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Timeless : i classici

9 Sotto Zero e 100 gradi sopra

Ri-scopriamo insieme una delle band più sfortunate ma divertenti a (non) emergere dalla Londra degli '80.

Lo so, mi diverto a essere polemico, a volte. Amici mi dicono troppo spesso, purtroppo meno di quanto vorrei… l’istinto polemico a volte è il senso dell’impotenza quando ti viene posto sotto il naso un concetto che la tua mente rifiuta ma che, al contrario, molti sembrano accettare e comprendere. Mi spiego meglio. Non so se avete fatto caso a certe frasi fatte che sembrano essere il modo migliore, se non l’unico, per descrivere una situazione. Ce ne stanno a centinaia e molti di voi avranno le loro fissazioni cui non riescono proprio a far fronte. Alcune provengono dall’uso errato della lingua, da una traduzione occasionale di una parola che viene italianizzata diventando di uso comune… un po’ come il “piuttosto che” disgiuntivo di origine nordica che noi toscani e seguaci della Accademia della Crusca non potremo mai accettare… altre sono frasi fatte che vengono applicate, chissà perché, sempre alle medesime occasioni.

Una di queste, una che proprio non solo non ho mai digerito, ma non ho mai concretamente compreso, è la tipica frase che accompagna ogni definizione di un gruppo punk : l’urgenza del punk…oppure l’urgenza del tal gruppo punk. Partiamo dal significato primario : urgenza significa “necessità impellente”. Come esempi, il dizionario porta, come prima istanza, “urgenza minzionale”, la necessità impellente di orinare. Poi si scivola su provvedimenti di urgenza legali, tipo i decreti legge di un governo, o altre occasioni cui sia necessario un intervento, una sollecitazione pressante.

Ecco perché io, quando leggo “l’urgenza del punk”, mi viene in mente un qualcuno che se la stia facendo addosso. Altra immagine, al mio cervello, proprio non viene di creare. Però mi sforzo. E immagino che un gruppo punk abbia la necessità impellente di dimostrare un qualcosa; un qualcosa che a me sfugge. Però mi continuo a sforzare ed immagino che l’urgenza stia a giustificare ritmi e tempi così serrati da non dar spazio ad alcun virtuosismo : nessuna concessione a melodia e armonia. Però, scusatemi, l’immagine di uno che se la stia facendo addosso resta troppo forte per divagazioni tecniche.

Ho una scusante, però. Avendo visto una quantità di noti ed apprezzati gruppi punk, ho provato a dare un senso alla frase tutta italiana applicata ai soggetti. Macché, non ne sono venuto fuori. Perché se l’urgenza era quella di finire un brano in modo sguaiato e in tempi brevissimi…no, non mi fate fare nomi, ché siete bravissimi ad arrivarci da soli… allora proprio in quei tempi bui, per me, per il rock and roll, c’erano ben altri gruppi che parevano avere il medesimo…stimolo… ma che riuscivano, sempre per me, a portarlo a termine in modo molto più dignitoso ed eccitante. E musicale, per di più.

Quando scoprii i Nine Below Zero, di loro non sapevo niente. Se non che avevano un seguito notevole, che erano nati in piena esplosione punk, nel 1977, che provenivano dal sud di Londra e che erano una sorta di cover band di classici del rhythm and blues. Pub rock band li definiva il noto Time Out, bibbia per qualsiasi turista che avesse voluto sapere che sarebbe accaduto a Londra e dintorni quando lui se ne stava lì in vacanza…o al lavoro. Ce n’era a sufficienza per dimenticare una riunione di cinque o sei gruppi al Palais, dove bazzicavano sostanzialmente i gruppi punk oltre saltuariamente al Rainbow e al Venue e infilarmi in mezzo a una piccola marea di ragazzi in jeans e cuoio e cacciare le due sterline per entrare al Marquee. In effetti, mentre aspettavo l’ora per entrare evitando la ressa, il fatto che molti evidenti fan dell’hard rock andassero a vedere il gruppo, mi stupiva tanto quanto mi tranquillizzava.

Ricordo perfettamente che uscii fuori dopo un paio d’ore così sudato e fradicio come raramente mi era capitato ma che ero convinto di aver visto un gruppo che sarebbe andato lontano. Ecco, lì non fui particolarmente profetico…perché al di là del fatto di averli incrociati altre quattro o cinque volte nel medesimo periodo e di esserne rimasto sempre più appassionato, non credo che il gruppo di Dennis Greaves sia mai riuscito ad andare oltre una buona notorietà, senza mai approdare allo status di rockstar.

Sarà stato per il genere, già ampiamente saccheggiato in Inghilterra fin dai sessanta, sarà stato per il pronto recupero dei gruppi hard nei confronti…di quelli urgenti…ma l’unico che finì col suonare davanti a grandi platee, eccetto una presenza di supporto a Reading, fu l’armonicista Mark Feltham, che a un certo punto scelse di accompagnare Rory Gallagher nei suoi tour.

Eppure giuro che i Nine Below Zero, nome che proveniva da una nota canzone di Sonny Boy Williamson, erano letteralmente mi-ci-dia-li dal vivo; non a caso il loro esordio fu proprio un disco dal vivo, Live At The Marquee. I NBZ erano un classico gruppo che chiuso in studio avrebbe perso molto del proprio impatto…che sia questa l’urgenza ? … ma che su un piccolo palco diventavano una esplosione incontenibile di puro rock and roll dipinto di rhythm and blues. Una mescolanza reperibile altrove, ma non con quella alchimia, vi garantisco. I londinesi definivano il genere una pub-rock band, come ho detto… ma altrove avevo anche trovato l’etichetta di punk and roll… il tipico gruppo che potevi trovare in un angolo del pub più capiente mentre ti ingozzavi di pinte di birra, ma onestamente mi pareva una limitazione alle potenzialità dei quattro.

A volte ripenso a quel periodo e alle motivazioni per cui qualcosa dovesse essere andato per forza storto… mi veniva da dare la colpa a tal Mickey Modern, manager e padre-padrone del gruppo, un soggetto incontrato una volta e che mi fece una pessima impressione, brusco e sbrigativo. Un po’ supponente. Oppure alla poca voglia del leader, Greaves, di rendersi affabile e disponibile. Impressione meno esplicita quando, parecchi anni dopo, quando oramai era chiaro un po’ a tutti che quel qualcosa, qualunque cosa fosse stata, era andata storta, chiesi alla loro etichetta italiana, la Ricordi, di poter organizzare le riprese di un loro concerto a Firenze. Era il 1992 e dagli esordi di quel Live at The Marquee erano passati dodici anni… Greaves non era più l’allampanato inglese dalle risposte a tre parole : il sì, arrivò in mezza giornata. I tempi cambiano.

Perché siamo qui a parlarne ? Perché la memoria gioca strani scherzi e a volte, mentre sei lì a ripassare gli scaffali della tua libreria dove tieni i tuoi dischi e cd in cerca di qualcosa di forte… di urgente ? … che ti accompagni mentre hai quella mezz’ora e hai bisogno di cantare, più che di concentrarti ad ascoltare, l’occhio che scivola sui Nine Below Zero comprendi che ti sta facendo un favore. Ed il medesimo favore vorrei farlo a chi quei tre, quattro dischi di inizi anni ottanta li ha già in teca e non li tira fuori da tempo, oppure vorrei tanto farlo a chi non ha mai avuto l’occasione di essere stimolato a farsi un bagno dentro il rhythm and blues più prossimo all’impatto del punk che vi sia mai accaduto di incontrare e spingerlo a recuperare quel gruppo, proprio partendo da quell’iniziale Live che potrebbe rappresentare il modo migliore per festeggiare il ritorno alla vita con una cena insieme agli amici, farcendolo della voglia di saltare, cantare, pogare, ballare.

I pezzi li conoscerete tutti, se siete anzianotti e masticate rock e blues, e vi giuro che se mai qualcosa non andasse per il verso giusto, sarete rimborsati personalmente, tanta sicurezza affido al piacere di un ascolto a sano, alto volume. Ma se mai saltellando per la stanza, vi farete coinvolgere dal punk and roll dei Nine… voglio i vostri selfie, sudati e sorridenti. Ve li pubblicherò qua sotto a mo’ di commento. Datemi retta : fatevi un favore… recuperate i Nine Below Zero, erano una grandissima, divertentissima, esplosiva band.

9 Commenti

  • Marco ha detto:

    Il classico gruppo di cui ho sentito parlare ma che non ho mai approfondito….colpevolmente !! Rock’n’roll energico e senza fronzoli, echi di Status Quo e Foghat, tra gli altri. In una parola direi essenza più che urgenza…
    Sicuramente esplosivi in sede live, buon per chi li ha visti.
    Grazie per l’ennesima dritta, la caccia è cominciata!

  • Tim Tirelli ha detto:

    Bell’articolo Giancarlo , bravo. Li ricordo perfettamente anche io. Me li riascolterò, bevendomi una belgian bianche gelata alla tua salute.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      Tim…tra i pochi di cui ho stima, la tua lettura è già un piacere…se poi condividi l’opinione…beh…mi sento confortato. La birra ,come sai, non la bevo, sono astemio; però ho imparato a bere la radler, quella che sa di limone. E ti dirò che non è male. Specialmente quella senza alcool…non inorridire, ti prego. 🙂

  • Tom ha detto:

    Purtroppo prima di loro (un bel po’ prima, certo!) vi erano stati certi Rolling Stones, Yardbirds, per non parlare di Who, Them, S.D. Group, Animals etc. In un epoca punk potevano essere seguiti solo dai trentenni come me e qualche altro apostolo blues. Bravi ma purtroppo “out of time” come anche Dr. Feelgood, Count Bishop, etc.

    • Giancarlo Trombetti ha detto:

      I gusti personali non si discutono mai. I classici che citi, credimi, non erano esattamente sulla medesima linea. I Nine Below Zero sono stati la Pub Band perfetta, per me. Ed avendo visto sia i Bishop che i Feelgood ai tempi giusti, per me i Nine restavano, su un palco, un palmo sopra gli altri. Che siano obsoleti…mah…chissà che cosa ascolti tu oggi che non ti paia tale. Per me restano divertentissimi.

      • tom ha detto:

        Probabilmente sono rimasto indietro o peggio….oggi uno dei pochissimi, per non dire quasi unico a richiamare in vita il rock-blues-soul dei vecchi tempi mi sembra Gary Clark Jr….due dischi fenomenali dal vivo uno nel 2014 e l’altro nel 2016, ancora giovane del 1984, non scoppiato, un po’ di hip hop qua e là ma sincero.

  • francesco angius ha detto:

    Caro Giancarlo
    ti invito a sentirli insieme ai superdownhome, gruppo italiano di blues che hanno fatto un singolo insieme.
    Sono stati un gruppo che ho sentito tantissimo nelle mia gioventu’ e ho comperato all’epoca tutti i loro vinili.
    Concordo con te sul loro valore e sul fatto che il loro suono non è invecchiato e scorre ancora che è un piacere.
    Bellissima riscoperta e bell’articolo.
    Bravo.

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