito di sostituire l’ex leader Gannon.
“III” non annovera brani altrettanto ambiziosi, ma menzioni d’onore vanno rivolte ad “Accident”, una drammatica stesura di Clive Jones caratterizzata dal suo insidioso sax, e alla ballata “Old Man”, scritta da Trevor, che suggella la fine della discografia ufficiale dei Black Widow: seppur ragguardevole sul piano melodico, quest’ultima smaschera il gruppo in crisi d’identità, con dei cori che rivelano l’influenza di CSN&Y (riconosciuta a posteriori dal cantante nel corso di un’intervista rilasciata a Rockerilla) ed emulando palesemente i Beatles di “Hey Jude” nel finale. Può apparire discutibile, ma in realtà dimostra la versatilità di una banda, spesso relegata nella semplicistica categoria “hard rock satanico”, coniata da enciclopedisti disattenti, dimentichi della vasta gamma espressiva esibita dai Black Widow nella loro breve vita artistica.
Il CD 5 addiziona a “BW III” il singolo “I Wish You Would”; è il classico blues più famoso come primo 45 giri degli Yardbirds: i Black Widow, lo incisero nel novembre 1971, e vi fece l’esordio in formazione John Culley.
Inoltre è inclusa la prima parte di registrazioni (decisamente low-fi) della leggendaria esibizione al Teatro Lirico di Milano del 10 maggio 1971, che “vide la luce del giorno” solo nel già citato “See’s The Light…” del 2012. A dimostrazione della popolarità italiana, nel manifesto pubblicitario (vedi collage fotografico) il nome dei Black Widow appariva in maggior risalto rispetto a quello degli Yes, lasciando attoniti gli stessi musicisti. Da sottolineare le versioni dal vivo particolarmente estese di “In Ancient Days”, della stessa “I Wish You Would” e di “Come To The Sabbat”.
CD 5: BLACK WIDOW: "IV"
Sarebbe stato imperdonabile se dalla gran quantità di scavi nell’underground dei primi Settanta, alla ricerca di preziosi reperti archeologici di quella formidabile era, non fossero emersi inediti dei Black Widow, nonostante la terra di Albione si dimostrò davvero perfida verso la formazione di Leicester.
Silurato dalla CBS dopo lo scacco commerciale di “B.W. III”, il sestetto si era impegnato nelle registrazioni di un nuovo album, iniziate nell’estate 1972. Dal master originale e dall’unico acetato, rimasti in possesso di Clive Jones, è tratto “Black Widow IV”, il solo disco di studio postumo della band, dato alle stampe nel 1997. I primi cinque brani, realizzati con il carismatico vocalist Kip Trevor, non avrebbero colmato la durata di un LP, ma ad essi si aggiungono quattro tracce incise dopo il suo abbandono – con lo sconosciuto cantante americano Rick E – che si dimostrano un seguito coerente alle linee di tendenza qui espresse. Non era prevedibile un ritorno alle timbriche heavy di “Sacrifice”; infatti “B.W. IV” prende subito le distanze dal maledetto marchio dark con il brano d’apertura, “Sleighride”, ispirato ad un tema natalizio di Prokofiev, lo stesso portato al secondo posto della classifica inglese dal compianto Greg Lake con il singolo (di protesta) “I Believe in Father Christmas”, ma tre anni dopo, nel 1975.
Sono invece riconoscibili espliciti fraseggi dei Widow post-“Sacrifice”, grazie al preminente basso melodico di Geoff Griffith ed al flauto vellutato e sfuggente di Clive Jones; ma soprattutto Kip Trevor impartisce linee vocali irrorate da influssi psichedelici, molto reminiscenti dei Pretty Things di “S.F. Sorrow”. “More Than a Day” è una suggestiva melodia quasi pastorale, con chitarra acustica e flauto in evidenza, e l’interpretazione di Trevor, un versatile cantante al di là dei toni orgiastici di “Come To the Sabbat” è memorabile. L’impronta stilistica del secondo e terzo LP è evocata molto bene dai cori ariosi e sfumati di “You’re So Wrong”, ed in termini ancor più incisivi in “The Waves”, che ripresenta la solista di John Culley a tinte forti; soprattutto instaura un clima magico e surreale, degno della classica “Legend Of Creation”.
Notevole anche il finale di “Part of A New Day”, dove le armonie vocali si confrontano ancora con uno stile psych affine ai primi Pink Floyd.
Congedato Trevor, l’enigmatico Rick E si dimostra degno sostituto, ed i Black Widow realizzano altri highlights, “Floating” e “Pictures in My Head”, dove l’afflato lisergico infonde nuova magia nelle trame seduttive del sax di Jones e delle fluide tastiere di Zoot Taylor. L’incarnazione più soft dei Black Widow, testimoniata in quest’opera, era meritevole di ben maggior fortuna.
Potete verificarlo nel CD 6, completato dalla seconda parte dello spettacolo al Teatro Lirico (“Mary Clark”, “Legend Of Creation” e dulcis in fundo, “Sacrifice”!)
Il ciclo degli originali Black Widow, iniziato nel 1969 e già estinto alla fine del 1972, può così dirsi completo.
Avrò avuto 15-16 anni. Seconda metà anni ’80. Stavo forgiando i miei gusti ed ero attratto dalla musica dura. Ma con una punta di snobismo mi dedicavo al decennio precedente, con quello che mi capitava in diretta mi limitavo agli ascolti. In libreria scorsi un libro “Hard Rock Story”, in copertina Jeff Beck in versione Wired (quindi quanto più distante dall’hard rock). Beh, la mia vita non è stata più la stessa. 30 gruppi europei e 30 nordamericani. Ne avrò conosciuti una ventina e di questi avrò avuto i dischi di 5 o 6. E c’erano questi Black Widow. Quanti viaggi mi sono fatto immaginando la loro musica. Così, quando qualche anno dopo ebbi l’occasione comprai il loro cd. Non avevo nemmeno il lettore. Registrata la cassetta lo misi su aspettandomi chissà quali sconquassi e mi ritrovai un album di…cosa? Jazz-rock? Prog? La voce era pulita, il sax imperversava. Non nascondo la delusione. Eppure…era magnetico. Non mi piaceva, ma perché non era quello che mi aspettavo, però lo ascoltavo affascinato. Il Male che seduce (per rimanere in tema). Sono passati più di trent’anni. Ho preso i Pesky Gee, ho comprato Return to the Sabbat. Ancora oggi lo ascolto, con un approccio diverso e me lo godo. Osta se me lo godo. Ma confesso di non essere mai andato oltre. Avendo letto ovunque, anche qui, che quello che è venuto dopo non è fondamentale non mi sono mai interessato. Troppo bello quest’esordio per rovinare la media. PS: in un’epoca in cui internet non esisteva, tanto meno i siti di streaming, bisognava affidarsi alla carta stampata e ai libri e a certi giornalisti. E in quel periodo, inizio anni ’90, presi l’Enciclopedia rock hard & heavy (e un paio di altri libri). Capitolai definitivamente.
Ciao Paolo, la tua storia è divertente e personale, le note piacevoli dei vostri commenti risiedono anche nell’essersi “imbattuti” in certi dischi. Bisogna però intendersi su ciò che è “fondamentale”. Per onestà intellettuale, si può definire tale il vertice di una discografia, ma ciò non significa scartare gli altri. Certo, se non sono riuscito a convincerti con quest’articolo sulla validità dell’iter artistico dei BW, al di là di “Sacrifice”, mi arrendo! Le scelte soggettive (mie, di tutti) sono opinabili ma legittime. Ti ringrazio per il punto di vista.
Ciao Beppe, ti leggo dai tempi di Metal Shock, ho preso Sacrifice seguendo li tuoi consigli (CD CASTLE) negli anni ’90. Bel disco ascoltato e riascoltato. Come to the sabbat, In ancient days, Conjuration e Sacrifice da applausi, ma mi sono fermato a quell’album con i B.W. Pochi giorni fa ho letto il tuo articolo sul blog e mentre leggevo ho dato contemporeanamente un’ occhiata ad una nota piattaforma di e-commerce e boom! Il cofanetto a 5,31 euro. Non ci potevo credere. Comprato subito…sarà stato una forza esoterica? Il fato? In un certo senso ho rivissuto l’adolescenza: si leggeva, si valutava, si andava al negozio, si sperava in un’ offerta,ci si confrontava con gli altri, si comprava, si tornava di corsa a casa con la brama di ascoltare il vinile e si sognava. Che dire…come come come to the sabbat!
Ciao Beppe, visto che sei omonimo devi “per forza” darmi retta…Non me ne intendo di piattaforme (purtroppo), ma che colpo a quella cifra. Complimenti, e vedrai che quel poco che hai speso è stato ben investito. Naturalmente ti ringrazio di avermi seguito dai tempi di Metal Shock, sempre gratificante verificare che c’è chi dà fiducia da lungo tempo!
Ciao Beppe.
Ho ordinato questo box e sono in attesa del suo arrivo.
Questo splendido articolo arriva quindi a corredo nel momento giusto, come un prezioso regalo di cui ti ringrazio.
I Black Widow mi fanno inevitabilmente tornare alla mente un lontano episodio: io e altri due amici ordinammo il vinile di Sacrifice dietro l’appassionato consiglio del nostro venditore di fiducia (un negozietto di una piccola cittadina a noi vicina). Ne arrivò una sola copia che ebbi la fortuna di tenere per me e che ovviamente ancora conservo. Il nostro amico venditore si premurò di fare due copie su cassetta (a titolo gratuito) perché voleva essere sicuro che nessuno di noi tre rimanesse senza ascoltare questo capolavoro. Certo, era una cosa che avremmo potuto fare anche noi, ma è stato un gesto che ancora oggi rimane indelebile nei miei ricordi.
Mi sono permesso di raccontare questo piccolo amarcord anche perché aggiungere qualcosa dal punto di vista musicale sarebbe stato impossibile e irriguardoso nei confronti di un articolo così bello ed esaustivo.
Grazie ancora
Un saluto
Ciao Fulvio, l’aneddoto che racconti è un ulteriore tassello a conferma del “culto” diffuso in Italia riguardo la musica dei Black Widow. Significativo anche il particolare del negoziante appassionato che faceva la sua parte per far conoscere un disco importante al di là degli interessi commerciali. Premesso che potevi serenamente esprimere il tuo pensiero sulla proposta musicale, ringrazio davvero per aver apprezzato lo scritto : stavolta sono convinto di aver dato il meglio, pur dichiaratamente omettendo quanto già pubblicato sul blog nella “Halloween Night” 2020 a proposito di “Sacrifice”. Ormai i Black Widow sono un gruppo di ultra nicchia anche per motivi anagrafici, ma il mio operato non può certo esser rivolto alla vezzeggiata Gen Z. A risentirci!
Articolo meraviglioso ! Cosa aggiungere ? Mi ricordo che ho sempre avvertito di questa “rivalita’” tra i sabs e i widow, non tanto tra le band ma tra noi fans. Due modi diversi di fare dark, uno duro, sfacciato nelle distorsioni, assoli di chitarra da brividi , voce dura e disillusa. Nei widow regna l’ incubo, il suono sinuoso che ti compra l ‘ anima. Si discuteva, sulle vere realta’ sataniche delle due band, cosi come entravano nei discorsi i Blue oyster cult, completamente differenti musicalmente ma impregnati di uno strano alone, non certo satanico ma ti proiettava negli spazi siderali e negli orrori cari ad HP lovecraft. Personalmente i dischi dei widow mi piaciono tutti, ma come hai scritto , il primo e’ permeato di un suono “eterno” , sono quei lavori irripetibili anche per la stessa band. Penso che tanti gruppi siano debitori ai b.w. anche ottime band italiane di questi ultimi tempi, penso a Il segno del comando, Malombra o almeno cosi’ mi sembra. Scusa il minestrone, ma questi tuoi articoli sono pagine di storia e non solo musicali , che scatenano ricordi e vibrazioni. Un abbraccio.
Ciao Giorgio, sorprendente che sei stato a contatto con ascoltatori che abbiano vissuto questa antica rivalità, e molto efficace anche la tua descrizione. Penso che tu abbia ragione: quei gruppi italiani, fra l’altro, fanno o facevano parte del circolo Black Widow (negozio ed etichetta discografica, costituita da storici appassionati della band), quindi non meraviglia affatto. Se i miei articoli ti scatenano ricordi ed emozioni, è una bella gratificazione; di ciò ti ringrazio sentitamente.
Hola Beppe! Fantastico articolo sull’epopea di una band che mi facesti scoprire tanti anni fa, parlando di Sacrifice. Ho amato pure i dischi successivi, anche se a mio parere non raggiungono la grandezza del capitolo succitato. Interessante che questa operazione sia tutto sommato relativamente “economica”, almeno rispetto ad altre reissue da investirci un rene. Se mi permetti una considerazione, quando parli di certe band, è come se ti si “accendessero gli occhi”. E questo è molto bello, perché significa che “the flame still burns”.
Ciao!
Ciao Alessandro. Certo, mi premeva sottolineare il prezzo vantaggioso: si tratta di un box solido e “compatto” come ne escono tanti attualmente, della dimensione adatta ai 6 CD in card sleeve oltre al booklet, e lo segnalavo a beneficio dei potenziali acquirenti che hanno l’occasione di assicurarsi l’opera completa del gruppo in formato conveniente. E’ uno dei gruppi che ho ascoltato all’inizio, quando mi sono dedicato con serio impegno alla musica rock, trovo naturale che resti profondamente “dentro”. Capisco che per generazioni successive, che hanno vissuto altri momenti, l’approccio sia più difficoltoso, ma io cerco di descrivere la mia esperienza d’ascolto. Grazie per aver apprezzato!
Salve Beppe , ho vissuto solo indirettamente quell’epoca sonora, ma ricordo ancora l’emozione che provai quando sul primo numero di Hard’n’heavy (quello formato lenzuolo con R.J. Dio in copertina) conobbi, tramite tua recensione, I Black Widow di Sacrifice. All’epoca non era tanto facile trovarne copia su vinile. Tramite un negozio di dischi della mia zona l’ordinammo ma, ad arrivare non fu Sacrifice ma la ristampa del secondo album: Black Widow. Delusione…. ma nonostante tutto apprezzai quell’album soprattutto ” Legend of Creation” brano che a posteriori giudicai il più affine alle sonorità di Sacrifice. Riuscii a procurarmi in seguito la prima ristampa su cd delle Repertoire … e …rimasi affascinato dall’atmosfera che usciva da quel disco, unica e irripetibile per certi versi speculare a quella del primo Black Sabbath. Vi sono “dischi” che , a prescindere dal valore intrinseco dei brani o della musica, sprigionano dai solchi un qualcosa che non è facile da classificare razionalmente, e questo al di là della soggettività di ognuno .
Ciao Gaetano, se hai letto da ragazzo il primo Hard’N’Heavy che è proprio quello che descrivi, non sei giovanissimo neanche tu. Vero, procurarsi certi dischi in quegli anni costituiva una piccola “Odissea”. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato; che “Sacrifice” esprima un’atmosfera unica è ciò che vado sostenendo da…decenni. Importante che il parere sia parecchio condiviso, specie nella nostra Penisola. Grazie!